Chi è Bonaccini, capolista PD alle Europee nel Nord-Est
Un cane da guardia del capitalismo, ex alleato di Renzi, sostenitore dell'imperialismo europeo, dell'Autonomia differenziata, della cementificazione del territorio e della privatizzazione dei servizi pubblici

Dal corrispondente del PMLI per l'Emilia-Romagna
“Il futuro è l’Europa”, con questo slogan Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia-Romagna, in un video auto celebrativo ha accettato lo scorso 20 aprile l’invito della Segretaria del PD Eddy Schlein a candidarsi come capolista del PD nel Nord-Est alle prossime elezioni europee dell’8 e 9 giugno.
Ospitato dal “Talk” di “Tribù”, dove i politici borghesi vengono intervistati da giornalisti e commentatori in vista del voto, ha affermato: "Staremo sopra il 20%, anche più di mezzo punto in più. Quello che dovrebbe fare il PD è tornare a stare con la gente per le strade, anche rischiando i fischi e il freddo, perché per troppi anni siamo stati in pochi al caldo a darci ragione", con l’intento di dare quindi una riverniciata “popolare” a un partito completamente inglobato nel regime capitalista e staccato dalle masse e dai loro bisogni.
La storia di Bonaccini è quella di un cane da guardia del capitalismo che si è fatto tutta la trafila partendo dal PCI, attraversando tutte le “trasformazioni” del partito revisionista, cambiando corrente in base a dove “tirava il vento”, scalando le gerarchie fino a divenire un elemento di spicco del principale partito della “sinistra” borghese.
Nato nel 1967 da genitori iscritti al PCI, partito in cui milita fin da giovanissimo, viene eletto nel 1990 assessore alle politiche giovanili, alla cultura, allo sport e al tempo libero del Comune di Campogalliano (Modena). Segue l’involuzione borghese del partito revisionista passando dal PDS ai DS, dove ricopre il ruolo di segretario provinciale della Sinistra giovanile dal 1993 al 1995, quando viene eletto segretario del PDS di Modena, dove dal 1996 al 2006 è anche assessore al comune con delega ai lavori pubblici, al patrimonio culturale e al centro storico.
Nel 2007 aderisce al neonato Partito Democratico, del quale diviene subito segretario provinciale di Modena, dove è consigliere comunale dal 2009 al 2019, quando diventa anche segretario regionale del PD in Emilia-Romagna (“mozione Bersani”), e poi consigliere regionale l’anno seguente.
Dopo aver sostenuto la mozione Bersani contro quella di Renzi alle primarie del 2012, sente però che l’aria nel PD sta cambiando e prontamente cambia casacca diventando sostenitore e coordinatore della campagna elettorale di Renzi in occasione delle primarie del PD nel 2013, il quale lo ripaga per aver contribuito alla sua vittoria all'elezione a segretario del PD, nominandolo responsabile degli enti locali nella segreteria nazionale del PD.
Nel 2014 corre alle primarie del “centro-sinistra” indette dopo le dimissioni del presidente (PD) Vasco Errani. Prima si ritira dalla competizione per il suo coinvolgimento nell’inchiesta “spese pazze” poi, una volta archiviato il procedimento, si ripresenta alle primarie e le vince col 60,9% degli appena 58.000 votanti (meno degli iscritti di allora al PD in tutta la regione), per poi venire eletto governatore dell’Emilia-Romagna con appena il 49% dei voti, 37% degli aventi diritto al voto.
