Elezioni per il parlamento europeo del 6-9 giugno
Delegittimata dall'astensionismo la UE imperialista
In media la metà dell’elettorato ha disertato le urne. Travaso di voti tra le “sinistre” borghesi e le destre neofasciste in Francia, Germania, Austria. Puniti i governanti nella maggioranza dei paesi UE

Secondo le prime stime ancora non definitive al momento in cui scriviamo, l’affluenza alle elezioni europee nei 27 paesi membri è stata pari al 50,97%, in lievissimo aumento rispetto al 50,66% del 2019. Una percentuale comunque risibile se si pensa al ruolo cruciale dato a queste consultazioni svoltesi nei 27 paesi membri tra il 6 e il 9 giugno 2024. In pratica un elettore su due ha delegittimato l’Unione europea imperialista, disertando le urne e confermando quanto essa sia lontana dai popoli, in particolare dalle masse popolari e meno abbienti, le prime a essere tartassate dalle sue politiche antipopolari, antidemocratiche e di lacrime e sangue. Si è trattato dell’ennesimo tentativo andato a vuoto da parte dei fautori di questa Unione di Stati capitalisti e imperialisti di darsi una legittimazione di massa, sia dei rappresentanti dei governi in carica che delle opposizioni, in particolare quelle delle destre fasciste, razziste e xenofobe, uniti come non mai nell’incitare al voto l’elettorato, e un segno inequivocabile della consolidata avversione e sfiducia delle masse popolari europee verso l’UE e le sue istituzioni.
Se in Italia ad astenersi è stato il 54,4% dell’elettorato, in Croazia hanno disertato le urne ben il 78,66% (+8,51% rispetto alle precedenti elezioni europee del 2019), in Lituania il 71,65% con un incremento record del 25,13%, in Bulgaria il 68,20%, Lettonia 66,18%, Slovacchia 65,62%, Cechia 63,55%, Portogallo 63,46%, Estonia 62,30, Finlandia 59,60%, in Polonia la percentuale ha toccato il 59,35 (+5,03%), in Grecia record di diserzione col 58,61% (+17,30% rispetto al 2019). In Slovenia il 58,55% non si è recato alle urne, in Olanda il 53,80%, in Spagna il 50,79% (ben +11,52%), in Irlanda il 50,16%.
Ed ancora in Svezia il 49,30%, in Francia 48,50%, in Romania 47,58%, Austria il 43,70%, Danimarca 41,76%, Cipro 41,14%, in Ungheria, nonostante il record dell’affluenza al voto dall’ingresso del paese nell’UE nel 2004, la diserzione dalle urne ha toccato il 40,74%. Grazie alla chiamata a correo delle destre, compreso i neonazisti, la partecipazione alle elezioni europee in Germania ha raggiunto il nuovo massimo dalla “riunificazione” del 1990 al 64,8%, purtuttavia più di un terzo dell’elettorato non ha avallato l’UE imperialista. Il 27% ha disertato le urne anche a Malta, il 17,71% in Lussemburgo e il 10,18% in Belgio, in quest’ultimi due paesi è obbligatorio recarsi alle urne.
Al netto del forte astensionismo e nella spartizione della metà dei consensi del corpo elettorale, sono stati i partiti di destra e neofascisti ad aver carpito la maggioranza dei consensi. Dalla Francia alla Germania, ma anche in Austria, le maggiori economie europee hanno visto un'ascesa della destra, mentre partiti della “sinistra” borghesi e Verdi avanzano, in controtendenza, solo nel Nord Europa, Svezia, Finlandia, Danimarca. Un dato che unisce la maggior parte dei risultati nei paesi dell’UE è altresì il voto antigovernativo, che ha colpito pesantemente le coalizioni al governo, a partire dalle stesse Francia e Germania, per proseguire con la Slovacchia e altri. Vogliamo avvertire che le percentuali a nostra disposizione sono rapportate ai soli voti validi e non all'intero elettorato, il che significa che dovrebbero essere pesantemente ridimensionate, visto che ci troviamo in media di fronte a un astensionismo che sfiora il 50%. Tanto per fare un solo esempio i commentatori hanno parlato di un trionfo per il sovranista filoputiniano Orban per il suo 43,7% sui voti validi, mentre in realtà quella percentuale diventa di appena 25,9% rispetto all'intero corpo elettorale, visto che in Ungheria l'affluenza al voto è stata del 59,26%.
