Dialogo con i lettori
Credete nell'esistenza di Gesù? Era davvero un rivoluzionario?

Cari compagni e care compagne del Bolscevico.
Sono un giovane di sinistra, di recente fuoriuscito da una setta vetero cattolica, piena di tradizionalismi e bigottismo: il "Piccolo Resto" di Don Minutella. Questi è un personaggio esaltato, pieno di sé e per nulla in accordo con la ragione. Sue le affermazioni circa la natura perversa dei rapporti omosessuali di qualsiasi natura, discorso tipico della destra più conservatrice. Senza dilungarmi nello specifico, le parole dei suoi adepti e l'atmosfera che si respira ai suoi raduni puzza di superstizione, complottismo e spirito anti-marxista. Essendo io immerso in questa follia per molto tempo, sto cercando ora di comprendere le varie opinioni sulla figura di Gesù Cristo, cercando tra amici e non, siano essi credenti o meno. Volevo, di grazia, conoscere la vostra, cari compagni. Credete nella sua esistenza? Pensate egli sia stato un istruito profeta od un semplice pazzo? Era davvero così rivoluzionario come lo si figurava in ambiente socialista?
Vi sono immensamente grato e spero che a partire da questa mia lettera possa cominciare una prolifica collaborazione.
Un abbraccio
In fede, Pietro
 
Caro compagno Pietro,
bene hai fatto a liberarti dalle grinfie di quella setta vetero cattolica e bigotta che avrebbe finito per fare di te un apostolo succube della reazione oscurantista e anticomunista. E grazie per la fiducia riposta in noi, che cercheremo di guadagnarci attraverso una risposta più esauriente possibile e quindi tutt'altro che contenuta in lunghezza e in articolazione di temi trattati. Anche perché diventa l'occasione per chiarire che una cosa è la posizione di principio che abbiamo noi marxisti-leninisti verso la religione e un'altra è la nostra politica verso i credenti, a qualsiasi religione appartengano, che siano cristiani o islamici, ebrei o buddisti. Nel nostro paese, ovviamente, i cattolici hanno un ruolo preminente rispetto agli altri credenti giacché essi rappresentano una fetta importante della popolazione, influenzano partiti, istituzioni e società civile e convivono strettamente da secoli con la capitale mondiale del cattolicesimo. Per chiarire queste differenze tra la nostra posizione di principio verso la religione e la nostra politica verso i credenti ricorreremo a molte e illuminanti citazioni dei due fondatori del socialismo scientifico Marx ed Engels, in particolare di quest'ultimo che ha indagato acutamente il tema dal punto di vista storico oltreché ideologico e gli ha dedicato molte opere e riflessioni.

Religione e credenti
La nostra posizione di principio verso qualsiasi tipo di religione è scientifica e fondata sul materialismo storico ed è mirabilmente sintetizzata da Engels con le seguenti parole nell'Antidüring. “Ogni religione non è altro che il fantastico riflesso nella testa degli uomini di quelle potenze esterne che dominano la sua esistenza quotidiana, riflesso nel quale le potenze terrene assumono la forma di potenze sovraterrene. All'inizio della storia sono anzitutto le potenze della natura quelle che subiscono questo riflesso e che nello sviluppo ulteriore passano nei vari popoli per le più svariate e variopinte personificazioni. Questo primo processo è stato seguito, almeno per i popoli indoeuropei, dalla mitologia comparata, risalendo sino alla sua origine nei Veda indiani, e mostrato in particolare nel suo sviluppo presso gli indiani, i persiani, i greci, i romani, i germani e, nella misura in cui il materiale è sufficiente, anche presso i celti, i lituani e gli slavi. Ma presto, accanto alle forze naturali, entrano in azione anche forze sociali, forze che si ergono di fronte agli uomini altrettanto estranee e, all'inizio, altrettanto inspiegabili, e li dominano con la medesima necessità naturale delle stesse forze della natura. Le forme fantastiche nelle quali in principio si riflettevano solo le misteriose forze della natura, acquisiscono di conseguenza attributi sociali e diventano rappresentanti di forze storiche. Ad un grado di sviluppo ancora posteriore tutti gli attributi naturali e sociali dei molti dei vengono trasferiti ad un solo dio onnipotente che a sua volta è, esso stesso, solo il riflesso dell'uomo astratto. Così sorse il monoteismo, che fu storicamente l'ultimo prodotto della tarda filosofia volgare greca e trovò la sua incarnazione in Jahvè, dio esclusivamente nazionale degli ebrei. In questa forma comoda, palpabile, adattabile a tutto, la religione può continuare a sussistere come forma immediata, cioè sensibile, dell'atteggiamento degli uomini verso le forze naturali e sociali estranee che li dominano sino a quando gli uomini sono sotto il dominio di tali forze. Ma abbiamo visto ripetutamente che nella società borghese attuale gli uomini sono dominati, come da forza estranea, dai rapporti economici creati da loro stessi e dai mezzi di produzione da loro stessi prodotti. La base reale dell'azione riflessa della religione continua dunque a sussistere e con essa lo stesso riflesso religioso. E anche se l'economia borghese dà adito ad una certa conoscenza del nesso causale di questo dominio estraneo, ciò in sostanza non cambia niente. L'economia borghese non può né in genere impedire le crisi, né garantire il singolo capitalista da perdite, cattivi debitori e fallimenti e neppure garantire il singolo operaio dalla disoccupazione e dalla miseria. Si dice sempre: l'uomo propone e dio (cioè il dominio estraneo del modo di produzione capitalistico) dispone. La semplice conoscenza, anche se va molto più lontano e molto più a fondo di quella dell'economia borghese, non basta per sottomettere le forze sociali al dominio della società. Per questo occorre anzitutto un'azione sociale. E quando quest'azione sarà compiuta, quando la società, mediante la presa di possesso e l'uso pianificato di tutti i mezzi di produzione, avrà liberato se stessa e tutti i suoi membri dall'asservimento in cui essi sono mantenuti al presente da questi mezzi di produzione prodotti da loro stessi, ma che si ergono di fronte a loro come una prepotente forza estranea, quando dunque l'uomo non più semplicemente proporrà, ma anche disporrà, allora soltanto sparirà l'ultima forza estranea che ancora oggi ha il suo riflesso nella religione e conseguentemente sparirà anche lo stesso riflesso religioso, per la semplice ragione che non ci sarà più niente da rispecchiare.”
Una cosa è la nostra posizione di principio verso la religione e un'altra cosa è la nostra politica verso i credenti, perché il non poter essere membri del partito marxista-leninista non impedisce loro di essere simpatizzanti stretti e attivi intorno e insieme al Partito del proletariato, se ne condividono la strategia e la politica, obiettivi a lungo o breve termine, la condotta e le battaglie. Sembra un paradosso ma non lo è. Basta solo conoscere le differenze che separano i fondatori del socialismo scientifico Marx ed Engels anche rispetto alle più radicali, feroci e avanzate correnti borghesi e illuministe, nella critica alla religione.
A proposito del cristianesimo Engels spiegava che non si trattava semplicemente di smascherarne l'impostura e la falsificazione della storia su cui è fondato, come si limitavano a fare gli anticlericali borghesi. Egli vede nel cristianesimo non solo il prodotto della crisi e del declino del mondo tardo antico e dell'impero romano ma anche il naturale passaggio dalle mille primitive e ingenue religioni fondate su fantasiose e bizzarre divinità sovrannaturali al monoteismo e l'affermazione di un unico dio cristiano che finì per fagocitarle tutte e per prevalere sulle tante religioni che brulicavano in quell'epoca. “Una religione che ha sottomesso a sé l'impero mondiale romano, e che ha dominato per 1800 anni la massima parte dell'umanità civile, non si liquida -avverte Engels nell'articolo Bruno Bauer e il cristianesimo primitivo - spiegandola puramente e semplicemente come un insieme di assurdità originate da impostori. Si liquida, semmai, solo quando se ne sappia spiegare l'origine e lo sviluppo dalle condizioni storiche nelle quali è sorta ed è giunta a dominare. Ciò vale in modo speciale per il cristianesimo. Si tratta precisamente di risolvere la questione di come accadde che le masse popolari dell'impero romano preferirono questa assurdità, per di più predicata da schiavi e da oppressi, a tutte le altre religioni, tanto che alla fine l'ambizioso Costantino poté vedere nell'adozione di questa assurda religione il mezzo migliore per affermarsi come unico dominatore del mondo romano.”

La maschera religiosa
Nella storia passata e presente dietro la “maschera religiosa ” si nascondono in realtà contraddizioni e conflitti di classe originati da cause e interessi economici e politici. Così è stato nelle sollevazioni dei movimenti di massa nel medioevo che invocavano la “restaurazione del cristianesimo primitivo degenerato da secoli ”. “Anche nelle cosiddette guerre di religione del secolo decimosesto - spiega Engels nella Guerra dei contadini in Germania - si trattò, anzitutto, di interessi di classi, molto concreti, molto materiali, e queste guerre furono lotte di classi precisamente come le successive collisioni interne in Inghilterra e in Francia. Se queste lotte di classi portarono allora parole di ordine religiose, se gli interessi, i bisogni, le aspirazioni delle singole classi si nascosero sotto una maschera religiosa, questo non altera per niente la sostanza della cosa e si spiega facilmente con le condizioni dell’epoca.
