I nazisionisti attaccano nuovamente gli ospedali di Gaza
Le principali organizzazioni della resistenza palestinese rilanciano la lotta all'occupazione. Palese l'isolamento del decaduto presidente Abu Mazen, tenuto in piedi da Usa e Ue
 
La mattina del 18 marzo i portavoce dell'esercito di occupazione sionista avvertivano che era in corso un'ennesima operazione militare “di alta precisione” contro l'ospedale Al-Shifa, o meglio contro ciò che non hanno ancora distrutto nell'attacco dello scorso novembre contro la più grande struttura ospedaliera situata nel quartiere di al-Rimal a nord della città di Gaza. Con estrema precisione le prime cannonate colpivano l'edificio della chirurgia che prendeva fuoco. Il Ministero della sanità di Gaza denunciava che erano almeno in 30.000, tra civili sfollati, ricoverati e personale medico intrappolati all'interno del complesso sanitario, circondato dai carri armati, e bersaglio dei fucili dei soldati che sparavano contro "chiunque tenta di muoversi", secondo quanto riportato dalla televisione qatariota Al Jazeera che denunciava anche le percosse e l'arbitrario arresto di uno dei suoi giornalisti e altre dozzine di civili all'interno dell'ospedale.
Il governo di Hamas della Striscia di Gaza denunciava l'attacco militare sull'ospedale Al-Shifa, ricordava che sparare all'interno di qualsiasi struttura sanitaria è "un crimine di guerra" e invitava "le Nazioni Unite, le organizzazioni internazionali e tutti i Paesi del mondo libero a intervenire urgentemente" per fermare i criminali sionisti. Per fermare la loro mano assassina che ha registrato un altro record criminale: “il numero di bambini uccisi in poco più di 4 mesi a Gaza è superiore al numero di bambini uccisi in 4 anni di guerre in tutto il mondo", denunciava l'Onu. Il bilancio della guerra a Gaza al 18 marzo è di 31.726 morti e 73.792 feriti, per la gran parte donne e bambini.
La cronaca del genocidio palestinese può ripartire dal 13 marzo con la notizia dell'attacco delle forze occupanti a Jenin, in Cisgiordania, e l'uccisione di due palestinesi e il ferimento di altri 4. I civili palestinesi erano in fila al pronto soccorso dell'ospedale Khalil Suleiman. Lo denunciavano i sanitari della struttura ospedaliera all'agenzia di stampa palestinese Wafa, che registrava l'ennesimo atto criminale dei nazisionisti anche nella Cisgiordania occupata che conferma la pianificazione del genocidio palestinese da parte del regime sionista di Tel Aviv.
Dopo gli ospedali palestinesi, e una volta distrutte scuole e moschee, l'altro bersaglio privilegiato dei nazisionisti sono rimaste le sedi delle organizzazioni umanitarie, prime fra tutte l'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, l'Unwra, che il 12 marzo aveva fornito, come richiesto, le coordinate di un proprio deposito di aiuti umanitari a Rafah. Il giorno seguente il magazzino era colpito con precisione dalle bombe sioniste. Il responsabile dell'agenzia Onu, Philippe Lazzarini, chiedeva una "inchiesta indipendente" sul raid in modo che vengano "riconosciute le responsabilità" di un attacco "ad uno dei pochissimi centri di distribuzione dell'Unrwa rimasti nella Striscia di Gaza mentre le scorte di cibo stanno finendo, la fame è diffusa e, in alcune aree, si sta trasformando in carestia". Gli occupanti nazisionisti si preoccupavano soltanto di dare ampia notizia, sempre il 13 marzo, di aver fatto passare 4 camion di aiuti entrati nel nord della Striscia, una lacrima nel mare, buona per la propaganda, ma prima dell'aggressione a Gaza ne entravano 500 al giorno; era l'ennesimo segnale per delegittimare le organizzazioni umanitarie e lasciare spazio alla farsa dell'invio degli aiuti paracadutati o portati via mare cui si sono dedicati i paesi imperialisti complici del genocidio. Una delegittimazione quella dell'Unwra che non è solo politica ma messa in pratica con una serie di attacchi non casuali dei nazisionisti a Gaza dove l'organizzazione umanitaria dell'Onu ha contato oltre 150 strutture distrutte, 400 addetti palestinesi uccisi e più di 1.000 feriti.
In merito ai rapporti con le organizzazioni umanitarie che assistevano i palestinesi possiamo registrare lo zelo dell'imperialismo italiano che col ministro degli Esteri Antonio Tajani si è immediatamente allineato agli ordini di Tel Aviv, avallati dalla neofascista Meloni, di tagliare ogni sussidio alla popolazione dopo l'attacco della Resistenza palestinese del 7 ottobre scorso e ha bloccato i fondi già stanziati alle agenzie umanitarie, persino a quelle sotto il controllo della Farnesina. Non ha tagliato invece la fornitura di materiale bellico, come denunciato dalla recente inchiesta di Altreconomia, e ha lanciato l'11 marzo l'iniziativa tutta propagandistica “Food for Gaza” (Cibo per Gaza) mentre ai militari lasciava il compito degli aiuti paracadutati sotto il cappello dell'operazione “Levante”. Una moltiplicazione di attività che potebbe fare la fine della famosa nave ospedale militare promessa dalla Farnesina ma mai arrivata nelle acque di Gaza, quando per queste cose basterebbe costringere i nazisionisti a togliere il blocco alle lunghe code dei camion carichi di aiuti fuori della striscia di Gaza.
