È un dovere antifascista contestare e non far parlare i membri del governo neofascista Meloni

Sempre più spesso ultimamente, per mettere a tacere il dissenso e reprimere le contestazioni e le manifestazioni di piazza, il governo neofascista Meloni accompagna la violenza poliziesca con una sporca tattica propagandistica che consiste nel chiamare a raccolta le istituzioni, i media di regime e perfino le opposizioni parlamentari, per fare terra bruciata intorno ai movimenti di lotta additandoli come violenti, squadristici e antidemocratici e far passare i suoi ministri e tirapiedi per vittime di censura da parte dei contestatori.
È esemplare il caso della recente contestazione delle studentesse e degli studenti liceali agli “Stati generali sulla natalità”, che hanno impedito di parlare alla reazionaria, antifemminile, omofoba, e antiabortista ministra Eugenia Roccella, episodio prontamente definito “ignobile” e di “censura” dalla premier neofascista scatenando un coro assordante dei media e dei leader politici in solidarietà alla ministra e di criminalizzazione dei contestatori; a cominciare dall'inquilino del Quirinale che li ha accusati di “voler mettere a tacere chi la pensa diversamente” mettendosi “in contrasto con le basi della civiltà e con la nostra Costituzione”. Precedentemente era successo un caso analogo con la contestazione del sedicente giornalista David Parenzo da parte degli studenti della Sapienza, dove anche in quell'occasione governo, media di regime e partiti di opposizione gridarono in coro alla “censura”, e per di più “antisemita”, contro questo propagandista filosionista impegnato a giustificare quotidianamente sui media il genocidio di Gaza.
Queste intimidazioni a mezzo governo, alte istituzioni e media di regime unificati, sono tanto più sporche e odiose perché cercano di far passare per vittime di censura chi in realtà controlla la stragrande maggioranza dei mezzi di informazione pubblici e privati, e da sopraffattori chi non ha voce e può solo farsi sentire con le contestazioni e le manifestazioni, come i giovani e gli studenti che scendono in piazza in solidarietà con il popolo palestinese, contro la catastrofe climatica e la fascistizzazione della scuola di Valditara. Per fortuna essi non si lasciano intimidire, perché sono animati da un istintivo sentimento antimperialista, antiautoritario e antifascista e da un'irreprimibile sete di giustizia, e continuano con indomito coraggio a sfidare sia i manganelli di Piantedosi che le infami calunnie del governo neofascista, coperte attivamente dal capo dello Stato e dall'acquiescenza (nel migliore dei casi), o (nel peggiore), dalla vera e propria complicità dei partiti dell'opposizione parlamentare .

Perché occorre non dare tregua al governo Meloni
Non altrettanto si può dire però di tanti intellettuali democratici, progressisti e perfino antifascisti, che tranne poche eccezioni come Tomaso Montanari, cadono nella trappola intimidatoria del governo, arrivando ad autocensurarsi preventivamente o a fare ammenda di certe loro prese di posizione per non essere linciati sui giornali e sui social media filogovernativi: è questo il caso, per esempio, del condirettore del concerto antifascista e anti Meloni del 1° Maggio a Taranto, Michele Riondino, dopo la rabbiosa reazione di La Russa e di tutto il governo al suo post che raffigurava il presidente del Senato a testa in giù. Visibilmente intimidito l'artista ha cercato dal palco di chiudere la questione con delle mezze scuse, dicendo che “mai auspicherei violenza, men che meno su qualcuno che ha legittimamente vinto le elezioni e che per questo ci governa”.
Invece non bisogna farsi legare le mani e tappare la bocca dal legalitarismo, dal democraticismo e dal costituzionalismo borghese. Non dobbiamo avere imbarazzi nell'attaccare, contestare e zittire in tutte le sedi possibili i ministri del governo neofascista Meloni, i giornalisti al suo servizio e tutti i suoi tirapiedi. Il governo Meloni non è solo un governo di destra, ma è una vera e propria associazione a delinquere che ha riportato Mussolini al governo nelle vesti femminili, democratiche e costituzionali della premier neofascista. Esso conclude infatti la marcia su Roma elettorale iniziata il 26 dicembre 1946 dal MSI di Almirante e altri reduci della Repubblica di Salò, di cui il partito di Giorgia Meloni è l'erede diretto, e che aveva come obiettivo la restaurazione del fascismo, con l'abbattimento della repubblica parlamentare nata dalla Resistenza e l'instaurazione della repubblica presidenziale, progetto ripreso e sviluppato anche dalla P2 di Gelli e attuato in parte da Craxi e Berlusconi stravolgendo a destra la Costituzione.
Ora la neofascista Meloni chiude il cerchio, completando con il suo governo e il premierato il disegno di Almirante e della P2, con l'elezione diretta del capo del governo che assume i pieni poteri come Mussolini, il parlamento e la magistratura esautorati e ridotti ad appendici agli ordini del governo e il presidente della Repubblica a una carica puramente decorativa. E questo pur avendo giurato sulla Costituzione. Anzi, è proprio facendosi scudo della Costituzione e della legalità democratica che sta sovvertendo la repubblica parlamentare e la stessa Carta del 1948. Nel frattempo, in meno di due anni, il suo governo ha già arrecato enormi danni al Paese, tagliando i diritti alla classe operaia, ai lavoratori, ai poveri, ai disoccupati, ai giovani, alle donne, ai pensionati e ai migranti, aumentando i favori agli evasori e alle classi più agiate, favorendo il malaffare e la corruzione e riducendo i poteri della magistratura per assoggettarla del tutto al potere esecutivo secondo il piano della P2, restaurando la scuola autoritaria e classista di stampo gentiliano, impadronendosi della Rai e controllando l'intera informazione, dividendo l'Italia in 20 staterelli con l'autonomia differenziata, ripercorrendo le orme espansioniste, egemoniche e colonialiste di Mussolini nel Mediterraneo, nei Balcani, nel Mar Rosso e in Africa. E a chiunque tenta di opporsi risponde col manganello, le querele, le censure, i provvedimenti disciplinari, il linciaggio mediatico. Perciò non bisogna dargli tregua.

