Quattro i quesiti promossi
Partecipare attivamente alla campagna referendaria Cgil
La via maestra rimane la mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori

Dal 25 Aprile scorso è iniziata la campagna indetta dalla CGIL per la raccolta firme su quattro quesiti referendari; due dei quali intervengono sull'articolo 18. Il primo riguarda l'abrogazione del Decreto Legge del 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti”, ovvero le norme sui licenziamenti del Jobs Act che consentono alle imprese di non reintegrare una lavoratrice o un lavoratore licenziata/o in modo illegittimo nel caso in cui sia stato assunto dopo il 2015. Il secondo per innalzare le tutele in caso di licenziamenti illegittimi, in particolare chiedendo l'abrogazione di quelle norme che discriminano le lavoratrici e i lavoratori che operano nelle imprese con meno di quindici dipendenti, dal quale ne erano esclusi anche quando l'articolo 18 era pienamente in vigore.
Il terzo quesito chiede l'abrogazione delle norme che liberalizzano l'utilizzo dei contratti a termine, limitandoli a causali specifiche e temporanee. Infine il quarto riguarda gli infortuni sul lavoro negli appalti, chiedendo l'abrogazione delle norme che impediscono di estendere la responsabilità all’impresa appaltante. Una possibilità che le grandi aziende industriali e commerciali utilizzano sistematicamente, in modo da lavarsene le mani e scaricare sulle piccole ditte in appalto eventuali inadempienze alla misure di sicurezza che, nella corsa al massimo ribasso nelle gare, sono all'ordine del giorno.
Si tratta di quesiti referendari che investono delle tematiche molto importanti e che incidono in maniera pratica sulle condizioni di lavoro, come le tutele sui licenziamenti e la salvaguardia di chi lavora nelle piccole aziende. La stessa considerazione va fatta per gli altri due referendum, che intervengono su alcune norme per limitare l'utilizzo sistematico dei contratti precari e per salvaguardare in maniera più efficace la sicurezza, in un Paese come l'Italia dove ogni anno si registrano più di mille morti sul lavoro.
I marxisti-leninisti, che siano operai/e, lavoratrici e lavoratori, pensionati/e, ma anche chi non appartiene a queste categorie, hanno il dovere di firmare i 4 quesiti referendari proposti dalla CGIL e naturalmente, se poi si raggiungeranno le firme necessarie e si terranno effettivamente, votare SÌ all'abrogazione delle suddette norme. Al contrario delle elezioni, dove il PMLI utilizza l'arma astensionista (tattica o di principio, come per le europee) nel caso dei referendum di cui non siamo promotori, di fronte a una scelta tra un SÌ e un NO, salvo eccezioni, si schiera per uno dei due fronti sulla base degli interessi concreti e contingenti dei lavoratori e delle masse popolari. In questo caso sono palesi le ragioni per appoggiare e firmare i 4 referendum proposti dalla CGIL, non vi è alcun dubbio che vanno nella direzione di estendere i diritti e la sicurezza in materia di lavoro.
Questo però non ci esime da fare alcune considerazioni di carattere più generale. A partire dalla linea, tutt'altro che condivisibile, assunta dalla CGIL. In particolare sul Jobs Act, che ha introdotto le norme di cui alcuni referendum chiedono l'abrogazione. La battaglia contro il “modello Marchionne” e le relazioni industriali e sindacali di stampo mussoliniano introdotte dall'allora Amministratore Delegato FCA e dal governo Renzi (ai tempi a capo del PD) andava fatta subito e fino in fondo, anzitutto nelle piazze. Invece sappiamo com'è andata: la CGIL ha lasciato correre sperando che in parlamento qualcuno si opponesse, e solo la Fiom (allora guidata dall'attuale segretario della CGIL Landini) ha interpretato, ma solo in parte e in ritardo, la rabbia, la reazione e la mobilitazione spontanea delle lavoratrici e dei lavoratori italiani.
Il ferro va battuto quando è caldo. Si doveva scatenare la lotta di classe, e magari proporre anche i referendum, ma a sostegno della prima. In questo caso, dopo quasi 10 anni, la battaglia referendaria non ha la stessa incisività che poteva avere quando Renzi (appoggiato da Confindustria e da tutti i partiti di destra, dal PD e da quasi tutta la “sinistra” borghese) lanciò il Jobs Act. Proporre i referendum ora non è la stessa cosa, la strategia della CGIL è molto debole, adesso appaiono come sostitutivi della lotta di piazza, e quindi meno efficaci. C'è il rischio concreto che non si raggiunga il quorum, oltre alla diffidenza dei lavoratori verso la CGIL.
Una diffidenza ben motivata, perché la CGIL, con la sua linea della concertazione, ha avallato le politiche che hanno favorito il dilagare del precariato, la perdita del potere d'acquisto dei salari e delle pensioni, la deregolamentazione del mercato del lavoro che ha portato con se anche l'aumento degli infortuni e dei morti sul lavoro. Il tutto nel nome dei sacrifici dei lavoratori per aiutare l'industria italiana, con la falsa promessa che in cambio sarebbe arrivata successivamente una crescita. Risultato:i profitti sono arrivati alle stelle, i salari sono i più bassi d'Europa, tre operai/e muoiono ogni giorno sul lavoro.
Non crediamo che questi referendum rappresentino un cambiamento di linea, nemmeno se al governo c'è la Meloni. Piuttosto siamo arrivati a un punto tale che le condizioni di vita e di lavoro sono state talmente compromesse che non c'è più il minimo spazio per invocare ulteriori sacrifici, e il gruppo dirigente della CGIL è costretto a scendere in campo contro gli aspetti più deleteri delle condizioni di lavoro che vivono milioni di persone. Ma lo fa solo per via legislativa attraverso i referendum, che non potranno incidere realmente, se non ci sarà una forte e costante mobilitazione per riconquistare il terreno perduto.
Tuttavia i referendum sono stati lanciati e abbiamo davanti a noi dei quesiti a cui non ci possiamo sottrarre giacché le norme di cui si chiede la cancellazione sono da sempre nel mirino della sinistra sindacale, dei partiti e delle organizzazioni anticapitaliste e del PMLI. Quindi occorre prendere parte attiva alla battaglia referendaria, sfruttando l'occasione per discutere con i lavoratori della necessità di una ripresa generalizzata delle lotte per i diritti e i salari e contro il governo neofascista della Meloni.

12 giugno 2024