Giornata Internazionale delle Donne
Vivere l’8 Marzo come una battaglia contro lo sfruttamento, l’oppressione e la violenza sulle donne, per il socialismo

di Monica Martenghi*
 
Con che spirito vivere l’8 Marzo, Giornata Internazionale delle donne? È la domanda che dovrebbero porsi tutte le masse femminili sfruttate e oppresse e le donne democratiche, progressiste e antifasciste che aspirano sinceramente alla parità di genere e all’emancipazione.
Secondo noi marxiste-leniniste e marxisti-leninisti occorre viverlo con lo spirito proletario rivoluzionario delle sue origini, quello spirito che animò la volontà di chi lo istituì e che per decenni ha continuato ad animare le piazze di tutto il mondo scandendo ogni battaglia e ogni conquista delle masse femminili contro lo sfruttamento, l’oppressione e la violenza sulle donne, per il socialismo.
Per farlo occorre innanzitutto recuperare la memoria storica di questa giornata, chiedersi chi, quando e perché volle che ogni anno si celebrasse in modo militante questa giornata.
 
La storia dell’8 Marzo
La Giornata internazionale delle donna fu istituita nel 1910 dalla Conferenza delle donne socialiste di Copenaghen per ricordare il martirio delle 129 operaie della Cotton di New York morte due anni prima nell'incendio della fabbrica in cui il padrone le aveva rinchiuse. A promuoverla furono le marxiste-leniniste russe ed europee ispirate da Lenin e non la corrente riformista e socialdemocratica contro la quale già era in atto la lotta che porterà poi alla scissione del 1919 e alla costituzione della Terza Internazionale. In quella sede fu approvata una mozione, assunta poi come risoluzione, in cui si affermava: “In accordo con le organizzazioni di classe e sindacali del Proletariato, le donne socialiste di ogni nazione organizzano nei loro paesi ogni anno una giornata delle donne che in primo luogo serve come agitazione per il diritto di voto femminile. La richiesta deve essere considerata alla luce del suo rapporto con l’intera questione femminile espressa dalla concezione socialista. La giornata della donna deve avere un carattere internazionale e deve essere preparata con ogni cura”. Tale giornata si teneva ancora in date diverse. Anche le femministe borghesi da qualche anno, specie negli Stati Uniti, celebravano una giornata dedicata alla rivendicazione del diritto di voto alle donne. Ma ben presto le due correnti, quella proletaria e quella femminista si divisero, anche perché una buona parte delle femministe borghesi interne allo stesso movimento socialdemocratico, si schierarono con i rispettivi governi durante la prima guerra imperialista mondiale proprio nella speranza che questi governi, riconoscenti, concedessero loro il suffragio universale.
A scegliere di celebrare questa giornata ogni anno, proprio l'8 Marzo, fu la Conferenza internazionale delle donne comuniste (oggi si direbbe marxiste-leniniste) del '21 per ricordare la grande manifestazione di massa delle donne di Pietrogrado - dell'8 Marzo 1917 - che dette il via alla rivoluzione di febbraio, tappa e preludio della Grande Rivoluzione d'Ottobre. È stato creato così un legame indissolubile fra l'8 Marzo e la lotta per cambiare la società e conquistare il socialismo attraverso la rivoluzione proletaria e la conquista del potere politico da parte del proletariato femminile e maschile per creare le condizioni per una emancipazione femminile concreta, duratura e totale.
Finché sono stati in vita Lenin, Stalin e Mao l’8 Marzo è stato celebrato in tutto il mondo secondo il suo carattere originario emancipatore, anticapitalista, antimperialista, e internazionalista proletario costituendo un appuntamento fondamentale per riflettere ed elevare la coscienza delle masse femminili e dell’intero proletariato sul tema dell’emancipazione della donna ed anche l’occasione per sprigionare nelle piazze la forza, l’unità e la combattività delle masse femminili per i propri problemi specifici e concreti e per esprimere la loro aspirazione ad una nuova società.