Così è stato per la contrapposizione tra i cattolici irlandesi e i protestanti inglesi nella lunga lotta intrapresa dall'Irlanda per l'indipendenza e emancipazione nazionale dalla dominazione imperialista inglese. In una lettera a Jenny Longuet del 24 febbraio 1881 Engels scrive: “L’Irlanda era cattolica, la protestante Inghilterra repubblicana... Ogni riforma protestante, come ben sa ogni studioso di storia... era un piano generale di confisca di terre. All’inizio furono prese le terre dalla chiesa. Poi i cattolici, ovunque i protestanti erano al potere, furono dichiarati ribelli e le loro terre confiscate.” E Marx nel 1867 aggiunge: “Sotto la regina Anna, con l’aiuto della legge penale protestante, la nuova aristocrazia ebbe ogni libertà di azione. Il parlamento irlandese era uno strumento di oppressione. I cattolici non erano autorizzati ad occupare un posto di funzionario, non potevano possedere terre, non gli era permesso di fare testamento né di ricevere in eredità; essere un vescovo cattolico era considerato alto tradimento. Tutto per spogliare gli irlandesi delle loro terre.” Ai giorni nostri gli imperialisti dell'Ovest agitano ancora lo spauracchio del travestimento religioso per criminalizzare e demonizzare come barbari e “tagliagole” i movimenti antimperialisti islamici e per nascondere che in realtà ci troviamo di fronte alla contrapposizione tra imperialismo e nazioni e popoli oppressi, tra guerre di occupazione e guerre di liberazione, guerre ingiuste di conquista e guerre giuste di difesa, indipendenza e autodeterminazione. Da sempre gli aggressori si attribuiscono il ruolo di portatori della civiltà contro la barbarie. Persino i partigiani durante la Resistenza erano dipinti dagli occupanti nazisti come banditi, terroristi e assetati di sangue, erano accusati dei più efferati, gratuiti e indiscriminati crimini ai danni di bambini, donne e innocenti e tutto ciò per evitare di far conoscere le loro ragioni, i loro programmi politici, i contenuti delle loro denunce. E così nazisti e fascisti potevano giustificare orrende stragi come quella delle Fosse Ardeatine.
Per capire davvero la posta in gioco e le vere ragioni che originano e alimentano una guerra o un conflitto non dobbiamo mai lasciarci abbagliare da tali dispute di carattere religioso ma piuttosto andare alla sostanza delle contraddizioni esaminando ogni volta gli interessi economici in gioco, i bisogni, le aspirazioni delle singole classi e gli obiettivi politici dei Paesi e popolazioni coinvolti.

Introduzione all'analisi della figura di Gesù
Dopo questa doverosa premessa cerchiamo ora di rispondere alla tue tre domande
La prima è se i marxisti-leninisti credono nell'esistenza della figura storica di Gesù.
La seconda è se egli sia da considerare un istruito profeta o un semplice pazzo.
La terza è se sia stato così rivoluzionario come lo si è considerato in ambienti socialisti.
Qui non ci interessa il dogma di fede del Gesù Messia, figlio di Dio ed elemento costitutivo della Trinità. Ci interessa esaminare la figura storicamente determinata dell'uomo Gesù Nazareno. Sebbene sia stata non di rado negata la sua esistenza storica e comunque considerata una figura controversa e mitologica, sembra oramai accertata dalla ricerca moderna e contemporanea l'esistenza del "Gesù storico" desunto dalle fonti a nostra disposizione (controverse anch'esse perché gli studiosi non concordano sul valore da attribuire ai documenti originali e in particolare ai vangeli sinottici scritti solo decine di anni dopo la sua morte), che tuttavia non riusciranno mai a far piena luce su chi fu effettivamente e che vita condusse il “vero Gesù”, presumibilmente un predicatore ebreo vissuto nei primi anni del I secolo nelle regioni della Palestina. ”Fra le migliaia dì profeti e di predicatori nel deserto, che riempivano quell'epoca con le loro innumerevoli innovazioni religiose, soltanto i fondatori del cristianesimo hanno avuto successo” , e tra costoro evidentemente s'impose Gesù Nazareno. “Il cristianesimo, - chiarisce Engels nell'articolo L'Apocalissecome ogni grande movimento rivoluzionario, è stato fatto dalle masse. È nato in Palestina, in una maniera che a noi è del tutto sconosciuta, in un tempo in cui le nuove sette, nuove religioni, nuovi profeti nascevano a centinaia.” Ma come tutti ben sanno il cristianesimo primitivo, pur con tutte le sue ambiguità e contraddittorietà, non è in alcun modo assimilabile al cristianesimo che si impose come religione di Stato.
“Basta il fatto che 250 anni dopo la sua origine il cristianesimo – spiega Engels nel suo Ludwig Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca - divenne religione di Stato, per provare ch’esso era la religione corrispondente alle condizioni dell’epoca. Nel Medioevo, nella misura in cui il feudalesimo si sviluppava, il cristianesimo si trasformava nella religione corrispondente al feudalesimo con una corrispondente gerarchia feudale. E quando sorse la borghesia, in opposizione al cattolicesimo feudale si sviluppò l’eresia protestante, dapprima nella Francia meridionale con gli albigesi, nel periodo di maggior fioritura delle città in quella regione. (…) Con ciò il cristianesimo era entrato nel suo ultimo stadio, era diventato incapace di servire ancora a una qualsiasi classe progressiva come travestimento ideologico delle sue aspirazioni. Esso diventò sempre più possesso esclusivo delle classi dominanti, e queste lo impiegano unicamente come mezzo di governo, per mantenere sotto il giogo le classi inferiori. Ognuna delle diverse classi, quindi, utilizza la religione che le corrisponde. L’aristocrazia fondiaria, il gesuitismo cattolico o l’ortodossia protestante; la borghesia liberale e radicale, il razionalismo; e non ha nessuna importanza il fatto che i signori credano o non credano alle loro rispettive religioni.”
I capitoli successivi tratteranno distintamente ognuna delle tue tre domande, e solo di esse.

Storicità di Gesù di Nazareth
Lo storico romano Gaio Svetonio Tranquillo – che ricoprì gli incarichi amministrativi di procurator a studiis sotto l'imperatore Traiano (che governò Roma dal 98 al 117) e di procurator a bibliotecis nonché di procurator ab epistulis sotto il successore Adriano (che governò dal 117 al 138) – nel quinto libro della sua opera De vita Caesarum scrive che l'imperatore Claudio (che governò dal gennaio dell'anno 41 all'ottobre del 54) “espulse da Roma i Giudei i quali, istigati da Cresto, provocavano continuamente dei tumulti ” (nel testo latino si legge “Iudaeos, impulsore Chresto, assidue tumultuantes Roma expulit ”).
In parole povere, lo storico afferma che tra il 41 e il 54 a Roma c'era una comunità di ebrei che seguivano l'esempio di Gesù di Nazareth al quale già attribuivano l'appellativo di 'Cristo' ossia di 'unto' dal Signore, ed erano piuttosto numerosi, al punto di turbare l'ordine pubblico in città.
La testimonianza di Svetonio è importantissima e degna della massima attenzione in quanto egli, in virtù degli alti incarichi amministrativi ricoperti, poté accedere agli archivi centrali dello Stato romano dove erano conservate relazioni (che non sono giunte fino a noi) nelle quali i magistrati competenti in materia di ordine pubblico compilavano periodici rapporti sulla materia di propria competenza.
Il fatto che lo storico, che scrive in latino, identifichi il nome del predicatore con il nome di 'Chresto ' è sicuramente il frutto di un errore non suo, ma del magistrato romano dell'epoca di Claudio che stilò la relazione (o dei suoi informatori che gli riferirono sulla sommossa) il quale anziché scrivere in latino 'Christo ' (dal greco 'Christós ' ovvero 'Χριστός ' che significa 'unto' ossia 'consacrato') scrisse 'Chresto ' (dal greco 'Chrestòs ' ovvero 'χρηστός ' che significa 'buono').
