Meloni gioca col fisco per raccogliere voti alle elezioni europee
Tutto per gli evasori, niente per le lavoratrici e i lavoratori
Il PMLI chiede progressività della tassazione, lotta rigorosa all'evasione, abolizione del segreto bancario, esenzione Irpef fino a 28 mila euro, imposta progressiva sui patrimoni medio-alti

Fin dal giorno del suo esordio, all'insegna del motto “non disturbare chi vuole fare”, la premier neofascista Meloni avanza come un treno nella realizzazione della “riforma” fiscale classista, corporativa e clientelare che aveva promesso ad un suo ben preciso elettorato di riferimento costituito dai settori più ricchi tra le imprese, gli artigiani e commercianti, i professionisti e le partite iva, tra cui si annida il 70% dell'evasione fiscale che si calcola in circa 90 miliardi, praticamente l'ammontare degli interessi sul debito dello Stato. Categorie che il suo governo ha favorito in tutti i modi possibili, con la flat tax per gli autonomi, il taglio dell'Irap per le imprese e con condoni fiscali di tutti i tipi, solo per restare sul tema tasse, non contando i finanziamenti agevolati e a fondo perduto, le decontribuzioni, i voucher e quant'altro. Ai disoccupati e lavoratori poveri ha tagliato invece il reddito di cittadinanza, mentre a lavoratori dipendenti in generale e pensionati, che pagano il 90% dell'Irpef, ha riservato solo il taglio del cuneo fiscale (che poi sono sempre soldi dei lavoratori distolti dal finanziamento di sanità e pensioni) e qualche decina di euro in più al mese dell'accorpamento delle prime due aliquote fiscali fino a 28 mila euro. E ciò a valere solo per quest'anno, perché per il 2025 queste misure andranno rifinanziate.
Avvicinandosi le elezioni europee questa attività della premier neofascista si va facendo sempre più frenetica, perché è assai vantaggiosa nel procacciarle voti, come stanno confermando anche le recenti consultazioni regionali. A portarla avanti per lei, sotto lo slogan “fisco amico”, è il viceministro delle finanze Maurizio Leo, un tributarista con affermato studio romano e che le studia la notte per sfornare decreti cuciti su misura per la sua ricca clientela, invece che a vantaggio dello Stato, come teoricamente dovrebbe essere: è come aver messo la volpe a guardia del pollaio, insomma.

Concordato preventivo e depenalizzazione dell'evasione
Tra le nuove misure in cantiere per l'operazione “fisco amico” della delega fiscale, sta infatti per entrare in funzione il concordato preventivo biennale, in base al quale un'azienda o una partita iva può concordare di pagare le tasse in base ad un imponibile presunto stabilito di comune accordo con l'erario, e per due anni, rinnovabili se tutto è in regola, è esentata da qualsiasi controllo fiscale. In una prima stesura la misura era riservata solo ai soggetti dotati di sufficienti parametri di affidabilità, ma poi è stato deciso di estenderla a tutti, compresi quanti hanno avuto e hanno contenziosi col fisco. Quanto ai criteri con cui fissare l'imponibile presunto, il viceministro li ha suggeriti candidamente in un'intervista al Corriere della Sera del 15 marzo, in cui ha detto: “Sarà importante gestire con cura la fase delle proposte, così da avere un alto tasso di adesione. Voglio dire che se uno ha dichiarato sempre 15 mila euro non gli posso chiedere di colpo di dichiararne 75 mila, ma certamente di allineare progressivamente il dichiarato alla realtà”. Come dire che se un contribuente ha sempre dichiarato esageratamente meno dell'imponibile presunto, invece di pretendere tutta la differenza il fisco lo premia chiedendogli solo un incremento modesto delle tasse e in cambio lo mette al riparo per due anni.
Ma non basta. Il 21 febbraio il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto attuativo della delega fiscale per depenalizzare l'evasione in piena regola, ossia la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi (Irpef) e dell'Irap (imprese), la dichiarazione infedele e l'omesso pagamento delle imposte. Il testo riduce in media fino a un terzo le attuali sanzioni, che oggi possono arrivare fino al 240% del dovuto, e che secondo Leo sono “da esproprio”. Con il nuovo testo – trasmesso alle Camere per un parere (non vincolante) delle Commissioni Finanze – le sanzioni per l'omessa dichiarazione non potranno mai superare il 120% del dovuto. E per l’infedele dichiarazione la sanzione scende dall’attuale 90-180% al 70%.
Il decreto vale solo per gli atti notificati dopo l'entrata in vigore, non è cioè retroattivo. Ciò è stato imposto dalla Ragioneria dello Stato per non aprire una voragine nel bilancio, ma si apriranno sicuramente dei contenziosi. Inoltre vengono depenalizzati i reati di omesso versamento di Iva e ritenute e anche le indebite compensazioni, purché il contribuente si metta in regola pagando il dovuto, anche a rate, esattamente come previsto per chi ha aderito alla “pace fiscale” della manovra 2023.
In questo modo si fa passare il messaggio che non presentare la dichiarazione, falsificarla o presentarla ma non pagare è tutto sommato un peccato veniale e non un reato grave, e che si può sanare con un “ragionevole” sovrapprezzo e in tante comode rate; magari senza neanche pagarle tutte e poi sparire, come ha fatto il 45% che ha optato per la “pace fiscale”, determinando un mancato introito per l'erario di 5,4 miliardi.