La classe dominante borghese ha sempre fatto di tutto per cancellarlo, snaturarlo, renderlo inutile. Durante il fascismo in Italia e in tanti altri Paesi al mondo era proibito celebrarlo, in seguito e per decenni i riformisti, i revisionisti, le femministe e i falsi comunisti l’hanno attaccato, svilito e gradualmente trasformato in un appuntamento interclassista, deideologizzato, deproletariarizzato e decomunistizzato, estraneo alla tradizione del movimento operaio e alla lotta per l’emancipazione femminile e il socialismo. Le piazze, salvo rare eccezioni, rimanevano vuote. Spesso il nostro Partito, che non si è mai arreso alla sua cancellazione, si è trovato completamente solo, là dove siamo presenti, a celebrarlo come ha potuto nelle piazze e nelle proprie sedi politiche.
Da qualche anno, per la meritoria iniziativa del movimento Non Una Di Meno, è stata invertita la tendenza e l'8 Marzo è tornato a essere una giornata di lotta e viene celebrato specie dalle ragazze con grande manifestazioni di piazza in Italia e nel mondo intero soprattutto come una giornata femminista contro la violenza sulle donne e le persone LGBT*QIA+ e per i diritti civili.
Ma nonostante il movimento femminista e transfemminista di Non Una Di Meno denunci genericamente il capitalismo come causa del patriarcato e della violenza sulle donne, non arriva mai a porre apertamente la questione del suo abbattimento e della nuova società che dovrebbe nascere sulle sue macerie. Tanto meno indica il problema centrale della conquista del potere politico da parte del proletariato.
 
La linea dell’emancipazione femminile
Il legame indissolubile fra emancipazione femminile e lotta di classe per il socialismo è un punto fermo per tutti i grandi Maestri del proletariato internazionale da Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao e per il nostro Partito. Ce lo spiega in modo chiaro e appassionato Lenin, di cui quest’anno ricorre il centenario della scomparsa e al quale il nostro Partito sta rendendo in modo militante grandi onori a partire dall’importante e strategico documento del Comitato centrale del PMLI del 15 dicembre 2023 dal titolo “Teniamo alta la bandiera antimperialista di Lenin”. Nella citazione che segue, Lenin affronta, fra gli altri, il fondamentale rapporto esistente fra democrazia borghese e diritti delle donne: “In regime capitalistico – spiega Lenin - si danno per solito, non come casi isolati ma come fenomeni tipici, condizioni tali che le classi oppresse non possono ‘esercitare’ i propri diritti democratici. Il diritto al divorzio rimane, nella stragrande maggioranza dei casi, inattuato sotto il capitalismo, perché il sesso oppresso è schiacciato economicamente, perché la donna continua a essere in ogni democrazia capitalistica una ‘schiava domestica’, confinata nella camera da letto, nella stanza dei bambini, in cucina. Anche il diritto di eleggere ‘propri’ giudici popolari, funzionari, insegnanti, giurati, ecc. è, nella stragrande maggioranza dei casi, irrealizzabile in regime capitalistico, a causa dell’oppressione economica degli operai e dei contadini. Lo stesso si dica per la repubblica democratica: il nostro programma la ‘proclama’, come ‘autocrazia del popolo’, benché tutti i socialdemocratici sappiano molto bene che, sotto il capitalismo, la repubblica più democratica conduce soltanto alla corruzione dei funzionari da parte della borghesia e all’alleanza tra la Borsa e il governo.
Solo chi è assolutamente incapace di riflettere o chi ignora del tutto il marxismo può trarre da questo la conclusione che la repubblica, la libertà di divorziare, la democrazia e l’autodecisione delle nazioni non giovino a niente! I marxisti sanno invece che la democrazia non distrugge l’oppressione di classe, ma rende solo più pura, più ampia, più aperta e più energica la lotta di classe: ed è quanto ci occorre. Quanto più completa è la libertà di divorziare, tanto più chiaro risulta per la donna che la fonte della sua ‘schiavitù domestica’ va ricercata nel capitalismo, e non già nella mancanza di diritti. Quanto più democratica è la struttura statale, tanto più risulta chiaro per l’operaio che la radice del male è il capitalismo, non la mancanza di diritti. Quanto più integrale è la parità giuridica delle nazioni (ed essa è incompleta senza libertà di separazione), tanto più risulta chiaro per gli operai della nazione oppressa che il male è nel capitalismo, non nella mancanza di diritti”.
