Elezioni regionali in Abruzzo del 10 marzo 2024
Anche in Abruzzo l’astensionismo è il primo “partito”
La sinistra del regime capitalista neofascista battuta dalla destra. Il neofascista Marsilio rieletto dal 27,1% dell’elettorato. Crollo del Movimento 5 Stelle. Fratelli d’Italia perde oltre 33 mila voti rispetto alle politiche 2022. La Lega ne perde 121 mila rispetto alle regionali 2019
Lavoriamo per convincere le astensioniste e gli astensionisti di sinistra a lottare per il socialismo e il potere politico del proletariato

Il 10 marzo si sono tenute le elezioni regionali per eleggere il presidente e il consiglio della regione Abruzzo. Il primo dato veramente significativo è che anche in Abruzzo l’astensionismo è il primo “partito”. Appena un elettore su due si è recato alle urne, il 47,8% le ha disertate, con un incremento dello 0,9% rispetto al 2019.
Un risultato incredibile non solo perché sfiorare il 50% di diserzione è già un grande successo, ma anche perché non è stato arrestato e invertito il trend positivo nonostante queste elezioni fossero state caricate al massimo di significato politico di carattere nazionale da parte della destra e della sinistra del regime capitalista neofascista.
Soprattutto dopo i risultati elettorali delle regionali in Sardegna del 25 febbraio scorso, i fari mediatici sono stati accesi su questa regione del Sud di poco più di un milione e 200 mila elettrici ed elettori, che fin qui saliva agli onori della cronaca solo per tragedie come il terremoto o per i numerosi scandali che negli anni hanno coinvolto i suoi amministratori. Tutti i leader dei due schieramenti si sono precipitati in Abruzzo a fare passerella. Il governo in particolare ha inviato in Abruzzo nelle ultime settimane ben 14 ministri e 11 viceministri e sottosegretari che come novelli re Magi hanno portato in dono promesse di opere e interventi ciclopici per miliardi di euro da realizzare nella regione: dai trasporti, alla sanità, alle infrastrutture, alla scuola, ecc. Senza contare lo show della stessa ducessa Meloni insieme ai suoi alleati al comizio finale. Nemmeno i noti capibastone democristiani degli anni d’oro avrebbero saputo fare di meglio.
Meloni doveva ad ogni costo confermare alla guida della regione il suo fedelissimo Marco Marsilio, per riaffermare la sua leadership all’interno della coalizione di destra dopo l’inciampo delle elezioni sarde; per dimostrare che non era in atto alcuna inversione di tendenza rispetto al consenso elettorale al suo governo; per non creare un ulteriore precedente negativo in vista delle elezioni europee; per non subire una sconfitta personale proprio nel suo collegio elettorale (L’Aquila) che l’ha mandata in parlamento.
D’altra parte la sinistra del regime voleva dimostrare che “il vento è cambiato” come aveva precipitosamente commentato la segretaria PD, Elly Schlein, all’indomani del risultato sardo e che il “campo largo”, ossia la grande accozzaglia di partiti con al centro l’alleanza PD-M5S, era in grado di contendere e strappare il potere governativo alla destra. In particolare la sinistra del regime aveva puntato proprio sul recupero dell’astensionismo per tentare la “spallata”. Ma le cose sono andate diversamente e lo sperato “effetto domino” non c’è stato grazie soprattutto al fatto che l’astensionismo ha ignorato le sirene e ha ben tenuto.
 
Astensionismo stellare
Ben 595.799 elettrici ed elettori si sono astenuti (hanno disertato le urne, annullato la scheda o l’hanno lasciata in bianco), pari al 49,3% (+0,9% rispetto alle precedenti elezioni regionali del 2019). Al secondo posto, con un distacco abissale, si colloca Fratelli d’Italia con l’11,6% di consensi sull’intero corpo elettorale.
A Chieti la diserzione supera addirittura il 51,5% con un incremento dell’1,7%. A Pescara la diserzione è al 46,7% con un incremento dell’1,5%. A Teramo, la città del candidato della sinistra del regime, Luciano D’Amico, la diserzione è stata del 46,7% e l’incremento leggermente più basso della media regionale. Fra l’altro Teramo è stata l’unica provincia in cui il candidato della sinistra del regime ha battuto il candidato della destra forse grazie anche a un leggero drenaggio dell’astensionismo di sinistra. Solo a l’Aquila, dove la diserzione si attesta al 44,6%, la diserzione è lievemente calata dello 0,7% probabilmente grazie a un recupero di astensionisti di destra. Non a caso proprio a l’Aquila il governatore uscente ha riscosso il massimo dei consensi e il maggior scarto rispetto al suo avversario.
 
