Contributi
Viaggio nella Casa dello Studente di Genova, la Casa del martirio degli oppositori del fascismo mussoliniano

di Ugo – Genova
Molti orrori che avvennero a Genova, durante il ventennio fascista, furono compiuti presso la Casa dello Studente. L’edificio venne costruito tra il 1932 e il 1935 per ospitare gli studenti universitari provenienti da altre regioni. Tuttavia, già dal 1936, il controllo della struttura, sul momento dato in gestione dell’Università di Genova, passò al Partito Nazionale Fascista di Mussolini che la utilizzò per scopi propagandistici. L’edificio era dotato di uffici, di stanze, di palestre, di una mensa, ma soprattutto di camere di sicurezza. In quelle celle, in seguito, furono segregati partigiani, antifascisti; autentici loculi dal soffitto talmente basso da non riuscire neppure a stare in piedi.
Dopo l’8 settembre del 1943 l’edificio fu requisito e divenne la sede della Gestapo. La comandava il nazista Otto Kaess. Dentro quelle mura, con l’attiva complicità della Guardia Nazionale Repubblicana, furono compiute torture, sevizie di ogni genere. Per costringere i partigiani arrestati a denunciare i loro compagni, i nazisti avevano costruito dei macchinari per spaccare le ossa, scarnificare le unghie, strappare la pelle. Agli antifascisti venivano inflitte scariche elettriche, subivano crudeltà come l’annegamento controllato. A compiere queste torture era il boia di Genova, il criminale nazista Friedrich Engel. Lo stesso Engel si rese responsabile nell’ordinare la strage della Benedicta (147 partigiani fucilati), la strage del Turchino (52 partigiani fucilati), la strage di Portofino (22 partigiani gettati in mare ancora vivi e zavorrati con pietre) e l’eccidio di Cravasco (20 partigiani fucilati).
Friedrich Engel, al termine della Seconda guerra mondiale venne condannato, in contumacia, all’ergastolo. Non scontò neppure un giorno di galera. Visse fino a 97 anni. Protetto dalla Germania che non concesse mai l’estradizione. Visse e morì da uomo libero.
Furono centinaia le antifasciste e gli antifascisti genovesi che passarono giorni e mesi fra quelle mura, sotto le “cure” del boia Engel. Molti, tutti, portarono sulla propria pelle i segni delle sevizie subite per l’intera loro esistenza. Cicatrici impresse sui corpi, ma pure dolorose lacerazioni umane, psicologiche, magari per non essere riusciti, in alcuni casi, a resistere alle violenze inflitte e alla fine, cedendo, svelato informazioni e, a volte, persino il nome del compagno-fratello-amico più prossimo, quello più prezioso, quello più amato.
Solo grazie all’Insurrezione partigiana, avvenuta il 25 Aprile del 1945, molti altri partigiani, reclusi fra quelle mura, non vennero condotti alla fucilazione, al supplizio, e salvandosi divennero, se ancora ci fosse stato bisogno, memoria storica, testimonianza, di ciò che avvenne dentro le celle della Casa dello Studente; la Casa del martirio.
Nel dopoguerra l’edificio venne restaurato, l’ingresso alle celle, alle camere di sicurezza, in cui erano avvenute le torture, ma pure varie esecuzioni sommarie, con l’evidente intenzione di fare calare su quel periodo l’oblio, venne murato e la Casa dello Studente ritornò alla sua funzione originaria.
Tuttavia, ci fu il tempo, per la città di Genova, Medaglia d’oro per la Resistenza, di subire un ennesimo oltraggio.
Nel 1950 fu nominato direttore amministrativo dell’Università di Genova, Mario Alberno; fascista della prima ora, partecipò nel 1920 ai fasci di combattimento, alla “marcia su Roma” e nel 1942 fece parte del Consiglio nazionale del PNF. Sotto la sua direzione gli orrori compiuti all’interno della Casa dello Studente caddero definitivamente nel silenzio. Solo nel 1972, a seguito di un'occupazione studentesca, e dietro l’indicazione di un partigiano di nome Livio, che ricordava perfettamente uno degli ingressi che conduceva alle celle della tortura, giovani attivisti di sinistra assieme a partigiani accorsi appositamente, abbatterono a colpi di piccone quei muri, quelle divisioni, e dopo la loro denuncia la Casa dello Studente divenne luogo della Memoria da visitare, da rivivere, per ogni antifascista.
Una targa in marmo collocata nei pressi della porta principale recita: “I martiri qui sofferenti per la Giustizia la ricordano Casa della tortura ove la barbarie fu vile nella ferocia. I Posteri memori delle cure e dei dolori la consacrarono Tempio della Patria redenta e libera per il sacrificio dei figli”.
Una piccola targa, per un luogo che deve rimanere necessariamente nella memoria collettiva perché la lotta contro la barbarie fascista non deve arretrare, come non deve mai arretrare la lotta contro ogni forma di revisionismo che vuole e cerca ogni espediente per cambiare e riscrivere la storia, per trovare una giustificazione ai carnefici.
Ancora una necessaria annotazione. Qualcosa di più che una annotazione. Livio, il compagno che svelò il punto preciso in cui vennero murati i passaggi che conducevano alle celle e alle camere della tortura, scontò, per aver giustiziato chi gli aveva assassinato il padre proprio all’interno di quell’edificio, 25 anni di carcere; per pochi giorni non poté usufruire dell’amnistia del “compagno” Togliatti.

1 maggio 2024