Intervenendo alla Conferenza di alto livello sul pilastro europeo dei diritti sociali
Draghi traccia la strategia per “un'UE adatta al mondo di oggi e di domani” in grado di competere con la Cina e gli Stati Uniti

L'Europa sta perdendo la competizione con Usa e Cina perché gioca ancora con le regole del “mondo di ieri”, e se vuole essere essere una superpotenza al passo col “mondo di oggi e di domani” ha bisogno di un “cambiamento radicale” e una “trasformazione in tutta l'economia europea”, avendo come priorità la difesa comune europea, l'energia indipendente e decarbonizzata, l'innovazione tecnologica e digitale e la crescita rapida; col sostegno di un gigantesco piano di investimenti a cui devono contribuire gli Stati ma anche il risparmio privato dei cittadini. E se non tutti i paesi membri sono d'accordo si può intanto cominciare con quelli che ci stanno.
Questa in estrema sintesi le linee guida del suo rapporto sulla competitività europea che gli era stato chiesto dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e che Mario Draghi presenterà in forma integrale il prossimo 27 giugno al primo Consiglio europeo dopo le elezioni. L'ex premier italiano le ha anticipate in un intervento alla Conferenza di alto livello sul pilastro europeo dei diritti sociali tenutasi il 17 aprile a La Hulpe, presso Bruxelles; intervento che per molti osservatori, e in particolare la stampa italiana, è stato interpretato anche come la sua autocandidatura a una tra le due più alte cariche dell'Unione europea, la presidenza della Commissione e la presidenza del Consiglio europeo.

“Basta con la concorrenza interna tra gli Stati della Ue”
Nell'analizzare le cause della perdita di competitività dell'Europa, Draghi punta il dito contro l'approccio adottato dopo la crisi del 2008 sul debito sovrano: “Abbiamo intrapreso una strategia deliberata per cercare di abbassare i costi salariali relativi l’uno all’altro – e abbiamo combinato tutto questo con una politica fiscale prociclica – l’effetto netto è stato solo quello di indebolire la nostra stessa domanda interna e minare il nostro modello sociale”, ha detto l'ex presidente della Bce, sorvolando sul fatto che egli è stato uno dei principali promotori di quella stessa politica liberista di cui si lamenta. Ma con ciò egli non intende certo proporre una ricetta diversa, basata su salari più alti e la difesa dello “Stato sociale”. In nessun punto del suo discorso c'è il minimo accenno al miglioramento dei lavoratori e ai diritti sociali della popolazione europea. Semplicemente rimprovera i governi e le imprese di aver rivolto la loro competizione liberista a spese dei lavoratori e delle masse “verso l’interno, vedendo i nostri concorrenti come noi stessi, anche nei settori della difesa e dell’energia dove abbiamo profondi interessi comuni”.
Nel frattempo, prosegue Draghi, i nostri principali concorrenti, Cina e Usa, “non stanno più giocando secondo le regole”, perché la prima “mira a catturare e internalizzare tutte le parti della catena di approvvigionamento nelle tecnologie verdi e avanzate e si sta garantendo l’accesso alle risorse necessarie”. E i secondi “stanno utilizzando politiche industriali su larga scala per attirare capacità manifatturiere domestiche ad alto valore aggiunto all’interno dei propri confini – incluso quello delle aziende europee – mentre utilizzano il protezionismo per escludere i concorrenti e utilizzano il proprio potere geopolitico per riorientare e garantire le catene di approvvigionamento”. Oggi, sottolinea il banchiere massone, “rispetto agli Stati Uniti e alla Cina investiamo meno in tecnologie digitali e avanzate, compresa la difesa, e abbiamo solo quattro attori tecnologici europei globali tra i primi 50 al mondo”, e loro hanno anche costi energetici minori e regole meno stringenti di noi.