La notizia della presenza di una comunità cristiana a Roma tra il 41 e il 54 e il fatto che le comunità cristiane dell'origine erano composte principalmente da ebrei concorda pienamente con quanto afferma il libro biblico degli Atti degli Apostoli che, insieme al Vangelo di Luca di cui costituisce il seguito, fu scritto nella stesura a noi giunta – in base alle ultime ricerche storiche - tra l'anno 60 e l'anno 90 (quindi sicuramente prima dell'opera di Svetonio) e che fornisce un resoconto dettagliato della primitiva comunità cristiana nell'arco temporale che va dall'anno 30 al 63. Atti XVIII: 1, 2 (CEI) ci informa infatti che nell'inverno dell'anno 50 “Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto. Qui trovò un Giudeo chiamato Aquila, oriundo del Ponto, arrivato poco prima dall'Italia con la moglie Priscilla, in seguito all'ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i Giudei ”, confermando quindi il racconto di Svetonio relativo alla sommossa e alle sue immediate conseguenze. In seguito, Atti XXVIII: 14 – 16 (CEI), a proposito dell'arrivo di Paolo di Tarso a Roma tra il 59 e il 61, attesta: “partimmo quindi alla volta di Roma. I fratelli di là, avendo avuto notizie di noi, ci vennero incontro fino al Foro di Appio e alle Tre Taverne. Paolo, al vederli, rese grazie a Dio e prese coraggio. Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per suo conto con un soldato di guardia ”. A parlare in prima persona è Luca, compagno di Paolo nel viaggio verso Roma, al quale viene attribuita la stesura del testo degli Atti. Degno di nota è il fatto che ad attendere Paolo c'è una nutrita comunità cristiana che addirittura invia una delegazione ad accoglierlo a circa 50 chilometri a sud di Roma (Forum Appii e Tres Tabernae erano stazioni di posta e di cambio di cavalli situate nei pressi dell'attuale Cisterna di Latina).
Negli Annales dello storico romano Publio Cornelio Tacito, scritti all'inizio del II secolo, ci sono interessanti resoconti a proposito della presenza dei cristiani a Roma, e anche la sua testimonianza, come quella di Svetonio, è importante, in quanto ricoprì le cariche di quaestor , praetor , consul suffectus e di proconsul – ossia di governatore - della provincia senatoria dell'Asia Proconsularis , per cui è difficile non abbia basato la sua narrazione storica su fonti ufficiali che per noi sono perdute, ma che egli certamente aveva a disposizione. Nel quindicesimo libro degli Annales egli scrive, a proposito della responsabilità dell'incendio scoppiato nel luglio dell'anno 64 a Roma, che “Nerone fece considerare colpevoli e condannò ai tormenti più raffinati quei cosiddetti cristiani, che il volgo odiava per le loro nefandezze ” (nel testo latino si legge ”Nero subdidit reos et quaesitissimis poenis adfecit, quos per flagitia invisos vulgus Chrestianos appellabat ”). Lo storico subito dopo fa anche una presentazione del cristianesimo e del suo fondatore: “essi prendevano - scrive Tacito - il nome da Cristo, che era stato sottoposto a supplizio dal procuratore Ponzio Pilato mentre Tiberio era imperatore, e quell'abominevole superstizione, repressa per breve tempo, aveva ripreso vigore non soltanto in Giudea, luogo d'origine di quel male, ma anche a Roma, dove tutte le cose atroci e vergognose confluiscono da ogni parte e trovano seguaci ” (nel testo latino si legge “auctor nominis eius Christus Tiberio imperitante per procuratorem Pontium Pilatum supplicio adfectus erat; repressaque in praesens exitiabilis superstitio rursum erumpebat, non modo per Iudaeam, originem eius mali, sed per urbem etiam, quo cuncta undique atrocia aut pudenda confluunt celebranturque ”).
Interessanti sono le notazioni di Tacito che confermano quanto scritto nei quattro Vangeli riguardo alla figura di Gesù, alla sua condanna a morte e anche alla storicità del governatore, nonché giudice nel processo contro Gesù di Nazareth, Ponzio Pilato, il quale nelle fonti antiche era menzionato in questi testi e pochissimi altri, e la cui esistenza storica era stata messa in dubbio già a partire dall'illuminismo: tuttavia a Cesarea marittima, in Israele, fu ritrovata nel 1961 un'iscrizione nella quale inequivocabilmente si leggono le parole “Ponzio Pilato ” e “prefetto della Giudea ” (in latino “Pontius Pilatus ” e “praefectus Judeae ” con un riferimento all'imperatore Tiberio (che governò dal 14 al 37), per cui è assodato storicamente che egli, in qualità di governatore di quel territorio dal 26 al 36, era il magistrato romano a possedere l'imperium – ossia un potere illimitato sulle popolazioni provinciali non romane - in quel territorio proprio nell'epoca in cui tradizionalmente si colloca la vita di Gesù, e il suo imperium si concilia perfettamente con il procedimento giurisdizionale sommario al termine del quale Gesù – che era soltanto agli occhi del governatore un suddito provinciale e non un cittadino romano - fu condannato a morte sulla base di una specifica norma del diritto romano, come si vedrà.
A tal proposito fondamentale è il ritrovamento in Egitto nel 1920, ad opera dell'antiquario britannico Bernard Grenfell, del Papiro 52, detto anche Papiro Rylands 457, un frammento, attualmente conservato presso la biblioteca dell'Università di Manchester, in Inghilterra, contenente sulla parte anteriore il testo frammentario del Vangelo di Giovanni XVIII: 31 – 33 e su quella posteriore il testo frammentario di Giovanni XVIII: 37 – 38, entrambi corrispondenti esattamente a una parte della narrazione del processo a Gesù nell'esatto testo greco tramandato nei secoli fino a noi. Il papiro è datato dagli studiosi attorno all'anno 125 e comunque sicuramente prima del 150, ed è la documentazione più antica pervenutaci di un testo del Nuovo Testamento.
Tali fondamentali scoperte archeologiche, fatte una in Medio Oriente e una in Egitto, sembrano dare corpo e sostanza a ciò che aveva scritto con lungimiranza e umiltà scientifica Friedrich Engels, nel secondo capitolo della sua opera Sulla storia del cristianesimo primitivo pubblicata nella rivista Die Neue Zeit tra il 1894 e il 1895, a proposito del dibattito tra chi, ai suoi tempi, accoglieva risolutamente, seppur criticamente, la narrazione tradizionale su Gesù (come la Scuola di Tubinga) e chi negava drasticamente la stessa esistenza storica dello stesso Gesù (come Bruno Bauer): “la verità fattuale – scriveva Engels - si trova tra questi due limiti. È molto dubbio che questa verità possa essere definita con i mezzi a nostra disposizione oggi. A ciò contribuiranno più di ogni critica le nuove scoperte, soprattutto a Roma, in Oriente e soprattutto in Egitto ”.
Tornando al Papiro 52, il primo dei due brani in esso contenuti, Giovanni XVIII: 31 – 33, nella traduzione della CEI, è il seguente: “Allora Pilato disse loro: 'Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!'. Gli risposero i Giudei: 'A noi non è consentito mettere a morte nessuno'. Così si adempivano le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva morire. Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: 'Tu sei il re dei Giudei?' ”.
Il secondo, nella stessa traduzione, è il seguente: “Allora Pilato gli disse: 'Dunque tu sei re?'. Rispose Gesù: 'Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce'. Gli dice Pilato: 'Che cos'è la verità?'. E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: 'Io non trovo in lui nessuna colpa'”.
Il testo tratta del processo a Gesù, come testimoniato nel Vangeli, e si riferisce alla proclamazione, da parte del Nazareno, di essere un re, anche altrove egli specifica che il suo regno non è di questo mondo: tuttavia il diritto romano, e precisamente la lex Iulia de maiestate fatta approvare da Cesare Augusto nell'anno 8 a.e.v. (avanti l'era volgare), destinata ai cittadini romani e ad essi applicata, puniva con la morte sia i cittadini romani sia, per estensione, i sudditi provinciali dell'impero (Gesù per Roma era uno di questi ultimi) che avessero attentato ai simboli dell'autorità di Roma, tra le quali l'autorità dello stesso imperatore, e nella fattispecie criminale era ovviamente ricompresa l'arbitraria dichiarazione di essere un sovrano. Per i cittadini romani per questo delitto era prevista la tortura e la pena di morte, che il condannato poteva evitare con l'esilio lontano dalla propria residenza, ma Ponzio Pilato non fece altro che estendere, sulla base del proprio imperium , a un suddito provinciale – Gesù di Nazareth era tale per le autorità romane – la norma legislativa voluta da Cesare Augusto. I Vangeli narrano di una certa titubanza da parte del governatore, perché probabilmente aveva compreso che Gesù si stava proclamando re di un regno esclusivamente spirituale, ma alla fine lo condannò a morte nel modo a tutti noto. Si consideri anche che il successore di Cesare Augusto, Tiberio, aveva inasprito la lex Iulia de maiestatis prevedendo nell'anno 15 e.v., insieme ad altre forme di esecuzione, anche la crocifissione, e secondo tutti e quattro i Vangeli Gesù fu prima torturato e poi crocifisso.