(Lenin, “Intorno ad una caricatura del marxismo e all’‘economismo imperialistico’”, agosto-ottobre 1916, Opere complete, Ed. Riuniti, vol. 23, pagg. 126-127)
Con queste parole Lenin vuole sottolineare quanto in regime capitalistico i diritti delle donne sono puramente formali e rimangono parziali, monchi quando non completamente inapplicati a causa dell’interesse che ha il capitalismo a mantenere le donne schiave del lavoro domestico e familiare e subalterne all’interno della famiglia e della società. Tali diritti inoltre non vengono nel capitalismo assicurati una volta per tutte ma sottoposti costantemente agli attacchi e ai tentativi di cancellarli anche sul piano formale.
Lenin però va anche oltre, affermando che anche nel socialismo non basterà assicurare i diritti delle donne solo sul piano formale. Egli infatti facendo, a distanza di neanche due anni dalla Grande Rivoluzione d’Ottobre, un primo bilancio di quanto il potere sovietico ha fatto e sta facendo per l’emancipazione femminile così si esprime: “Prendiamo le condizioni della donna. Nessun partito democratico del mondo in nessuna delle repubbliche borghesi più progredite ha fatto a questo riguardo in decine d’anni nemmeno la centesima parte di quello che noi abbiamo fatto anche solo nel primo anno del nostro potere. Noi non abbiamo letteralmente lasciato pietra su pietra di tutte le abiette leggi sulla menomazione dei diritti della donna, sulle restrizioni al divorzio, sulle odiose formalità da cui era vincolato, sulla possibilità di non riconoscere i figli naturali, sulla ricerca della paternità, ecc., leggi i cui resti, a vergogna della borghesia e del capitalismo, sono molto numerosi in tutti i paesi civili. Noi abbiamo il diritto mille volte di essere fieri di quel che abbiamo fatto in questo campo. Ma quanto più pulito abbiamo fatto il terreno dal ciarpame delle vecchie leggi e istituzioni borghesi, tanto più ci è apparso chiaro che quel che stavamo facendo era soltanto lo sgombero del terreno su cui costruire e non ancora la costruzione stessa.
La donna, nonostante tutte le leggi liberatrici, è rimasta una schiava della casa, perché essa è oppressa, soffocata, inebetita, umiliata dalla meschina economia domestica, che la incatena alla cucina, ai bambini, e ne logora le forze in un lavoro bestialmente improduttivo, meschino, snervante, che inebetisce e opprime. La vera emancipazione della donna, il vero comunismo incomincerà soltanto là e allora, dove e quando incomincerà la lotta delle masse (dirette dal proletariato, che detiene il potere dello Stato) contro la piccola economia domestica o, meglio, dove incomincerà la trasformazione in massa di questa economia nella grande economia socialista.
Ci occupiamo noi abbastanza, nella pratica, di questa questione, che teoricamente è evidente per ogni comunista? Naturalmente, no. Abbiamo sufficiente cura dei germogli di comunismo che già si hanno in questo campo? Ancora no, e poi no. Le mense popolari, i nidi e i giardini d’infanzia: ecco gli esempi di questi germogli, i mezzi semplici, comuni, che non hanno nulla di pomposo, di magniloquente, di solenne, ma che sono realmente in grado di emancipare la donna, sono realmente in grado di diminuire ed eliminare – data la funzione che la donna ha nella produzione e nella vita sociale – la sua disuguaglianza con l’uomo. Questi mezzi non sono nuovi, sono stati creati (come in generale tutte le premesse materiali del socialismo) dal grosso capitalismo; nel capitalismo, però, in primo luogo essi rimanevano una rarità e in secondo luogo – e ciò è particolarmente importante – restavano o imprese commerciali con tutti i loro lati peggiori: speculazione, lucro, frode, falsificazione, o ‘acrobazia della filantropia borghese’, che a giusta ragione era odiata e disprezzata dai migliori operai”.