Discarico delle cartelle dopo 5 anni e cancellazione dell'accumulato
Non bastasse ancora, il Cdm dell'11 marzo ha approvato un altro decreto, legislativo stavolta, recante disposizioni in materia di riscossione delle imposte, con altri sontuosi omaggi per gli elettori della destra al governo, tra cui la decadenza (“discarico”) delle cartelle esattoriali dopo 5 anni dalla notifica e la dilazione dei pagamenti fino a ben 120 rate mensili.
Dal primo gennaio 2025 e dopo cinque anni di tentativi inutili di incassarli, le cartelle con i crediti affidati all’Agenzia delle entrate per la riscossione (AdER) verranno infatti restituiti ai creditori (erario, Comuni e altri enti pubblici). Questi potranno gestirli direttamente, affidarli alla riscossione dei privati o alla stessa Agenzia, ma solo in presenza di “nuovi e significativi elementi reddituali o patrimoniali del debitore”. L’Agenzia potrà farlo anche prima, se dovesse rilevare la chiusura del fallimento o della liquidazione giudiziale, oppure “in assenza di beni aggredibili” del debitore.
La restituzione delle cartelle agli enti creditori sembra più un paravento formale che altro, ed equivarrà di fatto alla cancellazione pura e semplice delle cartelle scadute, giacché non si vede come Comuni ed altri enti possano riuscire laddove ha fallito la ben più attrezzata AdER. Si tratta quindi di un evidente ammiccamento ai contribuenti più spregiudicati e disonesti a non pagare i debiti col fisco, sapendo che se riescono a resistere per 5 anni alla fine la faranno franca. Un vero e proprio incoraggiamento all'evasione fiscale con la copertura dello Stato, insomma.
Secondo il governo lo scarico delle cartelle non pagate dopo cinque anni serve per impedire che aumenti il magazzino dei crediti accumulati dall'Agenzia e che ammonta a ben 1.200 miliardi, dei quali solo 100 sarebbero realisticamente recuperabili. Ma l'obiettivo è quello di cancellare l'intero magazzino stesso, per il quale si procederà attraverso un'apposita commissione tecnica composta dalla Ragioneria dello Stato, dal Dipartimento finanze e dalla Corte dei conti. Un bel colpo di spugna dello Stato che si “arrende” agli evasori, in buona sostanza.
È vero che in buona parte si tratta di crediti inesigibili riferiti a soggetti falliti, defunti o irreperibili, ma è altrettanto vero che quasi la metà di quei 1.200 miliardi (poco più di 500) sono di contribuenti già sottoposti ad azione cautelare od esecutiva. E perché allora non vengono riscossi? Perché all'erario manca uno strumento fondamentale, la possibilità di accedere ai conti correnti degli evasori e pignorarli direttamente in banca. Il comma 100 dell'ultima Finanziaria in teoria lo permetterebbe, ma guarda caso non sono ancora stati approvati i decreti attuativi, e probabilmente mai lo saranno. La Meloni ha già dichiarato che finché ci sarà lei di questa misura “non se ne parla nemmeno”. E anche Leo, a precisa domanda dell'intervistatore del CdS su questo punto, ha pronunciato un secco: “No, noi non dobbiamo cambiare le procedure, ma renderle più efficienti. Senza vessare il contribuente”.

Pagamenti dilazionati fino a 120 rate (10 anni)
Dal primo gennaio 2025, inoltre, le cartelle esattoriali dell'Agenzia delle entrate emesse a seguito di accertamenti godranno di un aumento progressivo o anche immediato delle rateizzazioni, dalle attuali 72 (sei anni) fino a 120 rate, pari a 10 anni. I debiti col fisco fino a 120 mila euro potranno essere pagati in 84 rate (7 anni) nel 2025-26, in 96 (8 anni) nel biennio 2027-28 e in 108 rate (9 anni) a partire dal 2029, valutando se arrivare a 120 rate dal 2031. Ciò sulla base di una semplice autodichiarazione di “difficoltà” di pagamento da parte del debitore. Però chi ha debiti superiori a 120 mila euro e può documentare questa “difficoltà” (presentando un isee, o adeguati dati contabili per le aziende), potrà usufruire della rateizzazione in 10 anni fin dal 2025. Se invece il debito è inferiore a tale cifra godrà comunque di una progressione migliore, che parte da 85 rate anziché 72 nel biennio 2025-26, per arrivare a 109 dal 2029.
Fosse stato per il viceministro Leo sarebbero state aumentate le rate da 72 a 120 subito e per tutti con semplice autocertificazione, invece il complicato meccanismo di progressione è frutto di una lunga trattativa con la Ragioneria dello Stato, preoccupata per le conseguenze sui conti pubblici che un tale largheggiare avrebbe creato. Cosicché la caduta del gettito per l'erario almeno sarà graduale, con una perdita di 411 milioni nel 2030, per arrivare al pareggio con lo stato attuale solo nel 2037. Le cartelle dovranno inoltre essere notificate entro nove mesi dall'accertamento, pena l'annullamento, oltre a decadere automaticamente se non riscosse entro cinque anni, salvo che siano in corso procedure esecutive. Intanto, usufruendo di una dilazione di ben 10 anni per pagare, gli evasori incalliti avranno tutto il tempo per escogitare nuovi espedienti per sfuggire ai loro doveri o per riuscire ad assolverli al minimo.

