Al Centro di accoglienza straordinaria per migranti di Piombino
Migranti ridotti in schiavitù: caporalato, 10 ore di lavoro giornaliere a 1 euro l'ora

Lo scorso 29 aprile il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Liborno, su richiesta della locale Procura della Repubblica, ha fatto arrestare 10 persone, residenti nelle province di Siena e di Grosseto, ritenute responsabili di caporalato nei confronti di almeno 67 lavoratori stranieri di nazionalità pakistana e bengalese ospitati dal Centro di Accoglienza Straordinaria (Cas) di Piombino denominato 'La Caravella'.
È gravissimo che un Centro di Accoglienza Straordinaria, vigilato dalla Prefettura, abbia potuto consentire un simile fenomeno per molti mesi o addirittura anni senza dare l'allarme, e la responsabilità politico-istituzionale del prefetto di Livorno e del ministro dell'Interno, che avrebbero dovuto vigilare su quanto accadeva nella struttura ma che evidentemente non lo hanno fatto, deve essere messa in assoluta evidenza.
I lavoratori, come ha accertato l'indagine svolta dall'estate del 2023 fino ai primi due mesi di quest'anno, svolgevano turni anche di oltre 10 ore giornaliere dalle prime luci dell’alba fino al tardo pomeriggio per la raccolta di verdure nei campi e per la pulizia di vigneti per una paga oraria di circa 1 euro, con pesanti violazioni di norme in materia di sicurezza e igiene sul lavoro e in mancanza di qualsiasi formazione.
Inoltre l'indagine ha dimostrato che gli stipendi venivano pagati anche oltre 3 mesi, nonostante lo stato di bisogno delle famiglie dei lavoratori, e in alcuni casi è emerso perfino il mancato pagamento dei lavoratori per l’attività svolta, ed è stato altresì accertato il mancato versamento di oneri previdenziali ed assistenziali da parte degli indagati, riconducibili a sei ditte individuali, per un importo complessivo di oltre 45.000 euro con duplice danno per i lavoratori e per lo Stato: per il recupero di tali somme non versate il Giudice per le indagini preliminari ha anche disposto il sequestro preventivo a carico dei titolari di tutte le ditte coinvolte.
I dieci arrestati, tutti pakistani, sono accusati di intermediazione illecita di manodopera e di sfruttamento del lavoro: sei di loro avevano aperto una partita IVA per lavorare nel settore agricolo mentre altri quattro erano i caporali che ogni mattina andavano al centro di accoglienza straordinaria per reclutare i migranti.
Ovviamente gli imprenditori agricoli che gestivano i campi dove i migranti lavoravano non potevano non rendersi conto di quanto avveniva.
Le intercettazioni disposte dalla procura hanno potuto appurare che i migranti ridotti in questo stato di schiavitù si lamentavano della mancanza di cibo e acqua durante il lavoro, e protestavano per i turni troppo lunghi: ascoltati dai magistrati, i lavoratori sfruttati hanno dichiarato di aver risposto alle richieste dei caporali perché avevano un bisogno disperato di mandare soldi alle famiglie rimaste in patria.
Del resto, condizioni di lavoro simili sono chiaramente possibili soltanto in ragione della particolare situazione in cui versano i lavoratori extracomunitari, i quali si trovano in stato di temporanea accoglienza in un paese straniero e non hanno generalmente altro mezzo, né materiale né culturale, per guadagnare viveri da destinare ai propri bisogni ed a quelli dei loro cari, spesso rimasti nelle terre di origine in attesa di ricevere i proventi di chi si è spinto a lasciare il proprio Paese nella speranza di trovare una situazione lavorativa ed economica per uscire dalla propria condizione di povertà.
Il fenomeno del caporalato, che fino a poco tempo fa era un fenomeno quasi esclusivo del settore agricolo meridionale - e al massimo si spingeva fino alla provincia di Latina - ora si sta spostando sempre più a nord e si sta estendendo anche a settori industriali.
Infatti all'inizio di aprile la Procura di Milano ha messo in amministrazione giudiziaria la ditta Giorgio Armani Operations a seguito di un'indagine per caporalato che riguarda lo sfruttamento del lavoro in altre aziende fornitrici – tutte gestite da cinesi - inserite nel ciclo produttivo, e a farne le spese in questo caso erano almeno cinquecento operai tessili cinesi costretti a lavorare in condizioni di assoluto degrado e sfruttamento.
Lo scorso febbraio, poi, la Procura di Perugia ha iscritto nel registro degli indagati, sempre per caporalato, due dirigenti di una cooperativa sociale di Perugia legata alla Caritas: secondo i magistrati perugini tra la fine del 2019 e l’inizio del 2021 i due avrebbero reclutato nelle strutture di accoglienza 31 migranti provenienti dall’Africa e dall’Asia, per farli lavorare in condizioni pessime e per pochi euro all’ora in aziende agricole umbre.
Insomma, le notizie provenienti da Piombino rafforzano sempre di più la convinzione che il fenomeno del caporalato, lungi dall'esaurirsi, si sta addirittura espandendo verso l'Italia centrale e settentrionale e, da fenomeno prettamente agricolo quale era fino a poco tempo fa, sta iniziando a interessare anche l'industria.
 

8 maggio 2024