Nel 2015 diviene presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, e nel 2017 primo esponente politico italiano a essere nominato presidente del CEMR, il Consiglio delle città e delle regioni d’Europa, organismo che rappresenta oltre centomila autorità locali e regionali europee. Negli anni seguenti si fa alfiere dell’autonomia differenziata dell’Emilia-Romagna, e nel 2020 viene rieletto governatore, sconfiggendo la senatrice leghista ed ex sottosegretaria ai beni e le attività culturali nel governo Conte I, Lucia Borgonzoni, sponsorizzata fortemente dal caporione fascioleghista Salvini che mirava così a indebolire e a far cadere il governo Conte II in carica, provocando invece la nascita del movimento anti-leghista delle “Sardine” che contribuirono alla vittoria elettorale di Bonaccini col 51,4%. Non ancora “sazio”, il governatore prova l’ultima scalata al PD candidandosi come Segretario del partito sfidando la deputata, e vicepresidente proprio dell’Emilia-Romagna dal 2020 al 2022, Elly Schlein, la quale dopo aver perso nel voto degli iscritti prevale però alle primarie aperte nel 2023 ed è la nuova Segretaria. Bonaccini viene eletto presidente del PD su proposta della stessa Schlein, che il 20 aprile ufficializza la candidatura di Bonaccini come capolista del PD nella circoscrizione Nord-Est. Ora Bonaccini si vanta di aver realizzato tanti progetti che avrebbero migliorato la regione in questi 10 anni, sta di fatto che quello che le masse emiliano-romagnole si ricorderanno delle sue due amministrazioni è ben altro.

Bonaccini e l’Europa
"È in Europa che si costruiscono le condizioni per la pace o ci si arrende alla guerra: senza un'Europa più forte e più unita resteremo spettatori impotenti delle decisioni prese da altri. Io penso che l'Emilia-Romagna debba giocare un ruolo da protagonista in Europa”, “una difesa europea serve, non per produrre guerre, ma per rendere più forti da un punto di vista politico rispetto a mediazioni che servono a riportare la pace. Serve un'Europa che sia unita non solo nella moneta ma in politiche fiscali, sociali, di difesa, etc.”
Noi marxisti-leninisti invece, come recita il Documento elettorale del Comitato centrale del PMLI, “siamo sempre stati contro l’Unione europea, intesa come l’attuale aggregazione di Stati capitalisti e imperialisti del vecchio continente… Di fatto l'Unione europea si è smascherata davanti agli occhi dei popoli, macchiandosi degli stessi crimini imputabili all'imperialismo americano con la partecipazione di primo piano a guerre di aggressione imperialiste, contribuendo alla cancellazione del diritto internazionale, chiedendo e ottenendo più autonomia decisionale e militare all'interno della NATO. Ed ora con la messa in atto della “Bussola strategica per rafforzare la sicurezza e la difesa dell'UE nel prossimo decennio” del marzo 2022, ossia la direttiva di politica industriale e militare comune che deve portare, “con un calendario di attuazione preciso”, alla costruzione dell'esercito europeo imperialista e interventista, e le decisioni della Commissione guidata da Ursula von der Leyen e dell’ultimo Consiglio europeo con l’elmetto di Bruxelles del marzo scorso, secondo cui anche l'UE si prepara alla guerra mondiale imperialista innescata dalla Russia nazizarista di Putin incrementando l'industria bellica, rafforzando e coordinando “la preparazione militare e civile”, e chiedendo alla Banca europea per gli investimenti di finanziare l'industria bellica… Collegando la teoria e analisi leninista con l’attualità dell’integrazione europea ecco spiegato perché secondo noi, a queste elezioni per il rinnovo del parlamento europeo, occorre delegittimare l’Unione europea, che è e rimane imperialista. È questo il concetto di fondo che va spiegato all'elettorato. Sui piani economico, politico, istituzionale, militare e sociale l'UE non è né neutra, né superpartes. Essa è una organizzazione monopolistica e imperialistica, una superpotenza mondiale in lotta con le altre superpotenze per il dominio assoluto del globo... Essa è fonte di dominio, oppressione, rapina e sfruttamento dei popoli dei 27 Stati che attualmente la compongono, ma anche di quelli dell'Est europeo e dei Balcani che non ne fanno parte e del Terzo mondo. Ha operato unicamente a beneficio del grande capitale a cui ha regalato un mercato unico, prima, e una moneta unica, l'euro, e una Banca centrale, poi, che hanno obbligato i paesi aderenti a perseguire politiche ferocemente liberiste e antipopolari. L'UE è un inferno per la classe operaia, i lavoratori e le masse popolari e un paradiso per un pugno di pescecani capitalisti e per tutti i loro rappresentanti politici e istituzionali che ne eseguono i voleri. Le istituzioni dell'Unione europea non sono altro che la sovrastruttura del sistema economico capitalista europeo di cui ne difendono gli interessi. Sul piano politico esse contano relativamente in quanto il potere politico è concentrato nelle mani del Consiglio dei capi di Stato e di governo.