(Lenin, “La grande Iniziativa”, luglio 1919, Opere complete, Ed. Riuniti, vol. 19, pagg. 289-290)
Lenin così ribadisce il concetto che, come dimostrano i fatti, il riconoscimento dei diritti delle donne persino nel socialismo non è sufficiente a garantire una reale e concreta emancipazione femminile e una parità fra i sessi. Egli sostiene che questo è solo il primo passo, ma che sarà impossibile conquistare una reale emancipazione se non si sottrae le donne dalla schiavitù domestica, le si fanno partecipare a pieno titolo e su un terreno di completa parità al lavoro produttivo e alla vita sociale e non si trasforma questo lavoro domestico in una grande industria pubblica, o come dice Lenin non si “trasforma la piccola economia domestica nella grande economia socialista”. Fra l’altro Lenin pone questa questione come presupposto fondamentale e imprescindibile dell’avanzata dell’umanità verso il comunismo.
In sostanza, Lenin ci indica che solo impugnando decisamente le due leve dell’emancipazione della donna, ossia il lavoro e la socializzazione del lavoro domestico, si può avanzare sulla via della liberazione completa ed effettiva delle masse femminile dal doppio giogo che le opprime. Due obiettivi che potranno essere affrontati e risolti pienamente solo nel socialismo, ma che devono essere perseguiti fin da ora per elevare la coscienza delle masse femminili, combattere lo sfruttamento e l’oppressione delle donne, contrastare il patriarcato e la cultura neofascista, antifemminile e oscurantista che è il terreno di cultura della violenza, della discriminazione ed emarginazione delle donne.
 
Peggiora la condizione economica e sociale
Secondo i dati Eurostat l’Italia è ultima in Europa per occupazione femminile. Secondo il dossier del Servizio studi della Camera, sui dati relativi al IV trimestre 2022, il tasso di occupazione femminile è circa 14 punti percentuali al di sotto della media europea che è attestata al 69,3%. Ma se in Italia in media sono occupate il 52,7% delle donne in età lavorativa, cioè poco più di una su due, al Sud lavora meno di una donna su tre, appena il 30%.
Le donne italiane occupate sono circa 9,5 milioni contro i 13 milioni dei maschi occupati. Il governo Meloni si vanta di aver fatto aumentare l’occupazione in generale e soprattutto quello femminile. Si tratta di una mistificazione. L’aumento del tasso di occupazione femminile è dovuto soprattutto agli effetti delle varie controriforme pensionistiche e in particolare di quella Fornero, che stanno ritardando l’uscita delle donne occupate dal lavoro. E comunque da ottobre 2022 e ottobre 2023 i nuovi occupati maschi sono stati 267 mila, a fronte di sole 191 mila donne in più, in gran parte collocate a part-time.
Anche quando sono occupate, al di là delle loro qualifiche di studio e competenze spesso superiori a quelle degli uomini, le donne vivono una situazione di povertà lavorativa, sono cioè impiegate in lavori saltuari, precari, a tempo determinato e a netta prevalenza del part-time che interessa il 49% delle donne occupate a fronte del 26,2% degli uomini occupati. Occupate in settori secondari e non strategici, a bassa remuneratività come la grande distribuzione, il piccolo commercio, il turismo, e i servizi alla persona sono immiserite da redditi di gran lunga più bassi degli occupati maschi. Secondo dati elaborati dall’Inps la retribuzione media nel 2022 per gli uomini è stata di 26.227 euro, mentre per le donne è stata di 18.305 euro. Ciò ha un forte impatto anche sulle pensioni attuali e future delle donne e in generale sul loro stato di povertà assoluta e relativa che le priva dell’indipendenza economica dagli uomini.