In Francia, il Rassemblement National di Marine Le Pen sfonda il muro del 30% sui voti validi (ma attenzione se la si rapporta al corpo elettorale quella percentuale diventa appena il 15,45% visto che in Francia l'affluenza è stata pari al 51,50%) e doppia il partito del presidente in carica Emmanuel Macron, che prende atto della sconfitta, scioglie il Parlamento e indice le elezioni anticipate. In Germania vince l'alleanza di “centro-destra” CDU/CSU, con la formazione dell’ultradestra neonazista AFD che raggiunge un risultato clamoroso a livello nazionale e ottiene consensi di portata storica nell’est del Paese. In Italia, Fratelli d’Italia è egemone nel “centro-destra” neofascista. Consolida il suo strapotere ma non stravince il sovranista reazionario premier dell’Ungheria Viktor Orban. Il suo partito neofascista Fidesz si è piazzato primo con il 43,7% dei voti validi ma ha perso circa otto punti percentuali rispetto a cinque anni fa. Anche in Austria avanza l'estrema destra: il Partito della libertà (FPOE) è il primo partito con il 25,5% dei voti validi (che tuttavia diventa solo il 14,3% del corpo elettorale, visto che in Austria si è registrata un'affluenza del 56,30%). È la prima volta che il partito che fu di Jorg Haider arriva in testa in un'elezione nazionale.
In Grecia il voto europeo ha visto arretrare di 14 punti rispetto alle legislative dell'anno scorso il partito di “centro-destra” del primo ministro Kyriakos Mitsotakis, Nuova Democrazia. Terremoto anche in casa belga, dove hanno sede le istituzioni europee. Il primo ministro liberale Alexander De Croo ha rassegnato le dimissioni dopo che il suo partito è stato surclassato dalle formazioni separatiste fiamminghe e di destra. In Slovacchia il partito del primo ministro nazionalista e reazionario Robert Fico ha perso le elezioni europee contro il partito d'opposizione di ispirazione liberale "Slovacchia progressista" (Ps) guidata dall'ex vicepresidente del parlamento europeo Michal Simecka. In Polonia la Coalizione Civica di destra (Ko) del primo ministro polacco Donald Tusk ha vinto con il 37,1% dei voti validi. Il Partito di riforma democratica alternativa (Adr) di destra lussemburghese è entrato per la prima volta nell’emiciclo di Strasburgo dopo aver ottenuto quasi il 12% dei voti validi. Il successo della destra e delle forze conservatrici ha caratterizzato il voto europeo anche nei paesi del Balcani che fanno parte della UE, Croazia, Slovenia, Romania. In Bulgaria è stata l'alleanza filo-occidentale di centrodestra Gerb-Sds a vincere alle elezioni europee. A Cipro il partito di estrema destra del Fronte Popolare Nazionale (Elam), costola cipriota di Alba Dorata, ha ottenuto il 10,4%, mentre in Portogallo l'estrema destra di Chega con il 9,81% dei voti entra per la prima volta al parlamento europeo.
"Il PSOE è diventato l'unica opzione di governo in grado di resistere all'ondata di estrema destra che sta attraversando l'Europa e la Spagna". Cosi il primo ministro socialista Pedro Sánchez ha commentato l’esito delle elezioni europee in Spagna, vinte dal Partito popolare con i socialisti al secondo posto. Il presidente del partito di estrema destra spagnolo VOX Santiago Abascal si è congratulato con i suoi compari di Europa Viva 24, ossia i tre leader neofascisti che a maggio hanno partecipato alla convention di Madrid: Giorgia Meloni, Marine Le Pen e Viktor Orbán che "sono riusciti a far avanzare un discorso e convinzioni comuni, che si rafforzano in tutta Europa", come la difesa della "sovranità nazionale, frontiere sicure, sicurezza nelle strade, difesa dell'agricoltura e dell'industria".