La potenza del capitale è tutto, la Borsa è tutto, mentre il parlamento, le elezioni, sono un gioco da marionette, di pupazzi ”, diceva Lenin, e se ciò è vero su scala nazionale lo è più che mai nell’europarlamento… Il PMLI rifiuta l'UE per principio e quindi non possiamo legittimarla presentandoci con nostre liste. Di fronte alle elezioni europee non si può ricorrere a un astensionismo tattico come per le elezioni nazionali ma strategico, poiché il nocciolo della questione rimane la scelta a favore o contro l'UE e non quella di dove collocarsi politicamente ed elettoralmente all'interno di essa. Per questo invitiamo le elettrici e gli elettori ad astenersi (disertare le urne, annullare la scheda o lasciarla in bianco). L'astensionismo è un voto pesante, che colpisce al cuore l'UE, la delegittima, le fa venire meno il consenso delle masse, la isola, la mette completamente a nudo di fronte all'opinione pubblica europea e mondiale e ne smaschera il disegno economico, politico, istituzionale e militare. L'astensionismo è un voto in difesa dell'indipendenza economica, finanziaria, politica e militare nazionale dell'Italia. L'astensionismo è l'unico voto antimperialista, specie ora che l'UE si prepara militarmente alla guerra mondiale imperialista. Questi i motivi di fondo per cui occorre delegittimare l'Europa imperialista, votandole contro con l'astensione, mentre strategicamente occorre battersi politicamente e attivamente per il suo scioglimento, la sua distruzione, iniziando a tirarne fuori l'Italia.
L'UE è irriformabile. Le sue istituzioni sono e resteranno antidemocratiche e nemiche dei popoli… Tutte le vie elettorali e parlamentari per cambiarlo sono precluse e senza sbocco, compresa quella di spostare al suo interno i rapporti di forza aumentando la rappresentanza dei partiti della "sinistra" borghese”.
A maggior ragione se di questa “sinistra” borghese fa parte anche Bonaccini, con l’astensionismo le masse lavoratrici e popolari del nostro Paese possono non solo colpire l’Unione europea e il suo parlamento borghese, ma anche l’uscente governatore dell’Emilia-Romagna Bonaccini per ciò che ha fatto, e per ciò che non ha fatto, in questi 10 anni!

L’autonomia differenziata
Già nel 2017 la giunta regionale firmò con l’allora governo Gentiloni una dichiarazione di intenti per attribuire alle regioni ulteriori “forme e condizioni particolari di autonomia" facendo da precursore all’autonomia differenziata varata dal governo neofascista Meloni, che infatti Bonaccini non condanna completamente ma anzi in un'intervista a “Il Foglio” dice: “L’autonomia differenziata è prevista dalla Costituzione, ma il disegno di legge Calderoli non c’entra nulla con quanto indicato dalla Carta. Non se ne farà nulla, mi creda. È un bluff elettorale, lo scalpo che la Lega ha ottenuto da Fratelli d’Italia in cambio del via libera al premierato voluto da Giorgia Meloni. Benefici per i cittadini: zero”, sottovalutando la gravità di una legge che spezza l’Italia in 20 staterelli.
Da una parte quindi Bonaccini denuncia l'autonomia differenziata di marca meloniana “porta i territori più ricchi ad avere di più e quelli più poveri ad arretrare ulteriormente. È il principio opposto a quello della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni da assicurare su tutto il territorio nazionale: a parole si dicono d’accordo, ma come si vede l’obiettivo concreto è opposto”, dall’altro afferma “Se invece parliamo di autonomia di spesa io sono più autonomista della Lega, che invece sta imponendo vincoli inaccettabili a regioni e comuni. Predicano l’autonomia ma poi vogliono decidere da Roma sulla testa dei territori”.