“Bisogna sostenere – non ostacolare – la concentrazione”
La nostra risposta, lamenta Draghi, è ancora legata al “mondo di ieri”, quello prima del covid, delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente e del ritorno al confronto tra le grandi potenze. Perciò, per avere un'“Europa adatta al mondo di oggi e di domani” occorre “un cambiamento radicale”, una “trasformazione in tutta l'economia europea”, che faccia affidamento su “sistemi energetici decarbonizzati e indipendenti; un sistema di difesa integrato e adeguato basato sull’UE; produzione nazionale nei settori più innovativi e a più rapida crescita; e una posizione di primo piano nell’innovazione tecnologica avanzata e digitale che è vicina alla nostra base manifatturiera”. E siccome i nostri rivali corrono più veloci di noi, occorre fissare delle priorità, che sono “le sfide verdi, digitali e della sicurezza”.
“Occorre superare la frammentazione che impedisce all'Europa – al contrario di Usa e Cina che agiscono ciascuno come un unico soggetto – di raggiungere l'economia di scala”, prosegue l'ex premier. Specie nel settore militare, in cui 5 attori Usa dominano l'80% del suo mercato, mentre nella Ue solo il 20% degli armamenti è relativo ad appalti collaborativi, e tutto il resto proviene da fuori. A questo proposito egli ha fatto anche l'esempio delle telecomunicazioni, dove nella Ue ci sono 34 gruppi consolidati contro 3 negli Usa e 4 in Cina: “Bisogna sostenere – non ostacolare – la concentrazione”, ha esclamato il banchiere massone, anche in polemica con chi vede un pericolo monopolista nelle concentrazioni societarie transnazionali e nelle scalate finanziarie a certi gruppi come l'italiana Telecom.
Di certo la “trasformazione radicale” da lui invocata richiede investimenti colossali, specie a livello militare e tecnologico, le necessarie competenze e forza lavoro qualificata, e nuove regole politiche che superino il diritto di veto dei singoli Stati su ogni decisione importante. Solo per la transizione verde e digitale si stima una necessità di 500 miliardi l'anno per arrivare al taglio del 90% delle emissioni entro il 2040. Altri 75 servono per rispettare l'impegno Nato del 2% annuo di Pil negli armamenti, senza contare che circa 250 miliardi se ne vanno ogni anno dall'Europa destinazione Wall Street.

Investimenti pubblici e privati ingenti e “avanti con chi ci sta”
Con i bilanci degli Stati limitati dal patto di stabilità, oltre ovviamente a tagliare ulteriormente pensioni, sanità, scuola e servizi sociali, occorre pensare anche a strumenti finanziari comuni e ricorrere massicciamente al prestito privato. Draghi non si sbilancia in favore degli Eurobond, invisi alla Germania e agli altri paesi del Nord perché non vogliono condividere il debito delle nazioni del Sud. Si limita a caldeggiare un intervento pubblico comune nei settori strategici della difesa, delle reti energetiche e digitali e della catena degli approvvigionamenti. E a puntualizzare che “la maggior parte del divario di investimento dovrà essere coperta dagli investimenti privati”. “L’UE ha risparmi privati molto elevati, ma sono per lo più canalizzati in depositi bancari e non finiscono per finanziare la crescita quanto potrebbero in un mercato dei capitali più ampio. Ecco perché far progredire l’Unione dei Mercati dei Capitali (CMU) è una parte indispensabile della strategia complessiva di competitività”, sottolinea Draghi suggerendo di trovare comunque strumenti in grado di sfruttare i risparmi della popolazione europea per sostenere la necessaria crescita economica e militare della Ue.
Quanto all'“approvvigionamento di lavoratori qualificati”, indispensabile per assicurare questa crescita, il banchiere massone si limita a prendere atto che “con società che invecchiano e un atteggiamento meno favorevole verso l’immigrazione, dovremo trovare queste competenze internamente”. E, infine, siccome “data l'urgenza della sfida che affrontiamo” non possiamo aspettare il cambiamento dei trattati, egli auspica di “sviluppare ora un nuovo strumento strategico per la coordinazione delle politiche economiche. E se ciò non fosse fattibile, in casi specifici, dovremmo essere pronti a considerare di andare avanti con un sottoinsieme di Stati membri”. “I nostri rivali – ha sottolineato concludendo il suo discorso - ci stanno anticipando perché possono agire come un unico paese con una sola strategia e allinearvi tutti gli strumenti e le politiche necessarie dietro di essa. E se vogliamo eguagliarli, avremo bisogno di un rinnovato partenariato tra gli Stati membri – una ridefinizione della nostra Unione che non è meno ambiziosa di quanto abbiano fatto i Padri Fondatori 70 anni fa con la creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio”.