Fondamentale come testimonianza storica relativa al cristianesimo primitivo è anche la lettera ufficiale inviata tra il 111 e il 112 da Gaio Plinio Cecilio Secondo, legatus Augusti pro praetore – ossia governatore – della provincia imperiale della Bithynia et Pontus , all'l'imperatore Traiano, che era tra l'altro un suo amico personale. La lettera di Plinio, e la successiva risposta di Traiano sono state pubblicate nel decimo libro delle Epistulae di Plinio. Quest'ultimo scrive la lettera a Traiano per chiedergli come comportarsi con i cristiani residenti nella sua provincia – e parecchi di loro erano cittadini romani - i quali si rifiutavano di rendere il culto alle divinità ufficiali dello Stato romano, tuttavia – scrive il governatore – essi affermavano “che tutta la loro colpa o errore consisteva nell'essersi frequentemente prima dell'alba e avere intonato a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un dio, e di essersi obbligati con un giuramento non a perpetrare qualche delitto, ma a non commettere né furti, né frodi, né adulteri, a non mancare alla parola data e a non rifiutare la restituzione di un deposito, qualora ne fossero richiesti ” (in latino “hanc fuisse summam vel culpae suae vel erroris, quod essent soliti stato die ante lucem convenire, carmenque Christo quasi deo dicere secum invicem seque sacramento non in scelus aliquod obstringere, sed ne furta ne latrocinia ne adulteria committerent, ne fidem fallerent, ne depositum appellati abnegarent ”). Come si può vedere, Plinio attesta che i cristiani agli inizi del secondo secolo si rivolgevano a Gesù come fosse una divinità, e che, pur non prestando il dovuto culto alle divinità ufficiali romane, si difendevano affermando di impegnarsi continuamente a tenere comunque una condotta morale e giuridica ineccepibile, rassicurando così il governatore. La questione politica e giuridica, però, era che i cristiani non rendevano omaggio alle divinità ufficiali romane, e Traiano rispose, con un suo rescriptum – ossia una lettera ufficiale che conteneva principi giuridici e che, inserita nell'archivio del governatore, aveva valore di fonte giuridica per i successori nella carica – nel quale invitava l'alto funzionario a una posizione equilibrata e a non organizzare arbitrarie persecuzioni.
Attualmente la stragrande maggioranza degli storici – alla luce di quanto esposto circa la vita di Gesù e circa l'esistenza precoce di comunità che a lui si ispiravano - non hanno dubbi circa l'esistenza storica di Gesù di Nazareth, e deve ritenersi sorpassata la tendenza storiografica che vorrebbe negare qualsiasi storicità della sua figura: considerando gli avvenimenti storici e astronomici nonché nomi di governanti della Palestina messi in relazione con la sua nascita dalle narrazioni dei vangeli di Matteo e di Luca, gli storici oggi ritengono che egli sia nato tra il 10 e non più tardi del 4 a.e.v. nella cittadina di Betlemme, nell'attuale Cisgiordania, e per quanto riguarda il luogo e la data della morte, alla luce delle indicazioni cronologiche ben più precise contenute in tutti e quattro i vangeli, gli studiosi non hanno dubbi che morì a Gerusalemme o il 7 aprile del 30 o il 27 aprile del 31 o il 3 aprile del 33, con una maggiore sicurezza per la prima di queste tre date.
Al momento della morte, quindi, egli aveva un'età variabile tra un minimo di 34 anni e un massimo di 43, e quest'ultima età è forse la più vicina alla realtà storica. In effetti il Vangelo di Giovanni narra che durante una sua discussione con alcuni ebrei durante la quale Gesù affermò che il patriarca Abramo lo avrebbe incontrato personalmente millenni prima, uno di questi ultimi gli disse “tu non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abraamo? ” (Giovanni VII: 57, Nuova Riveduta), per cui è ragionevole pensare che egli avesse l'aspetto di un quarantenne più che di un trentenne.
Nessuna testimonianza contemporanea o immediatamente successiva, invece – né del Nuovo Testamento né in storici non cristiani – ci riferisce dell'aspetto fisico di Gesù di Nazareth, neppure in modo sommario, per cui le raffigurazioni artistiche tradizionali che lo riguardano sono totalmente arbitrarie dal punto di vista storico: neppure l'immagine della Sindone di Torino, ritenuta dai fedeli per molti secoli fino agli ultimi anni del Novecento addirittura l'immagine impressa su un lenzuolo dal suo cadavere, può essere utile in quanto nell'aprile del 1988 uno studio condotto da tre laboratori indipendenti ha dimostrato che il tessuto nel quale è impressa l'immagine risale al periodo che va dal 1260 al 1390, per cui si tratta di un reperto totalmente inattendibile per stabilire le sue sembianze fisiche.

Gesù di Nazareth era un istruito profeta e non un pazzo
Per ricostruire l'originale messaggio di Gesù di Nazareth bisogna partire da una premessa, perché tra i 27 libri – tutti scritti in greco - che compongono il Nuovo Testamento i primi ventisei (ossia i quattro vangeli, gli Atti degli Apostoli e le ventuno lettere) hanno una notevole affinità e omogeneità riguardo al contenuto del messaggio attribuito a Gesù e sono contraddistinti da grande chiarezza espositiva e dottrinale, mentre l'ultimo testo, l'Apocalisse – che in greco significa 'rivelazione' – attribuito tradizionalmente all'apostolo Giovanni, contiene una narrazione di avvenimenti futuri di difficile decifrazione e interpretazione, che comprendono il combattimento tra Dio e il demonio, la fine del dominio politico sul mondo, il giudizio universale e alla fine e l'instaurazione del regno di Dio con la descrizione della Gerusalemme Celeste.
I primi ventisei testi, quindi, presentano la primitiva vita concreta del cristianesimo, mentre l'Apocalisse rappresenta ciò che i primi cristiani ritenevano e speravano a proposito del destino ultimo di ogni singolo uomo e dell'intero genere umano.
Per inquadrare la questione correttamente bisogna dare conto dei ritrovamenti archeologici che nell'ultimo secolo hanno permesso di affermare ragionevolmente che i testi del Nuovo Testamento, come ci sono pervenuti, sono stati scritti non più tardi di alcuni decenni dopo la morte di Gesù di Nazareth.
Il già citato Papiro 52 contiene alcuni passi del Vangelo di Giovanni ed è stato scritto attorno all'anno 125. I Papiri Chester Beatty I, II e III, scoperti nel 1931 e conservati a Dublino, in Irlanda, a Vienna, in Austria, e ad Ann Harbor, negli Stati Uniti, sono stati scritti attorno all'anno 200 e contengono numerosi ed estesi passi del Nuovo Testamento: il primo papiro contiene ampi estratti di tutti i vangeli e degli Atti degli Apostoli, il secondo – in ampi estratti - la Lettera ai Romani e la Prima lettera ai Tessalonicesi oltre che – complete – la Prima e Seconda lettera ai Corinzi e le lettere agli Ebrei, agli Efesini, ai Galati, ai Filippesi e ai Colossesi, mentre il terzo papiro contiene alcuni testi dell'Apocalisse.
Il Papiro 1, ritrovato tra il 1896 e il 1897 in Egitto e conservato a Parigi, in Francia, è stato scritto anche esso attorno all'anno 200 e contiene alcuni brani del Vangelo di Matteo, mentre il Papiro 4, scoperto anch'esso in Egitto nel 1887 e anch'esso conservato a Parigi, è coevo e contiene una parte del Vangelo di Luca.
Infine, il Papiro 98, scoperto nel 1971 e conservato al Cairo, in Egitto, è stato scritto nella prima metà del III secolo e contiene quasi un capitolo intero dell'Apocalisse.
I testi dei documenti elencati, scritti nell'arco di un secolo tra il 125 e il 225 circa e che rappresentano le più antiche testimonianze del Nuovo Testamento, concordano pienamente con il contenuto del manoscritto del Codex Vaticanus, la più antica Bibbia completa che ci sia pervenuta comprendente Antico e Nuovo Testamento in greco, scritta attorno all'anno 325 e conservata sin dal XV secolo presso la Biblioteca Apostolica Vaticana nella Città del Vaticano.
Per comprendere la dottrina insegnata da Gesù, la novità di essa e la prassi della comunità cristiana primitiva conseguente al suo insegnamento dobbiamo necessariamente mettere tale pensiero e tale prassi in relazione al popolo al quale egli apparteneva, ossia quello ebraico, e più in generale al mondo a lui contemporaneo, il mondo antico occidentale e i popoli che lo componevano, e che abitavano o entro i confini dell'Impero Romano e dei suoi regni clienti o al di fuori di esso: al di fuori dell'Impero Romano vi erano, organizzati in forma statale, i regni di Armenia, di Georgia, l'impero dei Parti, il regno di Axum in Abissinia e i piccoli regni della penisola arabica, oltre a una quantità di popolazioni non organizzate in forma statale, come i Germani dell'Europa centrale e gli Sciti dell'Europa orientale. Tutte queste popolazioni, in tempi diversi, furono raggiunte dal cristianesimo. La popolazione complessiva dei territori ora menzionati doveva essere complessivamente all'inizio dell'era volgare superiore ai 120 milioni di abitanti, e il solo Impero Romano ne conteneva circa 70 milioni.