Una donna su cinque lascia il lavoro dopo il primo figlio per mancanza di servizi all’infanzia, specie al Sud, o per il costo delle rette. Perché è sulle donne che grava quasi totalmente il lavoro domestico, familiare e di cura. Secondo l’Ocse le donne trascorrono mediamente 2,5 volte il tempo trascorso dagli uomini nella gestione della casa e dei figli. Si tratta di ben 4,73 ore ogni giorno rispetto a 1,84 ore per gli uomini. Paradossalmente, al contrario delle donne, gli uomini con figli hanno un tasso di occupazione più elevato (90,1%) rispetto a quelli che non ne hanno (81,1%). I tagli alla sanità e all’assistenza pubblica, la politica familista del governo neofascista Meloni basata sui bonus e gli incentivi alla natalità di mussoliniana memoria, non fanno che peggiorare ulteriormente la condizione familiare della donna.
La barbarie dei femminicidi procede inesorabilmente al ritmo di uno ogni tre giorni. Nel 2023 sono stati 120, in questi primi due mesi siamo già a 13. Negli ultimi vent’anni i femminicidi nel nostro Paese sono passati dal rappresentare il 10,1% al 26,5% del totale degli omicidi. Le violenze assassine sono avvenute in genere in famiglia, per mano di mariti, fidanzati, e partner che si reputavano padroni della vita delle donne.
Ciononostante Meloni ha tagliato i fondi per i centri antiviolenza da 17 milioni del 2023 ai 5 milioni per il 2023, e solo dopo la grande mobilitazione seguita all’uccisione di Giulia Cecchettin ha accettato che nell’ultima legge finanziaria i fondi passassero a 40 milioni. Una cifra che viene considerata assolutamente insufficiente da chi da anni si occupa direttamente e sul territorio del problema della violenza sulle donne per sostenere come necessario i centri antiviolenza, le case rifugio, i centri per uomini maltrattanti, il reddito di libertà. Risorse fra l’altro non strutturali e la cui gestione è stata affidata alle già inadempienti regioni.
 
L’attacco ai diritti civili e sociali
Non meglio va nel campo dei diritti civili e sociali. Questo governo da quando si è insediato ha dato il via a una vera e propria crociata neofascista, antifemminile, oscurantista e antiscientifica che pone nel mirino in particolare i diritti delle donne, delle persone LGBT*QIA+ e delle famiglie “arcobaleno”, ossia con genitori dello stesso sesso.
La legge 194 è da sempre sotto il fuoco della destra neofascista direttamente e indirettamente. Non solo attraverso l’obiezione di coscienza che ormai riguarda oltre il 60% dei ginecologi e rende impossibile far ricorso all’interruzione di gravidanza in intere aree del nostro Paese, specie al Sud, ma anche con altri stratagemmi. Anche se Meloni spergiura che la legge 194 non verrà toccata, è approdata in parlamento proprio in questi giorni la proposta di legge di iniziativa popolare, promossa da associazioni ultracattoliche e di estrema destra come il “Movimento per la vita” e “ProVita” che godono dell’appoggio e del sostegno dei partiti di governo a partire da FdI e Lega, che vuole imporre ai medici l’obbligo di far vedere il feto e ascoltare il suo battito cardiaco alle donne che intendono abortire. Sono poi quattro le proposte di legge depositate in questa legislatura che chiedono il riconoscimento della vita umana dal “concepimento”, un mezzo per far acquisire al feto personalità giuridica al pari della donna.
A breve arriverà inoltre al Senato in seconda lettura il ddl Varchi che punta a rendere universale il reato di “maternità surrogata”, già vietata in Italia, anche se commessa all’estero.