Le ambizioni europee del banchiere massone
L'Europa che vuole Draghi, insomma, è una fortezza impenetrabile per gli immigrati e armata fino ai denti, al cui interno il grande capitale finanziario e industriale è sempre più concentrato, lo “Stato sociale” più tagliato, i lavoratori più spremuti e le masse popolari più tosate dei loro risparmi e più private di voce e di diritti rispetto all'élite al comando, per sostenere la crescita della Ue come una superpotenza unita e coesa capace di rivaleggiare alla pari con la Cina e gli Stati Uniti nell'agone mondiale in tutti i campi, sia a livello economico che politico e militare. In un contesto globale in cui la corsa agli armamenti è ormai frenetica e generalizzata e stanno aumentando esponenzialmente i fattori di guerra, anche sullo stesso continente europeo, la dottrina del banchiere massone si inserisce non certo per proporre soluzioni alternative, bensì per spingere ancor di più l'Ue verso l'economia di guerra e alimentare le sue ambizioni di superpotenza imperialista.
Allo stesso tempo egli si è proposto di fatto come il leader europeo in grado di guidare la Ue imperialista a compiere il balzo strategico che propugna nel suo discorso. Macron è tra i capi di Stato e di governo europei che sostiene apertamente la sua candidatura, ma apprezzamenti molto eloquenti gli sono arrivati
anche dalla premier estone Kaja Kallas e, a sorpresa, perfino dal premier ungherese Orban. In Italia la sua candidatura è stata lanciata ufficialmente da Renzi, gasato all'idea di intestarsi per la seconda volta il ritorno sulla scena politica di Draghi, e sostenuta fortemente anche da Calenda e dagli ex renziani del PD. Ma pure da altri leader come Gentiloni e il sindaco di Roma Gualtieri; mentre la segretaria Schlein, per quanto riguarda il candidato a presiedere il Consiglio europeo, che spetta alla sinistra europea (la Commissione è prenotata dal Ppe con la von der Leyen), si attiene per ora al candidato ufficiale del Pse, il lussemburghese Nicolas Schmit.

Conteranno i rapporti di forza nel futuro europarlamento
Nella destra di governo le posizioni sono articolate: si va dai giudizi favorevoli di La Russa (“di certo l’ex premier ha tutti i titoli per ricoprire un incarico di prestigio”) e di Urso, per il quale le parole di Draghi sulla competitività “sono quelle di Meloni”, a quello più cauto di Tajani, che ritiene “prematuro” parlarne adesso, fino a quello decisamente avverso di Salvini. Il leader fascioleghista ha anzi pubblicato i passaggi del suo prossimo libro dedicati alla sua coabitazione al governo con Draghi rivelandone particolari non certo lusinghieri per l'ex premier, proprio per lanciare un segnale a Meloni e stroncare in partenza ogni tentazione di appoggiare la sua candidatura, se quella della von der Leyen dovesse tramontare.
Quanto a Giorgia Meloni, che con Draghi ha un rapporto molto stretto e si sente di frequente, per il momento non si espone. Ha lodato pubblicamente il suo discorso (così come quello quasi contemporaneo di Enrico Letta sul mercato interno della Ue), ma per quanto riguarda la candidatura del suo predecessore e mentore si è detta “felice che se ne parli ma per ora è solo filosofia”. La furba premier neofascista vuol vedere infatti se e come cambieranno i rapporti di forza tra le varie correnti politiche europee, e come si evolveranno di conseguenza i giochi per spartirsi le cariche della Ue. D'altra parte il suo mutuo rapporto di sostegno politico con la von der Leyen è ancora solido, e se l'Italia ottenesse la presidenza della Commissione con Draghi poi non potrebbe avere un posto di commissario già prenotato per il suo ministro Raffaele Fitto.
Per tutti questi motivi, nonostante il solito plauso pressoché corale rinnovato anche stavolta alla sua indiscussa figura, la strada verso la leadership europea non è in discesa per l'ambizioso banchiere massone, che potrebbe rischiare di fare la stessa fine ingloriosa di quando tentò di autocandidarsi al Quirinale. A meno che, come già successo in Italia col golpe bianco di Mattarella, si verifichi una situazione di stallo tra le forze politiche dopo le elezioni europee, magari in presenza di una situazione di “emergenza”, tale da richiedere un “uomo forte” alla guida dell'Ue imperialista.

24 aprile 2024