Il 5 febbraio scorso il Comitato emiliano-romagnolo contro ogni autonomia differenziata ha presentato in Regione oltre 6.000 firme a sostegno di una legge di iniziativa popolare per chiedere alla giunta il ritiro della richiesta di autonomia differenziata avanzata negli anni scorsi. “Bisogna interrompere qualunque processo di acquisizione di richiesta di ulteriore particolare autonomia differenziata, cosicché dall’eventuale ritiro delle attuali intese non possa seguirne un altro con altra maschera”, “ritirare le intese e non adempiere a quello che il ddl Calderoli già ci dice, cioè di inviare le intese già negoziate dalla Conferenza delle Regioni”. “Il presidente dell’Emilia-Romagna ha una grande occasione per dimostrare la serietà e la coerenza delle sue affermazioni - afferma il Comitato - dopo che per tre governi di seguito è andato a braccetto con la Lega. Adesso che c’è un nuovo governo si dichiara contrario al ddl Calderoli. Se fosse davvero coerente con questa sua posizione, dovrebbe ritirare le intese che ha già siglato. Sennò quel che dice è assolutamente fuffa”.
Come ha denunciato il PMLI, col varo della legge per l’autonomia regionale differenziata a firma del ministro leghista per gli Affari regionali e le autonomie Calderoli, l'Italia verrà spaccata in 20 staterelli separati, cominciando con la separazione del Nord ricco e legato all'Europa dal Sud condannato all'isolamento e al sottosviluppo. Sfruttando gli articoli 116, 117 e 119 introdotti con la controriforma federalista della Costituzione voluta dal “centro-sinistra” nel 2001 per ingraziarsi il movimento di Bossi. Il ddl Calderoli concede infatti alle Regioni che ne facciano richiesta la potestà esclusiva su ben 23 materie, tra quelle di competenza statale e quelle concorrenti tra Stato e Regioni. Un trasferimento di potere imponente dal centro alla periferia, mai neanche immaginato dai costituenti, capace di scardinare l'articolo 5 della Carta del 1948, laddove la pur riconosciuta “promozione delle autonomie locali” è subordinata alla salvaguardia della Repubblica “una e indivisibile”, che non a caso è posta in premessa. Nonché capace di violare gravemente gli articoli 2 e 3, che sanciscono rispettivamente i “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” e la “pari dignità sociale” e l'uguaglianza di fronte alla legge dei cittadini della Repubblica.
Tra queste 23 materie ce ne sono infatti parecchie di primaria importanza che concernono diritti fondamentali che dovrebbero essere costituzionalmente garantiti in ugual misura su tutto il territorio nazionale, come la tutela della salute, l'istruzione pubblica, la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, la tutela e la sicurezza del lavoro, che già sono soggetti di fatto a forti disuguaglianze di classe e territoriali, in particolare tra il Nord e il Mezzogiorno d'Italia, e che lo sarebbero enormemente di più se passasse questa legge, la quale non farebbe che cristallizzare in forma legalizzata queste intollerabili sperequazioni. In particolare ad essere demoliti per primi sarebbero i diritti universali alla sanità pubblica e alla scuola pubblica, uguali per tutti e su tutto il territorio nazionale.
D'altra parte non c'è nessuna certezza che sia garantito il principio di solidarietà tra le regioni, in particolare da quelle del Nord verso quelle del Sud, tale da impedire il loro inarrestabile allontanamento.
Per Bonaccini evidentemente non è così, visto che come considera l’autonomia differenziata: “Non se ne farà nulla, mi creda. È un bluff elettorale”. Per noi marxisti-leninisti occorre invece mobilitare tutte le forze politiche, sindacali, culturali, religiose, in parlamento e soprattutto nelle piazze, che hanno a cuore la difesa dell'unità del paese, per impedire che questo sciagurato provvedimento che spacca l'Italia e favorisce il disegno presidenzialista e piduista della premier neofascista riesca ad arrivare in porto. Il PMLI, che ha sempre denunciato e combattuto il federalismo fascioleghista che disgrega l'Italia e divide le masse lavoratrici e popolari e che ha smascherato l'infame progetto dell'autonomia differenziata fin dal suo primo apparire, è impegnato in prima fila in questa cruciale battaglia da cui dipendono i diritti e l'unità del proletariato e delle masse popolari italiane.