Per comprendere la novità di pensiero rispetto all'ebraismo basti pensare che quest'ultimo si fondava sull'osservanza rigorosa di precetti e di norme contenute soprattutto nei primi cinque libri della Bibbia (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio, che insieme compongono il Pentateuco) che prevedevano sacrifici animali, che imponevano una dieta alimentare che proibiva determinati cibi, che prescriveva l'osservanza di ricorrenze e di festività e che, in generale, scandiva la vita quotidiana degli ebrei in modo costante, compreso il tendenziale divieto di intrattenere relazioni e rapporti con i non ebrei.
Tutti questi aspetti religiosi sono stati indiscutibilmente contestati da Gesù. Riguardo all'abolizione dei sacrifici, nella Lettera agli Ebrei, composta verosimilmente prima dell'anno 70 e inclusa nel Nuovo Testamento, si legge, a proposito di Gesù di Nazareth: “dopo aver detto prima 'non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato', cose tutte che vengono offerte secondo la legge, soggiunge: 'Ecco, io vengo a fare la tua volontà'. Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo. Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre ” (Ebrei, X, 8 – 10, CEI). Anche se non è Gesù a parlare in prima persona, si può comprendere che la primitiva comunità cristiana rifiutava drasticamente ogni forma di sacrificio animale in quanto era ritenuto che l'unico, e definitivo, sacrificio gradito a Dio era stato quello dello stesso Gesù.
Nell'importante articolo Bruno Bauer e il cristianesimo primitivo Engels analizza dettagliatamente ed elenca le ragioni e le novità introdotte dal cristianesimo che hanno finito per imporlo sulle altre religioni. “Insieme con le particolari caratteristiche politiche e sociali dei popoli, l'impero romano aveva condannato al tramonto anche le loro particolari religioni. Tutte le religioni dell'antichità erano religioni naturali di tribù e, più tardi, nazionali, germogliate dalle condizioni sociali e politiche di ciascun popolo e con esse cresciute. Una volta distrutte queste loro basi e spezzate le forme sociali che si erano tramandate insieme con l'assetto politico tradizionale e con l'indipendenza nazionale, crollò, s'intende, la religione ad esse corrispondente. Gli dèi nazionali potevano tollerare altri dèi nazionali accanto a sé, e questa era la regola generale nell'antichità: ma non sopra di sé. Il trasferirsi a Roma dei culti religiosi orientali nuoceva senza dubbio alla religione romana, ma non poteva arrestare la decadenza delle religioni orientali. Non appena gli dèi nazionali si rivelano incapaci di proteggere l'indipendenza e la libertà della loro nazione, si rompono la testa da sé. Così accadde dovunque (tranne che fra i contadini, specialmente sulle montagne). Quel che a Roma e in Grecia fece l'illuminismo della filosofia volgare - stavo per dire il volterrianesimo - nelle province fu il risultato dell'assoggettamento a Roma e della sostituzione di uomini fieri e liberi con sudditi disperati e straccioni egoisti. Questa era la situazione materiale e morale. Il presente, intollerabile; il futuro, se possibile, ancora più minaccioso. Nessuna via d'uscita. Disperazione o salvezza nel più ordinario piacere sensuale, per quelli almeno che potevano permetterselo, ed era una piccola minoranza. Altrimenti, non restava che la stanca rassegnazione all'inevitabile. Ma in tutte le classi doveva trovarsi una quantità di gente che, disperando in una redenzione materiale, cercava come surrogato una redenzione spirituale: una consolazione della coscienza, che preservasse dalla completa disperazione. Questa consolazione non potevano offrirla la Stoà, e nemmeno la scuola di Epicuro, appunto perché queste filosofie non erano formulate per la coscienza comune, e poi perché la condotta dei loro seguaci gettava discredito sulle dottrine della scuola. La consolazione non doveva sostituire una filosofia perduta, ma la religione perduta; e questa consolazione doveva precisamente presentarsi sotto forma religiosa, come tutto ciò che allora, e poi ancora fino al XVII secolo, doveva commuovere le masse. Non c'è bisogno di osservare che fra la gente che anelava a una tale consolazione della coscienza, a questa fuga dal mondo esterno verso l'interno, il maggior numero doveva trovarsi fra gli schiavi. In mezzo a questa generale dissoluzione economica, politica, intellettuale e morale si fece avanti il cristianesimo, in dichiarata opposizione con tutte le precedenti religioni. In tutte le precedenti religioni l'elemento principale erano le cerimonie. Soltanto con la partecipazione a sacrifici e a processioni, e in oriente inoltre con l'osservanza di minute prescrizioni di dieta e di purezza, si poteva dichiarare la propria affiliazione religiosa. Mentre Roma e la Grecia, sotto quest'ultimo aspetto, erano tolleranti, in oriente dominava una mania dei divieti religiosi, che ha contribuito non poco alla decadenza finale. Persone di due diverse religioni (egiziani, persiani, ebrei, caldei) non possono mangiare e bere assieme, né compiere assieme una azione qualsiasi: appena possono parlare assieme. L'antico oriente è in gran parte tramontato in conseguenza di questa separazione dell'uomo dall'uomo. Il cristianesimo non conosceva nessuna di queste restrizioni, causa di tante divisioni, e neppure i sacrifici e le processioni del mondo classico. Respingendo così tutte le religioni nazionali e le cerimonie ad esse comuni, si rivolge a tutti i popoli senza distinzione e diventa esso stesso la prima religione mondiale possibile. Anche l'ebraismo, col suo nuovo dio universale, aveva preso l'avvio per diventare religione mondiale; ma i figli d'Israele restavano sempre un'aristocrazia fra i credenti e i circoncisi; e lo stesso cristianesimo dovette sbarazzarsi dell'idea della preminenza dei cristiani giudaizzanti (che dominava ancora nella cosiddetta Apocalisse di Giovanni), prima di poter diventare una effettiva religione mondiale. D'altra parte l'Islam, che ha conservato il suo cerimoniale specificamente orientale, ha limitato anche il suo campo di diffusione all'oriente e all'Africa settentrionale, conquistata e ripopolata da beduini arabi: solo qui esso poteva diventare religione dominante, non in occidente. In secondo luogo, il cristianesimo toccò una corda che doveva trovare un'eco in innumerevoli cuori. A tutti i lamenti sulla malvagità dei tempi e sulla generale miseria materiale e morale, la cristiana coscienza del peccato rispondeva: cosi è, e non può essere altrimenti; della corruzione del mondo sei tu colpevole, siete voi tutti, la tua e la vostra corruzione interna! E dov'era l'uomo che potesse dire di no? Mea culpa! Nessuno poteva rifiutarsi di ammettere la sua parte di colpa nella sventura generale, condizione preliminare indispensabile per la redenzione spirituale che contemporaneamente il cristianesimo annunziava. E questa redenzione spirituale era presentata in modo tale, da poter essere facilmente compresa dagli adepti di ogni antica comunità religiosa. A tutte queste antiche religioni era familiare l'idea del sacrificio espiatorio, mediante il quale la divinità offesa veniva placata; come avrebbe potuto non farsi strada in questo ambiente l'idea del sacrificio dell'intermediario stesso, che cancellava una volta per sempre i peccati del genere umano? In quanto il cristianesimo portava dunque a una chiara espressione, come coscienza del peccato da parte di ogni singolo, il sentimento, generalmente diffuso, secondo cui gli uomini sono essi stessi colpevoli della corruzione generale, e contemporaneamente offriva, col sacrificio del suo giudice, una forma facilmente comprensibile per tutti della sospirata redenzione interiore dal mondo corrotta e della consolazione della coscienza, esso dimostrava di nuovo la sua capacità di diventare religione mondiale: una religione, in verità, adatta proprio al mondo che esisteva allora. Così è accaduto che fra le migliaia dì profeti e di predicatori nel deserto, che riempivano quell'epoca con le loro innumerevoli innovazioni religiose, soltanto i fondatori del cristianesimo hanno avuto successo. Non soltanto la Palestina, ma tutto l'oriente brulicava di tali fondatori di religioni, fra i quali regnava una lotta darwiniana, si può dire, per l'esistenza ideale. Grazie principalmente agli elementi che abbiamo ricordato, vinse il cristianesimo. E come esso, attraverso una selezione naturale, abbia elaborato a poco a poco il suo carattere di religione mondiale, nella lotta delle varie sette fra di loro e col mondo pagano, lo insegna nei particolari la storia della Chiesa dei primi tre secoli.“
In generale, si può dire che Gesù e il cristianesimo primitivo predicano e si fanno portatori di un messaggio rinunciatario e interclassista, - “ama il tuo prossimo come te stesso” si legge in Luca, XII: 31, Nuova Riveduta - , che finisce per entrare in conflitto col sistema dominante schiavista romano, fondato sull'assoluto disprezzo, da parte della classe sociale dominante romana e dei maggiorenti provinciali romanizzati, della vita umana delle popolazioni provinciali assoggettate, della massa degli schiavi – motore economico del mondo antico occidentale - destinati a lavori massacranti o addestrati a spettacoli pubblici di violenza inimmaginabile.