Il governo Meloni si sta particolarmente accanendo contro ciò che reputa contrario all’esaltazione della famiglia “naturale”, quella cioè composta da un uomo e una donna, possibilmente sposata e prolifica come pretendono la morale, l’etica e la cultura borghese, reazionaria, antifemminile e cattolica. Con una circolare del ministro dell’interno Matteo Piantedosi inviata a gennaio 2023, il governo ha sollecitato procure e tribunali a cancellare la registrazione delle famiglie composte da coppie dello stesso sesso portando alla loro discriminazione e soprattutto dei loro figli. Nello stesso quadro persecutorio rientra l’inchiesta voluta dal governo sul reparto e gli operatori dell’ospedale pediatrico Meyer di Firenze che trattano i casi di disforia di genere negli adolescenti al solo scopo di dare tempo ai giovani sofferenti e alle famiglie di fare scelte ponderate e mature, impedendo stigma sociale, autolesionismi e suicidi.
 
Un governo nemico delle donne
Al governo c’è una donna, eppure quello dell’ambiziosa ducessa Meloni è il peggior governo che le masse femminili abbiano conosciuto dopo quello di Mussolini.
Nessun governo, se non quello fascista di Mussolini, è stato più distante dalle esigenze e dai bisogni delle masse femminili sfruttate e oppresse per ideologia, cultura, morale, etica. Lo scopo è quello di ricondurre le donne al loro principale ruolo di mogli, madri, balie, infermiere, assistenti sociali, per poter servire meglio gli interessi dei capitalisti italiani e inculcare alle nuove generazioni l'ideologia e la cultura reazionaria, razzista, nazionalista, maschilista, clericale, oscurantista, omofoba della destra borghese e neofascista rilanciando il trinomio mussoliniano “Dio, patria e famiglia”.
Senza contare che più in generale siamo ritornati ai manganelli di Mussolini come è successo nelle brutali cariche squadriste della polizia contro gli studenti a Pisa e Firenze. A questo proposito occorre dire con chiarezza che nessun rispetto è dovuto alle “forze dell’ordine” al servizio del regime capitalista neofascista.
In gioco c’è il diritto di sciopero e di manifestare, di esprimere il dissenso, anche il più blando. Uno stato di polizia che va ad aggiungersi, agli attacchi alla magistratura, al bavaglio a stampa e informazione, alle norme a favore dei corrotti, degli evasori, a una politica estera e militare neocolonialista, imperialista e bellicista che rischia di trascinare il nostro Paese in una possibile nuova guerra imperialista mondiale.
È urgente lanciare una grande controffensiva ideologica, culturale e politica contro questa concezione reazionaria e clericale del mondo, della società, della famiglia e della donna e contro le misure governative che da essa derivano.
E’ urgente far cadere il governo della ducessa Meloni prima che sia troppo tardi e abbia portato a compimento il disegno della terza repubblica neofascista così come tracciato dal piano di Rinascita democratica della P2 di Gelli, Craxi e Berlusconi, che attraverso una controriforma costituzionale incentrata sul presidenzialismo neofascista e l’“autonomia differenziata” farà carta straccia della Costituzione del ‘48 ormai ridotta a brandelli.
Un’occasione importante per infliggere un duro colpo a questo governo neofascista e alla sua opposizione di cartone saranno le prossime elezioni europee, regionali e amministrative per le quali invitiamo le elettrici e gli elettori, specie quelli di sinistra, a impugnare con forza l’astensionismo marxista-leninista (disertare le urne, annullare la scheda o lasciarla in bianco) come hanno fatto in gran numero le elettrici e gli elettori sardi.