La strage di lavoratori
In riferimento anche all’ennesima strage di lavoratori consumatasi il 6 maggio a Casteldaccia in provincia di Palermo dove hanno perso la vita 5 operai, Bonaccini ha affermato che "Una delle priorità è quella della sicurezza sul lavoro e bisogna essere ciechi per non vederlo. Peraltro tiene insieme un tema che i sindacati stanno ponendo alla politica che è quello dei subappalti e il tema del precariato", "Io penso che su questo bisogna muoversi immediatamente, c'è troppa precarietà in questo paese fino a che il lavoro precario non sarà meno conveniente di quello stabile, per questo insisto nel taglio del cuneo fiscale". “Dimenticandosi” della strage di 7 lavoratori alla centrale idroelettrica Green Power di Bargi, nell’Appennino bolognese, dello scorso 9 aprile, in una regione, quella che lui governa da 10 anni, dove, per stare agli ultimi dati disponibili, tra gennaio/febbraio 2024 sono stati denunciati 11.820 infortuni, con un aumento del 5,1% sullo stesso periodo dello scorso anno, 9 i morti (senza contare la strage di Bargi e gli altri purtroppo deceduti dopo i primi 2 mesi del 2024) rispetto agli 8 di inizio 2023, 1.229 le malattie professionali, con un incremento del 32% rispetto alle 932 dello stesso periodo del 2023, uno stillicidio di lavoratori che si consuma ogni giorno nel nome del profitto capitalista, e che in tutta Italia conta già oltre 350 morti nei primi 4 mesi nel 2024, furono 1.500 nel 2023, mentre gli infortuni sul lavoro nei primi 3 mesi di quest’anno sono stati oltre 145.000.

“Patto per il lavoro”
Il 14 dicembre 2020 la giunta regionale ha varato il “Nuovo Patto per il Lavoro e per il Clima”, il primo fu nel 2015, definendolo "Per noi un'occasione storica, abbiamo la possibilità inedita di poter decidere cosa fare, quanto investire, dove, in un'azione condivisa" “per sostenere la ripartenza dell’Emilia-Romagna e porre basi forti e concrete a uno sviluppo sostenibile, equo, veloce, semplificato”, “Un Patto che sottolinea un nuovo e maggiore ruolo delle città e dei territori nella ricostruzione di un nuovo sviluppo, basato su buona sanità, pubblica e per tutti, con un forte rilievo dei saperi e delle competenze, stili di vita e consumi più sostenibili, centralità della scuola, digitalizzazione. Uno sviluppo equo, attento al contrasto delle diseguaglianze, una transizione ecologica che punti sul capitale umano e metta al centro il lavoro e il clima”. Patto non sottoscritto da una Rete di oltre 70 associazioni e comitati dell’Emilia-Romagna che affrontano le stringenti tematiche dell’emergenza climatica e del rapido esaurimento delle risorse naturali e i cui obiettivi principali sono quelli di trasformare l’Emilia-Romagna in una regione il cui fabbisogno energetico sia totalmente fondato su energie rinnovabili entro il 2030 e di arrivare a portarne le emissioni a zero entro il 2050 di un territorio che attualmente consuma già il +330% delle risorse disponibili.
La Rete denunciò in particolare come i principi in esso enunciati siano contraddetti nella sostanza sia dai provvedimenti sino ad allora intrapresi dalla giunta e da quelli annunciati, che “non sono supportati da interventi concreti e programmati per cui risultano del tutto insufficienti a garantire un futuro vivibile, e prestano ancora il fianco al ricatto occupazionale il quale contrapponendo lavoro e ambiente ha prodotto un’economia orientata unicamente al profitto e responsabile della più grave crisi climatica e ambientale mai vista”, “Occorre abbandonare i piani estrattivi che favoriscono l’utilizzo di fonti energetiche climalteranti (carbone, petrolio e gas, biomasse, termovalorizzatori, idrogeno da fossili) e incentivare le comunità energetiche, la microproduzione e microdistribuzione di rinnovabili. Dobbiamo rivedere i modelli di produzione alimentare (agroindustriale e allevamenti), che sono la seconda causa di cambiamenti climatici. Servono forti investimenti su mobilità pubblica e dolce, una rete ciclistica regionale efficiente su modello delle più evolute città europee, incentivi alla mobilità elettrica, e abbandonare progressivamente la motorizzazione a scoppio. Dobbiamo salvaguardare il patrimonio naturale, le risorse idriche e la loro gestione, che deve tornare ad essere pubblica. Per tutto questo occorrono tempi certi e obiettivi intermedi, con l’applicazione di indicatori differenti dal PIL, che non sempre racconta la verità sul benessere e la vivibilità di un territorio”, denunciando anche come “Una Regione Emilia-Romagna che propone l’autonomia differenziata o si candida ad ospitare le Olimpiadi non può portare avanti un’azione credibile verso i suoi cittadini che attendono azioni concrete a partire da subito e non l’ennesima operazione di marketing politico senza un corredo solido e coerente di attuazioni”.