Da tutto ciò appare chiaro che Gesù non fu un pazzo esaltato, ma un predicatore istruito e abile che seppe cogliere la crisi e il declino del mondo tardo antico e dell'impero schiavista romano e, insieme, il bisogno di una nuova religione monoteista che rappresentasse le speranze e le aspettative delle masse popolari più povere e oppresse del tempo.
A questo punto, però, bisogna necessariamente riparlare dell'Apocalisse, testo del quale si è occupato Friedrich Engels nel secondo capitolo del suo testo intitolato Sulla storia del cristianesimo primitivo , il quale spiega i motivi del suo interessamento: “abbiamo nel Nuovo Testamento – scrive Engels - un solo libro la cui epoca di scrittura può essere definita nell'arco di pochi mesi, che deve essere stato scritto tra il giugno 67 e il gennaio o aprile 68; un libro, quindi, che appartiene proprio all'inizio dell'era cristiana e riflette con la più ingenua fedeltà e nel corrispondente linguaggio idiomatico le idee dell'inizio di quell'era. Questo libro, quindi, secondo me, è una fonte molto più importante da cui definire cosa fosse realmente il cristianesimo primitivo rispetto a tutto il resto del Nuovo Testamento ”.
Engels ritiene che questo sia il testo che più di tutti riflette il pensiero e le aspettative della primitiva comunità cristiana che proveniva dall'ebraismo, e non manca di evidenziare che, mentre gli altri testi del Nuovo Testamento costituiscono una novità rispetto ai tradizionali generali letterari della letteratura religiosa ebraica, l'Apocalisse del Nuovo Testamento rientra pienamente nel genere letterario apocalittico di tradizione ebraica.
L'Apocalisse viene presentata sin dall'inizio come una rivelazione che Gesù, ormai morto e risorto, fa ai credenti: il primitivo cristianesimo attendeva da Gesù, ormai morto e risorto, una svolta epocale che ci sarebbe stata in futuro.
Engels mette in evidenza che l'autore dell'Apocalisse considera l'Impero Romano che ha come capitale la città di Roma – il mostro con sette teste che corrispondono a sette monti, e Roma era allora ed è ancora oggi posta su sette colli - una cosa abominevole agli occhi di Dio e in opposizione ai suoi propositi. Il contesto è chiaro: la bestia immonda e abominevole rappresenta l'Impero Romano e i suoi re simboleggiano gli imperatori romani che, opponendosi ai cristiani, si opponevano a Dio.
Agli occhi dei primi cristiani sarà Gesù, simboleggiato dal cavaliere, a sconfiggere Roma, ma la sconfiggerà al termine di una guerra metafisica e spirituale, non certo con una rivoluzione e attraverso la lotta di classe.
Alla fine, nella visione dell'Apocalisse commentata anche da Engels, sarà Dio a costituire un nuovo mondo di giustizia per dare il premio ai credenti non su questa terra ma nella “beatitudine celeste ”. Il pensiero di fondo dell'Apocalisse, a ben vedere, non contrasta con il resto del Nuovo Testamento, perché lo stesso Gesù vi aveva fatto un chiaro riferimento.
A questo punto il quadro è chiaro: Gesù, sintetizzando i precetti dell'ebraismo nei due comandamenti fondamentali di amore fraterno e di amore per Dio, ha chiamato ad attuarli ogni essere umano indipendentemente dal sesso, dalla razza, dalla nazionalità e dalla condizione sociale, e già il primitivo cristianesimo aveva identificato nel sistema politico dominante che faceva capo a Roma una aberrazione mostruosa, almeno da un punto di vista religioso, identificando però la forza che avrebbe abbattuto tale mostruosità non nella popolazione credente, che è invitata ad avere una condotta improntata alla pace sociale e alla conciliazione, ma in Dio stesso che alla fine dei tempi e con l'aiuto di Gesù nel frattempo risorto, instaurerà il suo regno per premiare i giusti e condannare gli ingiusti.

Più che un rivoluzionario conseguente, Gesù fu un predicatore e asceta entrato in conflitto col sistema schiavista
Gesù di Nazareth è stato certamente un asceta, un predicatore entrato in conflitto col sistema dominante schiavista romano e i suoi primi seguaci praticavano una sorta di comunismo spontaneo, ma mancava nel cristianesimo primitivo qualsiasi appello alla ribellione degli oppressi. Predicavano “la beneficenza, la mendicità, il celibato e la mortificazione della carne, la vita claustrale” e non certo la lotta di classe. I due brani del libro biblico degli Atti degli Apostoli descrivono le comunità cristiane che vivevano nei dintorni di Gerusalemme pochissimi anni dopo la morte di Gesù di Nazareth: esse praticavano una sorta di comunismo primitivo e spontaneo, dove i più ricchi della comunità vendevano i loro averi e il ricavato lo mettevano in comune. Questa pratica, presente all'origine, venne poi completamente abbandonata nel cristianesimo successivo, restando soltanto confinata in ristretti e marginali ambiti monastici e mai in un ambiente laico.
Questi fatti erano ben noti a Engels, il quale scrive nel primo capitolo del già citato testo intitolato “Sulla storia del cristianesimo primitivo” : “La storia del cristianesimo primitivo presenta notevoli punti di contatto con quella del movimento operaio moderno. Come questo, il cristianesimo fu all’origine un movimento di oppressi: sorse come religione degli schiavi e dei liberti, dei poveri e dei privi di diritti, dei popoli soggiogati  o dispersi da Roma. Entrambi, il cristianesimo come il socialismo operaio, predicano una immanente liberazione dalla servitù e dalla miseria. Il cristianesimo pone questa liberazione in una vita che è di là dopo la morte, nel cielo, il socialismo in questo mondo, in una trasformazione della società. Entrambi vengono perseguitati e vessati, i loro seguaci banditi, sottoposti a leggi eccezionali, gli uni come nemici del genere umano, gli altri come nemici dello Stato, nemici della religione, della famiglia, dell’ordine sociale.”
Uno storico ha stimato che negli anni in cui nasceva Gesù, all'epoca di Cesare Augusto, su 10 milioni di abitanti che vivevano nel territorio metropolitano dell'Italia – che comprendeva solo l'Italia continentale fino alle Alpi ed escludeva Sicilia e Sardegna - ben 3 milioni erano schiavi, e la situazione non era dissimile nelle province romane (G. Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza , Torino, 2004).
Oltre agli schiavi nel mondo antico occidentale vi erano altre classi sociali, e lo spiega bene Engels, nel terzo capitolo del già citato testo intitolato Sulla storia del cristianesimo primitivo , trattando degli ambiti sociali nei quali il cristianesimo dei primissimi secoli faceva proselitismo: “da che tipo di persone furono reclutati i primi cristiani? - si domanda Engels - Principalmente dai 'lavoratori e oppressi', dai membri degli strati più bassi della popolazione, che diventa un elemento rivoluzionario. E in cosa consistevano? Nelle città degli uomini liberi impoveriti, di ogni sorta di persone, come i 'bianchi meschini' degli stati schiavisti del sud e i vagabondi e avventurieri europei nei porti marittimi coloniali e cinesi, poi degli schiavi emancipati e, soprattutto, degli schiavi veri e propri; sui latifondi di schiavi in Italia, in Sicilia e in Africa, e nei distretti rurali delle province di piccoli contadini caduti sempre più in schiavitù per debiti ”.
Engels – facendo un paragone con le società schiaviste delle Americhe, soprattutto Stati Uniti e Brasile, che avevano abolito tale pratica pochi anni prima rispetto al suo scritto del 1894 - menziona, oltre agli schiavi veri e propri, gli uomini liberi impoveriti che componevano una sorta di sottoproletariato urbano, gli schiavi emancipati (ossia gli schiavi che erano stati liberati ma che per il diritto romano conservavano precisi obblighi verso l'antico padrone) ai quali si aggiungono piccoli contadini liberi oberati dai debiti. Ad essi si aggiungevano, nelle città, modesti commercianti e artigiani la cui condizione economica, pur essendo uomini liberi, era sempre precaria e, non dobbiamo mai dimenticarlo, una massa di donne che, pur formalmente libere, erano dedite a una prostituzione di mera sussistenza e a una vita di miseria e di sporcizia, come gli scavi di Pompei hanno messo in drammatica luce.
È significativo peraltro che nessuno degli maggiori scrittori indicati come Padri della Chiesa sia dai cattolici sia dagli ortodossi (il più antico è Clemente di Roma vissuto nel primo secolo e il più tardo è Giovanni Damasceno dell'ottavo secolo) condanni la pratica della schiavitù anche quando essa era già scomparsa in Europa e nel Mediterraneo.