 
La nostra piattaforma
Dobbiamo batterci con tutte le nostre forze contro lo sfruttamento capitalistico, la schiavitù domestica e il patriarcato rivendicando un lavoro vero che deve essere a tempo pieno, a salario intero, in presenza e sindacalmente tutelato per tutte le donne. Chiediamo la fine della politica dei bonus e dei voucher che riflettono una concezione privatistica e familista del Welfare e rivendichiamo al contrario la costruzione di una fitta rete di servizi sociali, sanitari e scolastici pubblici in tutto il territorio nazionale, a partire dal Mezzogiorno. Bisogna battersi contro il carovita, il caro bollette e il caro benzina. Per il diritto alla casa per tutti; per una sanità pubblica, universale, gratuita, territoriale; per un'assistenza sanitaria e sociale pubblica, universale e gratuita e di prossimità che non deve puntare sulla domiciliarità intesa come scaricare sulle famiglie tutto il peso dell'assistenza agli anziani e ai disabili; per il diritto alla salute delle donne, per sviluppare la medicina di genere, consultori pubblici autogestiti in tutte le città; il diritto per tutti, ivi compresi le coppie di fatto, omosessuali e singoli, ad accedere gratuitamente alla fecondazione assistita” “omologa” e non, alla GPA nelle strutture pubbliche. Occorre battersi perché sia vietato ai medici nelle strutture pubbliche di avvalersi dell’“obiezione di coscienza”; per la libertà di aborto per le minorenni nelle strutture pubbliche senza il consenso dei genitori o del giudice tutelare; per il diritto all'eutanasia; per il finanziamento diretto dei centri antiviolenza e delle case rifugio autogestiti dalle donne stesse e per la loro costruzione dove non esistono; per il riconoscimento del reato di violenza e di stupro sempre quando non c’è consensualità esplicita; per l’istituzione di un’informazione ed educazione sessuale, all’affettività e alle differenze nelle scuole di ogni ordine e grado che non sia gestita da gruppi e associazioni palesemente omofobe, antifemminili, antiabortiste, ma che sia scientifica, democratica, rispettosa delle identità e delle differenze di genere; per misure che garantiscano con certezza la sicurezza sul lavoro e la sicurezza e la salute ambientale. Occorre richiedere l’abrogazione della “riforma Fornero” e delle controriforme delle pensioni che l'hanno preceduta, ripristinando un sistema pensionistico pubblico, universale, unificato, a ripartizione, e istituendo la pensione a 60 anni per gli uomini e 55 per le donne. Occorre combattere la povertà delle donne rivendicando l’aumento dei salari e delle pensioni, il lavoro per le disoccupate e le inoccupate, l’eliminazione della precarietà e la gratuità dei servizi sociali, sanitari e assistenziali pubblici. Rivendichiamo infine una presenza paritaria e non semplicemente delle quote dei sessi nelle istituzioni, nel parlamento, nel governo, nelle istituzioni locali e negli organismi politici, sindacali, sociali, culturali e religiosi anche se siamo consapevoli che ciò potrà avvenire compiutamente solo nel socialismo.
Su questa piattaforma o parte di questa siamo sicuri che operaie e lavoratrici dei vari settori, studentesse, donne della piccola borghesia possono fare fronte unito e trovare una grande unità di azione politica e sindacale per tutelare, difendere e realizzare i diritti e gli interessi delle masse femminili.
 
Il nostro lavoro marxista-leninista
Le masse femminili, specie le giovanissime, che si sono mobilitate all’indomani dell’omicidio patriarcale di Giulia Cecchettin, sfociando nelle grandi manifestazioni del 25 novembre scorso, hanno dato una grande prova di forza e hanno tenuto un comportamento estremamente combattivo: “Le masse femminili italiane sono una componente pensante, combattiva e di avanguardia fondamentale del movimento anticapitalista”. Un evento che oggi ci fa ben sperare che la nostra linea di classe sull’emancipazione delle donne e la nostra proposta di nuova società alla lunga verrà ben accettata dalle masse femminili sfruttate e oppresse, specie dalle ragazze che vogliono davvero trasformare se stesse e il mondo intero. Molto dipenderà dal lavoro di massa che sapranno fare le militante e le simpatizzante del PMLI, dalla capacità che avranno di legarsi alle masse femminili, ascoltare le loro problematiche, organizzarle sulla base delle loro esigenze ed aspirazioni e mobilitarle per realizzarle, legando sempre il particolare al generale.