Per i marxisti-leninisti, ieri come oggi, è evidente come la battaglia per l’ambiente non può rimanere imprigionata in questo modello economico che mette in secondo piano l'ambiente stesso, il clima, l’inquinamento e la salute pubblica, rispetto agli interessi privati dei colossi multinazionali dell’energia, dell’acqua e dei rifiuti poiché, perdurando il capitalismo, si ripeteranno nella sostanza e magari con tendenze alterne in base allo sviluppo delle mobilitazioni e delle lotte che le popolazioni saranno in grado di imbastire.
È illusorio continuare a sperare che i governi regionali, nazionali e continentali che non sono altro che organi di emanazione legislativa di coloro che in realtà detengono il potere (grandi banche d’affari e multinazionali dell’energia) si scaglino veramente contro i propri finanziatori.
Occorre battersi con forza per una riconversione energetica reale a partire dalla non più rimandabile riduzione drastica delle fonti fossili e del gas e, soprattutto, dalla eliminazione delle multinazionali dell’energia, dell’acqua e dei rifiuti che si appropriano, con la complicità dei governi, di risorse di tutti, riducendole a merce quale esclusivo mezzo di profitto, al contempo però occorre battersi contro il capitalismo perché perdurando questo sistema sarà impossibile sradicare la radice del problema, ossia la proprietà privata dei mezzi di produzione, solo col socialismo sarà possibile pianificare realmente l’economia in base alle esigenze delle masse lavoratrici e popolari e nel rispetto dell’ecosistema.

L’alluvione del 2023
Nel maggio dello scorso anno 2 alluvioni hanno colpito duramente la Regione, la prima ha colpito prevalentemente l’Emilia, ma anche la Romagna, tra il 2 e il 3 maggio provocando anche 2 morti, la seconda tra il 16 e il 17 maggio che ha devastato in particolare le province di Forlì-Cesena e Ravenna, con 14 morti, esondazioni, allagamenti, frane e smottamenti nelle zone collinari, case con l’acqua che arrivava sino al primo piano, abitazioni e strade distrutte dalle frane, auto sommerse dall’acqua, migliaia di sfollati, centinaia dei quali tutt'oggi ancora fuori casa in tutto il territorio colpito.
E da lì rimpallo di responsabilità tra il governo neofascista Meloni e il governo regionale Bonaccini, tra le amministrazioni locali di destra e quelle di “centro-sinistra”.
Mentre le masse popolari spalavano il fango dalle proprie case devastate dove tutto era andato perduto, Bonaccini e la Meloni si contendevano la nomina del commissario straordinario per l’alluvione, che poi è stata affidata al generale Figliuolo, al quale sono assegnati la gestione dei fondi e poteri speciali come lo stipulare contratti pubblici in deroga alla normativa in vigore, carica nominata dal presidente della Repubblica su indicazione del governo, che normalmente viene attribuita agli amministratori locali, ma che il governo Meloni non ha voluto cedere in vista delle elezioni europee di quest’anno e regionali del 2025 (ma che vista la candidatura di Bonaccini alle Europee, si dovrebbero tenere anch'esse quest'anno)
Sta di fatto che in base ai dati Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) proprio l’Emilia-Romagna nel 2021 è stata la terza Regione italiana per consumo di suolo, più 658 ettari cementificati in un solo anno, pari al 10,4% di tutto il consumo di suolo nazionale, ed è la prima regione in Italia per cementificazione in aree alluvionali, più 78,6 ettari nel 2021 nelle aree ad elevata pericolosità idraulica; più 501,9 in quelle a media pericolosità. In pochi anni la Regione è arrivata ad avere una superficie impermeabile dell’8,9% contro una media nazionale del 7,1%.