Magari il governo della neofascista Meloni potrebbe intanto riprendere i finanziamenti all'Unwra, tagliati assieme a una quindicina di paesi imperialisti in applicazione di una richiesta da Tel Aviv. Fra questi, Canada e Svezia che hanno annunciato all'inizio di marzo la ripresa dei finanziamenti e a cui si è aggiunta il 15 marzo l'Australia, perché "secondo le valutazioni delle nostre agenzie e del governo, l'Unrwa non è una organizzazione terroristica", chiariva la ministra degli Esteri australiana Penny Wong.
Fra i colleghi del solerte filosionista Tajani ma che non lavorano secondo la verità rivelata dalle veline di Tel Aviv rileviamo anche il ministro degli Esteri brasiliano, Mauro Vieira, che il 18 marzo ha ribadito l'appoggio del suo paese alla denuncia del Sudafrica e altri paesi alla Corte dell'Aja sul genocidio palestinese a Gaza e che "è illegale e immorale privare le persone di cibo e acqua. È illegale e immorale attaccare convogli umanitari e persone in cerca di aiuto. È illegale e immorale impedire ai malati e ai feriti di accedere alle forniture mediche essenziali. È illegale e immorale distruggere ospedali, luoghi religiosi e sacri, cimiteri e rifugi".
Il 14 marzo il presidente palestinese Abu Mazen annunciava di aver dato l'incarico al suo stretto collaboratore Muhammad Mustafa di formare il 19esimo governo palestinese, dopo le dimissioni del precedente premier Mohammed Shtayyeh. Un passaggio evidentemente concordato da Abu Mazen coi suoi padrini imperialisti, Usa e Ue che puntano su di lui per governare Gaza e le poche città e campi profughi dove sono rinchiusi i palestinesi della Cisgiordania, come alternativa a Hamas. Non a caso fra i primi commenti e complimenti all'annuncio di Abu Mazen sono arrivati dagli Usa: "gli Stati Uniti si aspettano che il nuovo governo si esprima sulle politiche e sull'attuazione di riforme credibili e di ampia portata". Così dichiarava Adrienne Watson, portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale americano, come se l'Anp governasse un territorio e non quei pochi brandelli di terra simili alle riserve dell'apartheid che i militari nazisionisti e i coloni hanno lasciato ai palestinesi in Cisgiordania. A Gaza governa Hamas che ha vinto le elezioni.
Alla decisione di Abu Mazen rispondeva un comunicato congiunto delle principali organizzazioni palestinesi, Movimento di resistenza islamica - Hamas, Movimento della Jihad islamica, Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, Movimento di Iniziativa Nazionale Palestinese, che la definiva "unilaterale e divisiva" proprio "in un momento storico in cui il nostro popolo e la causa nazionale hanno più bisogno di consenso e unità, nonché della formazione di una leadership nazionale unificata, che prepari elezioni libere e democratiche con la partecipazione di tutte le componenti del popolo palestinese". In ogni caso, precisava il comunicato, "la massima priorità nazionale ora è affrontare la barbara aggressione sionista, il genocidio e la guerra per fame condotta dall’occupazione contro il nostro popolo nella Striscia di Gaza, e affrontare i crimini dei suoi coloni in Cisgiordania e Al-Quds occupata, in particolare La Moschea di Al-Aqsa, e i rischi significativi che la nostra causa nazionale deve affrontare, in prima linea il rischio continuo di sfollamento". Le quattro organizzazioni concludevano il comunicato congiunto chiedendo a "tutte le forze e fazioni nazionali, in particolare ai fratelli del movimento Fatah, di intraprendere azioni serie ed efficaci per raggiungere un consenso sulla gestione di questa fase storica e cruciale, in un modo che serva la nostra causa nazionale e soddisfi le aspirazioni del nostro popolo a estrarre i loro diritti legittimi, liberare la loro terra e i luoghi santi e stabilire il loro stato indipendente con piena sovranità e la sua capitale come Al-Quds".
Registriamo che Abu Mazen, o meglio Fatah con un comunicato, ha reagito accusando Hamas di non aver diritto di parola dopo aver provocato il massacro e il nuovo esodo dei palestinesi di Gaza e di essere al servizio dell'Iran, ricalcando le tesi dei nazisionisti e dei paesi imperialisti. Mentre il ramo militare di Fatah, le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa ha appoggiato il comunicato delle quattro formazioni della resistenza palestinese.

20 marzo 2024