Più che una vittoria netta delle formazioni di destra nei tre maggiori Paesi dell’Unione Europea, insomma, siamo in presenza a un capovolgimento di rapporti di forza tra la destra e la “sinistra” borghese, quest'ultima penalizzata per le sue responsabilità di governo in Europa e nei diversi paesi. Tuttavia oltre l’impatto emotivo e la sensazione che il vento da destra soffi sempre più forte, vanno considerati anche i numeri complessivi, che dicono che il cambiamento e lo spostamento a destra degli equilibri europei sono meno eclatanti di quanto si possa pensare. Considerando sempre un minimo margine di assestamento dei dati, il nuovo parlamento europeo sarà composto da 720 membri, 76 dei quali eletti in Italia. Il gruppo più numeroso continuerà a essere quello del Partito Popolare (186 seggi), che esprime anche la presidente uscente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. I Popolari complessivamente guadagnano 10 seggi e rappresentano oltre il 25% dell’emiciclo, continuando a essere imprescindibili per la formazione della maggioranza politica, che appunto elegge la presidenza della Commissione. In leggera flessione i Socialisti e Democratici, che perdono una manciata di europarlamentari, 4, contrariamente ad alcune ipotesi circolate negli ultimi mesi. Appare praticamente scontato che la prossima maggioranza verterà ancora una volta sull’asse PPE-S&D, dunque. Tant’è vero che il leader dei Popolari, Manfred Weber si è già espresso pubblicamente in favore di un accordo, parlando di una piattaforma “pro-Europa”, ampliata a Renew. i liberali, grandi sconfitti di questa tornata elettorale: un risultato determinato dalla debacle francese, ma anche dalle difficoltà complessive del progetto politico. Tuttavia, con i loro 79 eletti, meno 23 seggi rispetto al 2019, potrebbero garantire il raggiungimento di una maggioranza piuttosto solida all’asse S&D-PPE. Poi troviamo ECR, il gruppo dei Conservatori e riformisti europei con 73 seggi (+4), Identità e democrazia 58 (+9), i Verdi 53 (da 71) e Sinistra 36 (da 37).
Nella campagna elettorale per queste europee tutti hanno parlato di voler “riformare” l’UE. Gli “europeisti” guidati dall’asse franco-tedesco Macron-Scholz, come i “sovranisti”, espressione delle destre fasciste, razziste e xenofobe e autoproclamatisi portavoce della “sovranità dei popoli”, ma solo per fare le scarpe al vecchio gruppo dirigente e sostituirlo alla guida dell’UE. L’”europeismo” e il “sovranismo” sono due facce della stessa medaglia imperialista, dell’imperialismo europeo che vorrebbe contendere lo spazio a USA, Cina e Russia nella competizione mondiale.
Come ben espresso profeticamente nel documento elettorale astensionista del Comitato centrale del PMLI del 25 aprile scorso l'astensionismo si è ancora una volta dimostrato “un voto pesante, che colpisce al cuore l'UE, la delegittima, le fa venire meno il consenso delle masse, la isola, la mette completamente a nudo di fronte all'opinione pubblica europea e mondiale e ne smaschera il disegno economico, politico, istituzionale e militare. L'astensionismo è un voto in difesa dell'indipendenza economica, finanziaria, politica e militare nazionale dell'Italia. L'astensionismo è l'unico voto antimperialista, specie ora che l'UE si prepara militarmente alla guerra mondiale imperialista”. Questi i motivi di fondo per cui occorreva “delegittimare l'Europa imperialista, votandole contro con l'astensione, mentre strategicamente occorre battersi politicamente e attivamente per il suo scioglimento, la sua distruzione, iniziando a tirarne fuori l'Italia. L'UE è irriformabile. Le sue istituzioni sono e resteranno antidemocratiche e nemiche dei popoli. Il parlamento europeo non toglie nulla al carattere imperialista dell'UE e non può far nulla, anche se lo volesse, per cambiarlo e mutarne l'indirizzo. È solo un orpello per dare l'illusione che esiste una istituzione rappresentativa dei popoli europei... È e rimarrà una sovrastruttura di questa alleanza imperialista composta da politicanti borghesi gratificati con stipendi da nababbo, privilegi a non finire, viaggi di piacere e assenteismo legalizzato, che fanno inorridire e gridano vendetta di fronte alla povertà e alla miseria in cui sono condannati strati sempre più larghi della popolazione europea, causate dalla crisi economica e finanziaria del capitalismo. Tutte le vie elettorali e parlamentari per cambiarlo sono precluse e senza sbocco, compresa quella di spostare al suo interno i rapporti di forza aumentando la rappresentanza dei partiti della ‘sinistra’ borghese. Dal 1979, anno della prima elezione dei suoi membri a suffragio universale, le alternanze delle maggioranze ci sono state, eccome, eppure la natura dell'UE non è mai mutata”.

12 giugno 2024