Il 19 dicembre del 2017 la giunta regionale dell’Emilia-Romagna aveva varato la legge sull’urbanistica (con in consenso di Confindustria e sindacati) “Disposizioni regionali sulla tutela e l’uso del territorio” entrata in vigore dal 1° gennaio 2018 con queste parole del (anche) allora presidente Bonaccini: “Oggi è una giornata importante per l’Emilia-Romagna. Decidiamo di invertire la tendenza e di frenare il consumo di suolo, scegliendo un modello di sviluppo sostenibile… Vogliamo portare avanti un’idea di uso intelligente del suolo e il tetto che abbiamo previsto del 3% quale percentuale di territorio urbanizzato nei Comuni ci rende la Regione più avanzata nella sfida contro la cementificazione e l’espansione urbanistica”. Introducendo però una fase transitoria di tre anni durante i quali i Comuni hanno beneficiato di procedure semplificate e di un periodo “franco” per poter attuare le previsioni dei Piani vigenti, con il rischio, denunciato anche dal PMLI nell’articolo pubblicato sul n. 6/2018 de “Il Bolscevico”: “di tre anni di urbanizzazione selvaggia, dopodiché perderanno il potere decisionale sulla gestione del territorio passando da pianificatori (Prg) a mediatori coi privati che propongono iniziative”.
Per non parlare delle numerose deroghe che hanno fatto assomigliare la legge sull’urbanistica più a un “colabrodo” che a una “diga” contro la cementificazione: prevedendo ad esempio che le opere pubbliche e i parchi urbani, gli insediamenti strategici di rilievo regionale e gli ampliamenti delle attività produttive esistenti non avrebbero concorso al raggiungimento del limite del 3%, la possibilità di costruire nuovi fabbricati se funzionali alle aziende agricole o se inseriti in un piano di ammodernamento dell’attività rurale. Per i progetti, agricoli o urbani, sarebbe valso lo scomputo dei contributi di costruzione fino al 50% dei costi sostenuti per lo svolgimento di concorsi di progettazione. Rendendo di fatto il limite al consumo di suolo solo virtuale, reale invece il sostegno ad un’ulteriore urbanizzazione delle imprese, con una legge incostituzionale che toglie potere decisionale ai Comuni.

Il Piano regionale sui rifiuti
Nel piano regionale di gestione dei rifiuti e bonifica delle aree inquinate 2022-2027, adottato dalla giunta regionale è stato fissato l'importante obiettivo di chiudere entro 5 anni tutte le discariche esistenti, tranne quella di Finale Emilia, lo stop alla pianificazione di nuove discariche per i rifiuti urbani indifferenziati, ma anche il mantenimento di “solo 2 impianti meccanici” a Parma e Carpi ma soprattutto dei 5 inceneritori, chiamati demagogicamente “termovalorizzatori”, a Piacenza, Parma, Modena, Granarolo, Ferrara, Forlì e Coriano”.
Alla richiesta delle associazioni ambientaliste di chiudere subito un inceneritore tra Piacenza e Forlì, e 5 entro il 2027, l'assessore all'ambiente, difesa del suolo e della costa, protezione civile dell'Emilia-Romagna la PD Irene Priolo, ora tra i papabili a succedere a Bonaccini, ha risposto che “È impossibile spegnere cinque impianti altrimenti dovremo realizzare più discariche, che sono molto più inquinanti”, il che la dice lunga sul valore dato dall'amministrazione regionale al riciclo e al riutilizzo dei rifiuti, risposta che mal si sposa poi con l'obiettivo di raggiungere l'80% di raccolta differenziata al 2025, e il mantenimento di questo valore anche per le annualità 2026 e 2027, perché a cosa serve ridurre il rifiuto indifferenziato se poi i rifiuti vanno comunque a finire negli inceneritori, che per rimanere attivi devono appunto bruciare rifiuti, altrimenti addio profitto.