Riduzione delle tasse ai redditi medio-alti solo con tagli alla spesa
In un convegno alla Camera il 12 marzo, presenti Leo e Giorgetti, Meloni si è vantata che il suo governo ha recuperato più soldi di tutti i precedenti dall'evasione fiscale: “Ci hanno accusato di voler aiutare gli evasori, ma i numeri non sono opinabili, nel 2023 la lotta all'evasione ha portato nelle casse dello Stato 24,7 miliardi di euro, 4,5 miliardi in più del 2022”. Falso, perché in realtà solo 19,6 miliardi derivano dalle ordinarie attività di controllo e 5,1 miliardi da misure straordinarie. Di cui 4,3 miliardi provengono dalle ripetute rottamazioni delle cartelle (siamo alla quarta), 586 milioni dalla definizione delle liti pendenti e 245 milioni dalla “pace fiscale” tanto cara a Salvini.
“Non abbiamo amici ai quali fare favori”, ha giurato la leader di FdI, “se non gli italiani onesti che pagano le tasse. E gli italiani onesti che si trovano in difficoltà meritano di essere aiutati e messi in condizione di pagare ciò che devono”. Gli onesti hanno anche assistito però al varo, nella legge di Bilancio per il 2023, di 12 tra condoni e sanatorie a vantaggio di chi aveva evaso. Che aumentano a 18 considerando tutti gli anni di vita di questo governo.
Ora il prossimo passo, hanno annunciato Meloni e Leo, è la riduzione delle tasse per i redditi medio-alti, quelli sopra i 50 mila euro: “Un passaggio storico atteso da 50 anni e di cui vado fiera, che disegna la nuova Italia e punta a uno dei grandi nostri obiettivi: la riduzione generalizzata della pressione fiscale”, ha detto la tronfia neofascista. Ma visto che l'anno prossimo ci sarà da trovare ancora 15 miliardi per rifinanziare il taglio del cuneo e la riduzione delle aliquote concessi quest'anno, da dove verranno i soldi per ridurre le tasse ai redditi medio-alti? Dall'“aumento di gettito” del Concordato preventivo biennale che riguarda oltre 4 milioni di partite Iva e autonomi, dicono la premier e il fido Leo. Peccato però che il viceministro, richiesto nella suddetta intervista di quantificare questo gettito, abbia ammesso che “oggi è impossibile fare previsioni”.
Quindi se aggiungiamo il mancato gettito da condoni, rateizzazioni e cancellazioni delle cartelle, flat tax al 15% agli autonomi fino a 85 mila euro ecc., è praticamente certo che le risorse per la detassazione dei redditi medio-alti non potrà venire dal recupero fiscale; e siccome non si può aumentare il debito, dovrebbero venire per forza dal taglio della spesa pubblica, cioè sanità, istruzione, trasporti, assistenza sociale, pensioni, e così via. E l'autonomia differenziata servirà perfettamente a questo scopo, delegando i tagli dallo Stato alle Regioni, con quelle ricche che potranno così spingere di più sulle privatizzazioni e quelle povere che non avranno altra scelta che tagliare spietatamente i servizi alla popolazione.
Noi marxisti-leninisti rilanciamo perciò le rivendicazioni del Nuovo Programma d'Azione del PMLI sul tema del fisco, tra cui:
- Sistema fiscale basato sulle imposte dirette che attui una vera ed effettiva progressività nella tassazione dei redditi, attraverso una lotta rigorosa all'evasione, erosione ed elusione fiscale e l'unicità di imposta per tutte le fonti di reddito.
- Abolizione del segreto bancario.
- Abolizione graduale delle imposte indirette a cominciare dall'Iva sui beni e servizi di prima necessità.
- Esenzione dall'Irpef per i redditi sotto i 28 mila euro (attualmente al 23%).
Imposta patrimoniale progressiva su tutti i beni immobiliari e mobiliari (titoli azionari e simili, depositi bancari ecc.), con l'esenzione della prima casa di abitazione e il piccolo risparmio entro il tetto dei 170 mila euro.

20 marzo 2024