Nonostante il cristianesimo primitivo facesse proseliti soprattutto tra le classi inferiori della società, era totalmente assente in esso il principio della lotta di classe, e l'unica causa di frizione con le autorità costituite e con il suo ordinamento giuridico consisteva nel rifiuto dei cristiani, per motivazioni esclusivamente religiose, di rendere omaggio alle divinità ufficiali romane: il primitivo cristianesimo disprezzava Roma e il suo impero soprattutto per motivi religiosi, ma non lo combatteva in attesa che forze sovrannaturali sconfiggessero la prima e annientassero il secondo, ed è parimente assente una critica sociale, limitandosi i primi cristiani, come si è visto, a chiudersi in comunità ristrette e a praticare una sorta di egualitarismo primitivo e spontaneo.
Del resto, l'atteggiamento dello stesso Gesù di Nazareth e dei primi cristiani nei confronti della schiavitù e dell'ordinamento giuridico romano che la disciplinava è emblematico.
A chi chiese a Gesù se fosse lecito non pagare il tributo a Cesare – e quindi se l'autorità romana dovesse essere riconosciuta come legittima, quantomeno tra gli Ebrei – egli rispose, tenendo in mano una moneta romana, simbolo dell'autorità di Roma, dove c'era il profilo dell'imperatore: “rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio ” (Matteo, XXII, 21, CEI). Per Gesù l'autorità romana andava dunque, se non amata, almeno formalmente rispettata e comunque certamente non combattuta con l'uso della violenza rivoluzionaria.
In un altro passo si chiarisce meglio il suo pensiero. Interrogato da Pilato durante il suo processo, Gesù, che si era appena proclamato re al cospetto del governatore romano come riportato nel passo sopra menzionato, chiarisce: “il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servi combatterebbero affinché io non fossi dato in mano dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui ” (Giovanni, XVIII, 36, Nuova Diodati). Gesù ha voluto implicitamente rivendicare il carattere spirituale e immateriale del proprio regno, escludendo al contempo espressamente qualsiasi atto rivoluzionario contro l'autorità di Roma che in quel momento era rappresentata dal governatore.
Che del resto la ricompensa per i cristiani fosse esclusivamente di tipo spirituale lo aveva affermato esplicitamente Gesù stesso nel famoso discorso della montagna riportato nel quinto capitolo del Vangelo di Matteo, e del quale si cita un estratto significativo: “beati coloro che si adoperano per la pace – proclama Gesù di Nazareth - perché essi saranno chiamati figli di Dio. Beati coloro che sono perseguitati a causa della giustizia, perché di loro è il regno dei cieli. Beati sarete voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male per causa mia. Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è grande nei cieli, poiché così hanno perseguitato i profeti che furono prima di voi ” (Matteo, V, 9 – 12, Nuova Diodati). Come si può vedere, la ricompensa per le persone amanti della pace, per quelle che ricevono vessazioni e ingiustizie e per quelle perseguitate è il regno dei cieli, e lo stesso Gesù si è guardato bene dall'invitare i perseguitati a ribellarsi e a conquistare il paradiso su questa terra.
Più tardi Paolo di Tarso, prigioniero a Roma, tratterà implicitamente il tema della schiavitù nella brevissima lettera a Filemone, scritta sicuramente tra il 61 e il 63: Paolo scrive a Filemone, un ricco già da tempo convertito al cristianesimo che Paolo conosceva da tempo e del quale era amico personale, per raccomandargli di accogliere nuovamente al suo servizio uno dei suoi schiavi, Onesimo, che era scappato dalla casa di Filemone probabilmente rubando anche del denaro per pagarsi il viaggio e le spese necessarie per la fuga, il quale aveva raggiunto Paolo e nel frattempo si era convertito anche egli al cristianesimo. “Avrei voluto trattenerlo presso di me – scrive Paolo - perché mi servisse in vece tua nelle catene che porto per il vangelo. Ma non ho voluto far nulla senza il tuo parere, perché il bene che farai non sapesse di costrizione, ma fosse spontaneo. Forse per questo è stato separato da te per un momento perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come un fratello carissimo in primo luogo a me, ma quanto più a te, sia come uomo, sia come fratello nel Signore. Se dunque tu mi consideri come amico, accoglilo come me stesso. E se in qualche cosa ti ha offeso o ti è debitore, metti tutto sul mio conto. Lo scrivo di mio pugno, io, Paolo: pagherò io stesso. Per non dirti che anche tu mi sei debitore e proprio di te stesso! Sì, fratello! Che io possa ottenere da te questo favore nel Signore; da' questo sollievo al mio cuore in Cristo! ”. (Filemone, 13 – 20, CEI). Paolo invita Timoteo ad accoglierlo e a perdonarlo, anche se non gli dice espressamente di liberarlo, e comunque è evidente che nella comunità cristiana primitiva la liberazione di uno schiavo non poteva avvenire che per opera del padrone, quando anche egli si fosse convertito.
Se lo schiavo apparteneva a un padrone che non era cristiano, il consiglio di Paolo è quello che viene dato nella Lettera ai Colossesi, scritta probabilmente a Roma nel 62, e contenente una vera e propria pedagogia sociale e dalla quale si può vedere una vera e propria accettazione dei rapporti sociali esistenti: “mogli – scrive Paolo - siate sottomesse ai vostri mariti, come si conviene nel Signore. Mariti, amate le vostre mogli, e non v'inasprite contro di loro. Figli, ubbidite ai vostri genitori in ogni cosa, poiché questo è gradito al Signore. Padri, non irritate i vostri figli, affinché non si scoraggino. Servi, ubbidite in ogni cosa ai vostri padroni secondo la carne; non servendoli soltanto quando vi vedono, come per piacere agli uomini, ma con semplicità di cuore, temendo il Signore. Qualunque cosa facciate, fatela di buon animo, come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che dal Signore riceverete per ricompensa l'eredità. Servite Cristo, il Signore! Infatti chi agisce ingiustamente riceverà la retribuzione del torto che avrà fatto, senza che vi siano favoritismi ” (Colossesi, III, 18 – 25, Nuova Riveduta). È significativo che, mentre si esortano le donne e i figli cristiani a ubbidire rispettivamente ai mariti e ai genitori - ma si invitano quantomeno i mariti e i padri cristiani ad essere amorevoli ed equilibrati rispettivamente verso le consorti e i discendenti – si consiglia agli schiavi cristiani di essere ubbidienti verso i propri padroni mentre nessuna esortazione viene rivolta ad eventuali cristiani padroni di schiavi. Tale omissione può ragionevolmente essere spiegata in quanto, per Paolo, un cristiano non potesse essere contemporaneamente padrone di schiavi.
Lo stesso Gesù, del resto, si era reso conto che i principi da lui insegnati non potessero fare molta breccia sulle classi sociali dominanti e che la conversione di appartenenti a queste ultime fosse, più che la regola, un'eccezione sporadica, come in effetti avvenne nei primi secoli del cristianesimo. “Ed ecco – si legge nel Vangelo di Matteo - un tale gli si avvicinò e gli disse: 'Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?'. Egli rispose: 'Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti'. Ed egli chiese: 'Quali?'. Gesù rispose: 'Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso' Il giovane gli disse: 'Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?'. Gli disse Gesù: 'Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi'. Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze. Gesù allora disse ai suoi discepoli: 'In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli' ” (Matteo, XIX, 16 – 24).
Il cristianesimo primitivo era dunque prevalentemente una religione di poveri, ed è certo che un latifondista, un proprietario di miniere, un imprenditore edile, un armatore del mondo antico stavano alla larga dal cristianesimo insieme alle loro consorti e ai loro figli così come stavano alla larga da esso anche pretori, consoli, propretori, proconsoli, imperatori insieme alle loro consorti e al resto delle rispettive famiglie!
Dov'era – si chiede Engels nel terzo capitolo della già citata opera Sulla storia del cristianesimo primitivo - la via d'uscita, la salvezza, per gli schiavi, gli oppressi e gli impoveriti, una via d'uscita comune a tutti questi gruppi di persone i cui interessi erano reciprocamente estranei o addirittura opposti? Eppure era necessario trovarlo se si voleva che un grande movimento rivoluzionario li abbracciasse tutti. Questa via d'uscita è stata trovata. Ma non in questo mondo. Nello stato in cui stavano le cose non poteva che trattarsi di una via d'uscita religiosa. Allora si aprì un nuovo mondo. La continuazione della vita dell'anima dopo la morte del corpo era divenuta gradualmente un articolo di fede riconosciuto in tutto il mondo romano. Anche una sorta di ricompensa o punizione delle anime defunte per le loro azioni sulla terra ricevette un riconoscimento sempre più generale. Per quanto riguarda la ricompensa, è vero, le prospettive non erano così buone: l'antichità era troppo spontaneamente materialistica per non attribuire alla vita sulla terra un valore infinitamente maggiore che alla vita nel regno delle ombre; continuare a vivere dopo la morte era considerato dai Greci piuttosto una disgrazia. Poi venne il Cristianesimo, che prese sul serio la ricompensa e la punizione nell’aldilà e creò il paradiso e l’inferno, e fu trovata una via d’uscita che avrebbe condotto gli affaticati e gravati da questa valle di sventura al paradiso eterno ”.