Ci riusciremo se terremo studieremo a fondo e metteremo in pratica la ricetta di Lenin per la vittoria sintetizzata dal compagno Scuderi nel messaggio alle e ai partecipanti alla Commemorazione di Lenin a Cavriago e a Napoli il 21 gennaio scorso. “Ma qual è la ricetta di Lenin per aprire questa via in ogni Paese? - scrive Scuderi - Studiare approfonditamente il marxismo, applicare con intelligenza tattica il marxismo, studiare attentamente la situazione del proprio Paese e nel mondo, unire le masse sfruttate e oppresse, a partire dal proletariato e dai contadini, e le forze rivoluzionarie, anche quelle culturali e religiose, combattere senza tregua il riformismo e revisionismo di destra e di “sinistra”, spendere interamente la propria vita per la causa”. E Scuderi conclude con un importante appello: “Dopo gli apporti ideologici, politici, organizzativi e pratici di Lenin, Stalin e Mao il marxismo è divenuto il marxismo-leninismo-pensiero di Mao. Le forze politiche e sociali sostenitrici di Lenin dovrebbero impugnare con forza questa potente arma ideologica, l'unica che ci discrimina dalla cultura e dall'ideologia borghese, trasmetterla al proletariato, alle masse popolari e alle nuove generazioni, ricercando l'aiuto degli intellettuali del popolo, unirsi e combattere insieme i comuni nemici, senza farsi condizionare dalle divergenze, come quella grave sull'Ucraina”.
Ci riusciremo se le nostre compagne, militanti e simpatizzanti attive, terranno bene a mente anche le parole del Segretario generale rivolte direttamente a loro mentre ne lodava le capacità, la fedeltà alla causa e il ruolo fondamentale all’interno del Partito. Egli ha sottolineato che “Le compagne (rispetto ai compagni uomini, ndr) hanno un compito in più, specifico anche se non esclusivo, quello di conquistare le masse femminili alla causa del socialismo, del proletariato e del Partito. Un compito non facile perché si tratta di sottrarre le masse femminili alla doppia influenza borghese, quella dominante che le vuole relegate in casa dedite alla famiglia e subordinate al marito, e quella femminista che le spinge alla lotta primaria contro l'oppressione dell'uomo e al separatismo di sesso. Entrambe queste influenze borghesi e antifemminili non mettono al centro la contraddizione fondamentale tra il capitale e il lavoro e la contraddizione principale tra il proletariato e la borghesia. Minando così la lotta di classe per l'emancipazione delle donne. Tuttavia è possibile abbattere gradualmente queste influenze attraverso un lavoro teorico e un impegno politico e pratico che devono vedere le compagne in prima fila per arrivare alla piena parità tra le donne e gli uomini in campo politico, economico, sociale, sindacale, professionale e familiare, contro la morale e la concezione borghesi e cattoliche sulla donna, sulla famiglia, sul matrimonio, sulla maternità e sull'amore. Una lotta di lunga durata, che continuerà nel socialismo e si concluderà nel comunismo” (Da: “Viva le compagne!”, articolo di Giovanni Scuderi pubblicato sul n. 1/2008 de “Il Bolscevico”).
Buon 8 Marzo, alle care compagne, militanti e simpatizzanti del PMLI, e a tutte le marxiste-leniniste italiane e del mondo intero!
Buon 8 Marzo alle masse femminili di tutto il mondo!
Un commosso pensiero va alle donne, alle ragazze, ai bambini e alle masse ucraine impegnate in una eroica resistenza guidata da Zelensky contro l’occupazione imperialista russa del nuovo zar Putin e a quelle palestinesi che sotto la guida di Hamas devono difendersi con altrettanto eroismo dal barbaro genocidio messo in atto dal regime nazisionista israeliano.
Buon 8 Marzo a voi operaie, lavoratrici, pensionate, disoccupate, cassintegrate, precarie, migranti, studentesse che subite ogni giorno le angherie del regime capitalista neofascista ma continuate con coraggio a difendere i vostri diritti e quelli di tutto il popolo nelle fabbriche, nei campi, negli uffici, nelle scuole, nelle università e nelle piazze!
Uniamoci per liberare l’Italia dal ritorno di Mussolini nelle vesti femminili, democratiche e costituzionali, per il socialismo e il potere politico del proletariato!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
 
* Responsabile della Commissione donne del CC del PMLI

6 marzo 2024