Prendere esempio dalla rivolta antifascista del luglio '60
È un dovere antifascista denunciare questo governo neofascista e tutti i suoi misfatti a viso aperto e con la massima chiarezza, affinché le masse popolari prendano coscienza fino in fondo della sua pericolosità e della necessità di buttarlo giù con la lotta di piazza, prima che infligga altri gravi danni al Paese. Altrimenti il rischio è quello di un nuovo 1922, con l'opposizione chiusa nel suo inconcludente Aventino parlamentare, gli intellettuali e i giornalisti non asserviti al governo intimiditi e imbavagliati, e le masse lasciate sole a lottare nelle piazze contro il neofascismo dilagante; masse che oggi sono rappresentate dai giovani, dalle studentesse e dagli studenti e dai centri sociali, da alcune realtà operaie d'avanguardia come i lavoratori della GKN, dai movimenti di lotta come Non una di meno, Fraiday for future, No Tav, No Muos e No Ponte ecc.
Oggi più che mai c'è bisogno di ribellione antifascista e di contestazione aperta e di lotta di piazza a questo governo neofascista che ha rimesso l'Italia in camicia nera, rigettando il tentativo di farsi confinare in una sterile e innocua protesta tutta interna alle regole ipocrite della legalità borghese e appiattita su una Costituzione che non esiste più, in inutili polemiche contro i pericoli di una “svolta illiberale” quando il fascismo è già qui ed è al potere. Purché vedano sempre protagoniste le masse tutte le contestazioni solo lecite, anche quelle che mirano a zittire e cacciare dalle manifestazioni pubbliche i membri del governo e i loro accoliti.
Si prenda esempio dalla rivolta antifascista e anticapitalista del luglio '60 e dei giovani delle magliette a strisce, che riuscì con una spontanea, durissima ed eroica lotta di massa nelle piazze a far cadere il governo golpista Tambroni, primo tentativo di riportare il fascismo al potere con la formazione di un governo monocolore della DC con i voti determinanti del MSI e dei monarchici. Quella lotta di massa, costata 10 morti e centinaia di feriti, fu innescata dalla decisione del governo Tambroni di permettere che il MSI tenesse provocatoriamente il suo VI congresso nazionale il 2 luglio 1960 a Genova, città medaglia d'oro della Resistenza, la prima del nord a liberarsi da sola dai nazifascisti.
Se allora centinaia di migliaia di lavoratori e giovani osarono scendere risolutamente in piazza sfidando le camionette e i mitra della polizia di Scelba per impedire un congresso del MSI, perché mai si dovrebbe aver paura di essere etichettati come “delinquenti” dalla premier e dai suoi accoliti che rappresentano il neofascismo al governo? Quel che occorre oggi è ispirarsi invece a quella gloriosa lotta di massa antifascista per cacciare al più presto il governo neofascista Meloni, prima che riesca a fare altri e più gravi danni al Paese e completare il piano presidenzialista e fascista della P2.

22 maggio 2024