A questo punto, anche grazie alla preziosa riflessione di Engels, tutto è chiaro: Gesù aveva dato pari dignità a ogni essere umano in quanto tale e aveva dato la possibilità a tutti gli oppressi – pur non trovandosi essi in un'unica posizione sociale rispetto all'oppressore - di aspirare alla salvezza ultraterrena, salvezza che era più facile per chi non aveva nulla da perdere in termini materiali, ma era molto più difficile per chi aveva molto da perdere: infatti non risulta che, almeno nei primi tre secoli del cristianesimo, e comunque prima che esso divenne – durante il IV secolo – la religione ufficiale dell'Impero Romano (in seguito si convertirono anche le classi dominanti, ma per puro calcolo politico) ci sia stato un numero significativo di persone appartenenti alle classi sociali elevate che si convertirono al cristianesimo, sia tra gli uomini sia tra le donne, anche se addirittura alcuni imperatori, come Antonino Pio e Marco Aurelio nel secondo secolo e Filippo l'Arabo nel terzo sembra si siano interessati - per loro cultura personale e forse anche per comprendere meglio un fenomeno sociale che comunque erano chiamati direttamente, o indirettamente tramite i loro funzionari, a governare - agli scritti cristiani.
Nel frattempo però, con il passare dei secoli, il numero dei cristiani era diventato talmente grande che essi divennero forse già agli inizi del IV secolo la maggioranza religiosa o comunque l'organizzazione religiosa più importante e strutturata del mondo romano: ecco il vero motivo per cui gli imperatori Costantino e Licinio nel 313 concessero libertà di culto ai cristiani esentandoli dall'omaggio alle divinità tradizionali romane e per cui altri due imperatori romani, Graziano e Teodosio, nel 380 ne fecero la religione ufficiale dell'impero, e da tali atti politici si spiega anche il fatto che il vescovo della città più importante dell'impero – Roma – abbia visto accrescere il suo prestigio pubblico fino a diventare gradualmente, nei secoli successivi, papa, e quindi capo della cristianità, e in seguito anche re, ritagliandosi nei secoli successivi un dominio politico attorno a Roma che alla sua caduta (tra il 1860 e il 1870) andava da Frosinone a Ferrara.
Rifiutando ogni idea di classe e lotta di classe, il cristianesimo poté diventare religione ufficiale e creare addirittura una sovrastruttura conservatrice e reazionaria al servizio delle classi dominanti sfruttatrici, nobiltà feudale e monarchia, borghesia e grande finanza.
Eppure il mondo antico aveva già conosciuto e sperimentato, ben prima della nascita di Gesù, forme compiute e radicali di lotta di classe, delle quali tuttavia il fondatore del cristianesimo non ha minimamente tenuto conto nella formulazione della sua dottrina.
Tra il V e il III secolo a.e.v. a Roma ci fu la durissima lotta tra i patrizi e i plebei che aveva un contenuto politico e sociale, nel II secolo a.e.v. ci fu la durissima lotta condotta sia nelle assemblee sia nelle piazze dai fratelli Tiberio Gracco e Gaio Gracco che in qualità di tribuni plebis si contrapposero ai ricchi proprietari terrieri in favore dei contadini poveri e tra il II e il I secolo a.e.v. ci furono ben tre insurrezioni che contrapposero militarmente gli schiavi alle legioni romane, due in Sicilia e una nell'Italia continentale: la prima di esse divampò nella Sicilia centrale tra il 136 e il 132 a.e.v. sotto la direzione degli schiavi Euno e Cleone, la seconda infiammò la Sicilia meridionale tra il 104 e il 98 a.e.v. sotto la guida degli schiavi Salvio e Atenione e la terza esplose dapprima nell'Italia meridionale interessando poi gran parte della penisola tra il 73 e il 71 a.e.v., sotto la guida del gladiatore Spartaco, che fu domata con gigantesche difficoltà dagli eserciti romani.
La nostra critica verso la religione è ferma e molto chiara e ben sintetizzata da ciò che spiega Lenin nello scritto Socialismo e religione : “La religione è una delle forme dell’oppressione spirituale che grava dappertutto sulle masse popolari, schiacciate dal continuo lavoro per gli altri, dal bisogno e dall’isolamento. La debolezza delle classi sfruttate nella lotta contro gli sfruttatori genera inevitabilmente la credenza in una vita migliore nell’oltretomba, allo stesso modo che la debolezza del selvaggio nella lotta contro la natura genera la credenza negli dei, nei diavoli, nei miracoli, ecc. La religione predica l’umiltà e la rassegnazione nella vita terrena a coloro che trascorrono tutta l’esistenza nel lavoro e nella miseria, consolandoli con la speranza di una ricompensa celeste. Invece, a coloro che vivono del lavoro altrui la religione insegna la carità in questo mondo, offrendo così una facile giustificazione alla loro esistenza di sfruttatori e vendendo loro a buon mercato i biglietti d’ingresso nel regno della beatitudine celeste. La religione è l’oppio del popolo. La religione è una specie di acquavite spirituale, nella quale gli schiavi del capitale annegano la loro personalità umana e le loro rivendicazioni di una vita in qualche misura degna di uomini.
Questa concezione materialista del mondo propria dei marxisti-leninisti è incompatibile con quella metafisica e idealista dei credenti in generale, ecco perché questi ultimi non possono essere membri ma solo simpatizzanti attivi, amici e alleati del Partito marxista-leninista, come hanno ribadito le Tesi del 5° Congresso nazionale del PMLI, dove si legge peraltro: “Sul piano filosofico e ideologico le religioni saranno combattute, ma sarà assicurato ai credenti il rispetto della loro libertà religiosa” .
A questo proposito Lenin aggiunge: “Nei confronti del partito del proletariato socialista la religione non è un affare privato. Il nostro partito è una unione di militanti coscienti, d’avanguardia, che lottano per l’emancipazione della classe operaia. Una tale unione non può e non deve restare indifferente all’incoscienza, all’ignoranza e all’oscurantismo sotto forma di credenze religiose. Rivendichiamo la separazione completa della Chiesa dallo Stato, per combattere le tenebre religiose con armi puramente ed esclusivamente ideali, con la nostra stampa, con la nostra parola.
Al di là, quindi, delle suggestioni e per concludere, si può affermare che il cristianesimo primitivo e il socialismo scientifico sono incompatibili dal punto di vista sia ideologico sia programmatico: entrambi si rivolgono alle classi sociali oppresse, entrambi disprezzano profondamente l'ordine sociale sociale e politico esistente, ma il cristianesimo promette la conciliazione sociale e il riscatto individuale in un mondo ultraterreno e quello dei giusti nel giudizio universale, mentre il marxismo-leninismo-pensiero di Mao conosce una via maestra per il riscatto degli oppressi di ogni latitudine del mondo, che è quella della conquista del socialismo e del potere politico del proletariato, attraverso la rivoluzione socialista come ha ben spiegato il Segretario generale del PMLI, compagno Giovanni Scuderi, nel suo Editoriale in occasione del recente Anniversario del PMLI: “Sono passati quarantasette anni da quando il 9 Aprile 1977 abbiamo fondato il PMLI perché eravamo convinti che la via maestra del proletariato e di tutti gli sfruttati e gli oppressi per cambiare l'Italia fosse la Rivoluzione Socialista d'Ottobre.(...) I fatti dimostrano che la vigente Costituzione è ormai divenuta la costituzione della sinistra e della destra del regime capitalista neofascista. Essa infatti ha prodotto governi di “unità nazionale”, di centro, di "convergenze parallele", di "non sfiducia", di "solidarietà nazionale", di “centro-sinistra”, di “centro-destra”, governi ibridi diretti dal trasformista liberale Giuseppe Conte, e persino il governo di Mario Draghi realizzato da un golpe di Sergio Mattarella e quello neofascista di Giorgia Meloni. Quest'ultimo governo, che rappresenta il ritorno di Mussolini nelle vesti femminili, democratiche e costituzionali, sta attuando esattamente la stessa politica interna ed estera di Mussolini e sta completando col premierato il “Piano di rinascita democratica” della P2 di Gelli e di Silvio Berlusconi, senza incontrare alcun ostacolo concreto e risolutivo dall'imbelle “sinistra” borghese. Va fermato. Dalla piazza.
Come è possibile allora fare affidamento sulla Costituzione, in cui si riconoscono le due ali principali della classe dominante borghese, per cambiare l'Italia? Se non si abbandona ogni illusione costituzionale e non si intraprende la via maestra della Rivoluzione Socialista d'Ottobre niente di sostanziale potrà cambiare.”

5 giugno 2024