Come si legge nella sentenza di appello “’Ndrangheta stragista”
“Cosa nostra e 'ndrangheta interessate alla nascita di Forza Italia”

Lo scorso 1° marzo la Corte d'assise d'appello di Reggio Calabria ha depositato le motivazioni della sentenza, il cui dispositivo era stato letto il 25 marzo 2023, relativa al processo della “'Ndrangheta stragista ” un anno fa. In 1.400 pagine i giudici hanno confermato l’ergastolo per Giuseppe Graviano, boss della mafia siciliana della cosca di Brancaccio, e per Rocco Santo Filippone, alto esponente della cosca calabrese di 'ndrangheta Piromalli, entrambi già condannati in primo grado per l'attentato in cui il 18 gennaio 1994 morirono i carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, un agguato che faceva parte delle cosiddette 'stragi continentali' che insanguinarono l'Italia negli anni Novanta del secolo scorso.
La sera del 18 gennaio 1994, lungo l'autostrada calabrese A3 all'altezza dello svincolo per Scilla, l'auto dei Carabinieri con a bordo i due carabinieri venne affiancata da un'altra auto dalla quale partirono raffiche di mitragliatrice M12, che li uccisero sul colpo: i due esecutori materiali furono già condannati in un primo processo celebrato alla fine degli anni Novanta, ma le indagini sui mandanti si riaprirono quando tre pentiti - Gaspare Spatuzza della mafia, Antonino Lo Giudice e Consolato Villani della 'ndrangheta, quest'ultimo anche esecutore materiale dell'omicidio dei due carabinieri - i quali affermarono che il capo di Cosa Nostra Totò Riina, tramite il suo fidato collaboratore Giuseppe Graviano, si era accordato con Rocco Santo Filippone, capo dell'omonima 'ndrina calabrese, per l'omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo.
L'omicidio dei due carabinieri rientrava nel contesto delle cosiddette 'stragi continentali', le cui azioni più eclatanti erano state le bombe esplose tra il maggio e il luglio del 1993 a Milano, Firenze e Roma, e dimostra che tra il dicembre del 1993 e il gennaio del 1994 alcune famiglie della 'ndrangheta della Piana di Gioia Tauro avevano accettato di partecipare alle azioni stragiste pianificate dalla mafia siciliana nell'Italia continentale al fine di costringere lo Stato ad attenuare o addirittura a eliminare il carcere duro per mafiosi e ‘ndranghetisti, e di costringerlo altresì a rivedere la legislazione sui collaboratori di giustizia: questa ricostruzione è pienamente emersa nel processo di primo grado che il 24 luglio del 2020 aveva condannato Graviano e Filippone all'ergastolo.
Ciò che il processo d'appello, però, aggiunge a quello di primo grado è la circostanza che mafia e 'ndrangheta guardavano con molta attenzione e interesse al nascente partito di Forza Italia che - capeggiato da Silvio Berlusconi, strettamente affiancato a sua volta dal mafioso palermitano Marcello Dell'Utri – le organizzazioni criminali individuavano come l'organizzazione politica più adatta a sostituire la Democrazia Cristiana in Sicilia e in Calabria.
Mafia e 'ndrangheta, anzi, ritenevano Forza Italia di gran lunga migliore della DC, e ciò per almeno due motivi.
Il primo motivo era che la Democrazia Cristiana, pur avendo politici locali conniventi con mafia e 'ndrangheta che le garantivano voti localmente, non aveva mai favorito l'espansione economica delle mafie nell'Italia centrosettentrionale, mentre Forza Italia si presentava come un partito spregiudicato che si appoggiava ad ambienti affaristici soprattutto dell'Italia settentrionale.
Il secondo motivo è che la Democrazia Cristiana non aveva tra i suoi massimi dirigenti uomini direttamente legati alla criminalità organizzata, mentre Forza Italia aveva in Marcello Dell'Utri addirittura il fondatore del partito politico che poi sarebbe stato diretto da Silvio Berlusconi, una garanzia assoluta per il mondo della criminalità organizzata in generale e per Cosa Nostra in particolare.
Non si dimentichi, infatti, che il cofondatore di Forza Italia insieme a Silvio Berlusconi fu Marcello Dell'Utri il quale il 29 giugno 1993 a Milano fu il promotore dell'associazione denominata 'Forza Italia! Associazione per il buon governo', l'organizzazione che curò, tra la metà del 1993 e l'inizio del 1994, la discesa in campo di Silvio Berlusconi fino alla creazione, il 18 gennaio 1994, dell'associazione non riconosciuta 'Movimento Politico Forza Italia', ossia del partito di cui Berlusconi divenne da subito presidente e con il quale vinse le elezioni del marzo 1994.
Con tutta evidenza – si legge nella sentenza - Cosa Nostra e la ‘Ndrangheta si interessarono al nuovo partito di Forza Italia, per come dichiarato da numerosi collaboratori. Emerge come Cosa Nostra avesse deciso di creare un movimento autonomista, al pari di quanto accadeva nel resto del Sud Italia, ma che in seguito tale progetto era stato abbandonato in favore dell’appoggio al nascente partito di Forza Italia, con alcuni dei cui esponenti i siciliani avevano avviato contatti, tant’è che le stragi cessarono nel corso dell’anno 1994, sussistendo l’aspettativa che il nuovo soggetto politico avrebbe ‘aiutato’ le organizzazioni criminali che l’avevano elettoralmente sostenuto ”.
Su 1.400 pagine di sentenza, il nome di Silvio Berlusconi compare per 183 volte e quello di Marcello Dell'Utri viene citato ben 295 volte: “non può omettersi – si legge - un riferimento alla figura di Dell’Utri, la cui immanente presenza nel processo, al pari di quella di Berlusconi, emerge dalle propalazioni dei collaboratori e dalle parole dello stesso Graviano ” in quanto lo stesso Dell'Utri “aveva favorito e determinato la realizzazione di un accordo di reciproco interesse fra i boss mafiosi e l’imprenditore Berlusconi e che l’assunzione di Vittorio Mangano ad Arcore costituiva espressione dell’accordo concluso ”.
Il mafioso Vittorio Mangano, in strettissimi rapporti con Dell'Utri, venne regolarmente assunto da Berlusconi come addetto alla scuderia della villa di Arcore tra il 1974 e il 1976, un'attività di copertura che in realtà simboleggiava il raggiungimento di un accordo di reciproco interesse tra la famiglia Berlusconi – non si dimentichi che oltre a Silvio c'era anche Paolo – e il vertice siciliano di Cosa Nostra.
La Corte d’assise d’appello non ha dubbi circa l’attendibilità del pentito Spatuzza, il quale ai magistrati ha raccontato l’incontro in un noto bar di via Veneto a Roma nei primi giorni del 1994, nel quale il boss Graviano si era mostrato “soddisfatto, dicendo che ‘avevamo portato a buon fine – si legge ancora nella sentenza - tutto quello che noi speravamo’, facendo riferimento a ‘quello del Canale 5’ ed al ‘compaesano’ ed aggiungendo di avere ‘il Paese nelle mani’ e che bisognava dare il ‘colpo di grazia’ ”.

27 marzo 2024