La destra batte la sinistra del regime
La destra del regime capitalista neofascista batte la sinistra, ma il riconfermato governatore Marco Marsilio, già missino romano, abruzzese di famiglia, che pure poteva contare su un’ampia coalizione (FdI, Lega, Forza Italia, Noi Moderati, Udc-DC con Rotondi e lista civica Marsilio Presidente) grazie all’astensionismo ha ottenuto solo il 27,1% di consensi fra le elettrici e gli elettori abruzzesi. Un risultato assai misero dopo cinque anni di governo e prebende elettorali. Fra l’altro fino al voto in Sardegna il risultato sembrava assolutamente scontato e con margini ancora maggiori.
Risultano perciò alquanto stonati i toni trionfalistici di Meloni e del suo pupillo. ”Motivo di grande orgoglio”, “una vittoria storica” , ha esultato Meloni. “Abbiamo scritto una pagina di storia”, ha commentato il rieletto governatore.
Tanto più che il partito neofascista della Meloni è andato tutt’altro che bene. Rispetto alle regionali del 2019 triplica i consensi, passando da 38.894 voti ai 139.578 attuali, ma si è trattato semplicemente di una ridistribuzione all’interno della coalizione di destra. Infatti è la Lega che tracolla e perde ben 121.192 voti rispetto al 2019, in parte andati a FdI e in parte a Forza Italia che infatti rispetto al 2019 recupera circa 23.618 voti. Fratelli d’Italia perde invece circa 34 mila voti voti rispetto alle politiche 2022 pari a -5,3% sul corpo elettorale. Anche la Lega perde ulteriori consensi rispetto alle elezioni politiche 2022, dove peraltro era già crollata.
Forza Italia si avvantaggia del crollo della Lega e probabilmente anche del M5S dopo che l’ex candidata del partito di Conte, Sara Marcozzi, molto vicina a Luigi Di Maio, e che cinque anni fa ottenne 126 mila voti, è trapassata in Forza Italia che infatti ottiene il 6,4%, + 1,9% rispetto al 2019.
 
Il “campo largo” già scricchiola
Il cosiddetto “Patto per l’Abruzzo”, ossia il campo largo composto da PD, M5S, Azione di Calenda, Riformisti e Civici (lista promossa da Italia Viva di Renzi e socialisti abruzzesi), Alleanza Verdi sinistra e la civica Abruzzo Insieme, che aveva candidato Luciano D’Amico, docente ed ex rettore dell’Università di Teramo e già presidente dell’azienda di trasporto regionale, Tua, ha ottenuto circa 40 mila voti in meno rispetto a quelli ottenuti nel 2019 dalla coalizione di “centro-sinistra” + M5S. Risultato determinato soprattutto dalla frana di consensi al M5S che passa dai 118.287 voti ottenuti nel 2019 ai 40.629 di oggi. Anche rispetto alle elezioni politiche 2022 il M5S perde ben 74.707 voti. Le vele del M5S si sono completamente sgonfiate e in pochissimo tempo. Alle politiche del 2018 il M5S era il primo partito in Abruzzo, dopo l’astensionismo, con il 40% dei voti validi e ben oltre 300 mila voti.
Il PD parzialmente recupera una parte dei voti un tempo prestati al M5S e incamera tutti i voti dei vari partiti alla sua sinistra che quest’anno non hanno presentato proprie liste. Recupera così posizioni e ottiene 117.497 voti, quasi il doppio del 2019, ma non cresce rispetto alle politiche ed è comunque assai distante dai risultati passati. Dieci anni fa, nel 2014 i voti del PD erano stati 171.520.
Calenda gongola perché riesce a strappare un consigliere regionale superando di un pelo lo sbarramento del 4% dei voti validi. Renzi resta invece fuori.
Ora i fari si spostano sulle prossime elezioni in Basilicata del 21 e 22 aprile, l’ultimo test utile prima delle elezioni europee del 9 giugno. E se prima era quasi scontata la riproposizione del “campo largo”, seppure con una guerra intestina sul candidato, ora anche l’alleanza scricchiola. Staremo a vedere.
 
Appello alle astensioniste e agli astensionisti di sinistra
Il voto in Abruzzo è l’ennesima dimostrazione che non è sul terreno elettorale che è possibile liberarsi del capitalismo e aspirare al vero cambiamento, ossia al socialismo e al potere politico del proletariato, ma neanche si può sperare di utilizzare questo terreno per sbarrare la strada al nuovo fascismo e liberare l’Italia dal ritorno di Mussolini nelle vesti femminili, democratiche e costituzionali.
Dobbiamo continuare a lavorare sodo perché le astensioniste e gli astensionisti di sinistra comprendano che astenersi non basta, perché occorre anche impugnare l’astensionismo marxista-leninista come un voto dato al PMLI e al socialismo. Perché, come ha sostenuto il compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, in un suo discorso al dibattito a Napoli del 5 maggio 2001, ma ancora assolutamente attuale: “L'astensionismo, così inteso e praticato, è l'unico voto anticapitalista, antimperialista, antifascista, antipresidenzialista, antifederalista e antirazzista. Votare diversamente equivale esattamente al contrario, ossia dare il consenso, di fatto, agli oppressori e agli sfruttatori, ai nemici e agli imbroglioni del popolo. Sul piano elettorale solo con l'astensionismo marxista-leninista si fa chiarezza tra il campo del proletariato e del socialismo e il campo della borghesia e del capitalismo, si eleva la coscienza politica e la combattività delle masse, si educano le nuove generazioni alla lotta rivoluzionaria, antistituzionale e antiparlamentare, si indeboliscono, si disgregano e si delegittimano le istituzioni rappresentative borghesi e i partiti che le appoggiano.
L'astensionismo marxista-leninista è quindi un voto che esprime una ben precisa volontà politica, una dichiarazione aperta di guerra al capitalismo e ai suoi partiti, e di schieramento con il PMLI e il socialismo. L'unico voto coerente che possano esprimere un'elettrice e un elettore di sinistra ”.


13 marzo 2024