Il Passante di mezzo
Il Passante di mezzo è la “soluzione” che la regione, il ministero delle Infrastrutture, il comune di Bologna, Città metropolitana Bologna e Autostrade per l’Italia hanno studiato per “risolvere” il congestionamento di traffico a Bologna dove già scorrono parallelamente tangenziale e autostrada, sottoscrivendo nell’aprile del 2016 un accordo per la sua realizzazione.
In pratica si tratta dell’allargamento dell’attuale tangenziale e dell’autostrada che per un tratto saranno composte addirittura da 18 corsie, comprese quelle di emergenza, che scorreranno tutte parallelamente, 72 metri di larghezza, 25 ettari di territorio asfaltato, in un territorio, quell’Emilia-Romagna che è già il terzo in Italia per consumo di suolo, e la Pianura Padana che è già il luogo più inquinato d’Europa, e che vedrà un’emissione di 1.850 tonnellate di C02 in più ogni anno.
I lavori, che dovrebbero terminare entro 6 anni, prevedono una spesa di 1,5 miliardi di euro, più 250 milioni per gli interventi sulla viabilità di accesso, urbana ed extra urbana.
Contro il Passante di mezzo, “Per i diritti, l’ambiente, la salute, gli spazi pubblici e comuni, una vita bella e per la pace” in 30.000 hanno manifestato lo scorso 22 ottobre scorso a Bologna, presente anche il PMLI, ma al momento gli amministratori borghesi, con Bonaccini in testa tirano dritto per la loro strada.

La gestione dell’acqua
Tradendo gli esiti del referendum del 2011, con la volontà popolare che aveva sancito la mai avvenuta ripubblicizzazione dell’acqua, la regione ha prorogato l'affidamento dell'acqua ai privati fino al 2027, con l’emendamento alla legge “Misure urgenti a sostegno del sistema economico” votato da tutta la maggioranza il 3 novembre 2021 col quale vengono prorogati gli affidamenti del servizio idrico di quasi tutta la regione fino al 2027. “Un grande regalo alle multiutilities, e in particolare ad Hera”, avevano denunciato l’associazione Acqua Bene Comune, il Forum italiano dei movimenti per l’acqua, la Rete emergenza climatica e ambientale Emilia-Romagna. “La decisione dimostra che le scelte relative al territorio regionale in tema di acqua e rifiuti sono dettate dalle grandi multiutility e che la politica si adegua. Non solo la decisione è stata presa praticamente alla chetichella, senza informare né i Comitati acqua pubblica né altri soggetti della società civile, ma rappresenta uno schiaffo rispetto al referendum del 2011”.

I Cau
CAU, cioè Centri di assistenza e urgenza sono la risposta della giunta Bonaccini alle attese “bibliche” che si registrano nei Pronto Soccorso di tutta la Regione, una riorganizzazione del sistema di emergenza territoriale che dovrebbe sgravare i Pronto Soccorso, un “lascito” che il governatore spera possa contribuire alla sua elezione al parlamento europeo, con le prevedibili dimissioni a luglio dalla Regione.
Ma al di là dei pomposi annunci del lanciatissimo Bonaccini, i Cau, benché finalizzati a parole a erogare un servizio più veloce e corrispondente agli effettivi bisogni, si prefigura piuttosto come la copertura all’ennesima riorganizzazione che a conti fatti rischia di vedere tagliati personale e servizi piuttosto che implementarli, ma non potendo procedere con ulteriori pesanti tagli “diretti” si è pensato piuttosto di “mischiare le carte” e ridistribuirle nuovamente, ma probabile che in questo modo qualche “carta” andrà persa.
Per noi marxisti-leninisti il diritto alla salute, che deve essere gratuito e universale per tutti, va garantito tramite una Sanità pubblica, universale, gratuita, gestita con la partecipazione diretta dei lavoratori e delle masse popolari, che disponga di strutture capillari di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione su tutto il territorio nazionale e sia finanziata tramite la fiscalità generale.

22 maggio 2024