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16 giugno 1944: la deportazione degli operai genovesi antifascisti

di Ugo - Genova
Inizio estate del 1944; l’occupazione nazifascista incombe sulla città di Genova, già martoriata dai bombardamenti aerei e navali degli Alleati angloamericani. La popolazione è allo stremo, fatica a trovare il cibo sufficiente, le formazioni partigiane combattono in montagna e in città, e le milizie fasciste, assistite dai militari nazisti, compiono arresti, aggressioni e numerose rappresaglie.
Fra la popolazione c’è incertezza, fame, timore, tuttavia resiste all’occupazione, alle dure condizioni di vita e se ne fa una ragione che è politica, che è antifascista. È sotto queste ragioni che prendono vita gli scioperi: si chiedono aumenti salariali, soprattutto si cerca di rallentare la produzione di acciaio necessario per le armi e le munizioni dei nazifascisti. La scintilla ebbe inizio ai cantieri navali di Sestri Ponente. Per reprimere gli scioperi vengono inviate le squadre di polizia fascista e i militari della Wermacht. I lavoratori si oppongono. Avvengono duri scontri e un operaio viene ucciso. La lotta operaia dilaga nel Ponente, a Sampierdarena, e in Val Polcevera. Circa dodicimila operai entrano in sciopero. È una lotta sostenuta ma non organizzata dai vertici della Resistenza genovese, che invitano, piuttosto, a risparmiare le forze per l’avvicinarsi della battaglia per la Liberazione. È più volentieri una lotta di popolo, della classe operaia. Una lotta che germoglia e che si diffonde, che dilaga simile a profumo primaverile. È un duro colpo, una dura ferita, per l’amministrazione nazifascista della città di Genova. Spaventano le dimensioni della protesta, e quello che potrebbe succedere se si propagasse ancor di più, e sotto la direzione del prefetto fascista Basile (in seguito diventò dirigente del MSI e ritornò pure a Genova il 30 giugno del 1960) venne confezionata una punizione definita esemplare.
Il 16 giugno del 1944, nella tarda mattinata di una giornata, che si ricorda caldissima, le forze di occupazione tedesche, con l’attiva partecipazione della polizia fascista e delle brigate nere, circondano quattro fra le più combattive fabbriche genovesi (Siac di Campi, il Cantiere dell’Ansaldo, la San Giorgio e la Piaggio di Sestri Ponente). I lavoratori, sotto la minaccia delle armi, vennero radunati nei piazzali adiacenti. Selezionati (la scelta cadde su operai giovani e specializzati), caricati a centinaia su autobus, camion, mezzi di trasporto di ogni tipo. Vennero fatti salire così come si trovavano, in tuta da lavoro, con ai piedi gli zoccoli. Nella rete nazifascista caddero 1.488 operai. Vennero ammassati a Campi, a Bolzaneto. Quindi stipati come animali su carri ferroviari con destinazione il campo di lavoro e di sterminio di Mauthausen. Vi rimasero poco tempo. Vennero infatti assegnati ad alcune fabbriche tedesche a cui occorrevano operai specializzati e mano d’opera da tenere coatta e schiavizzata, e ci rimasero fino al termine del conflitto armato (molti di loro non fecero ritorno). Furono brutalmente sottratti alle loro famiglie che seppero della rappresaglia, della deportazione, solo attraverso il passaparola e tramite la consegna di messaggi scritti, destinati alle proprie famiglie e gettati da delle finestrelle dei carri ferroviari, raccolti dalle donne che cercarono, però inutilmente, di arrestare, con il proprio corpo, il treno.
A ricordare quelle tragiche pagine di storia, già scolpite nella memoria della classe operaia genovese, esiste una Lastra commemorativa di marmo. Una delle lapidi che ricordano la Seconda guerra mondiale, la repressione fascista, gli eccidi subiti dalla popolazione inerme e dai combattenti partigiani, compiuti dai militi delle brigate nere e dai loro complici nazisti. Ma rammentano pure gli slanci rivoluzionari e antifascisti di quella parte sana e meravigliosa della popolazione che non si piegò alla retorica fascista.
Il fascismo dei giorni odierni, che è al governo del nostro Paese, non si ripresenta con le medesime caratteristiche di allora. Contiene tuttavia gli stessi contenuti ideologici, politici e sociali. Solo chi cerca ogni espediente per non vedere non riesce a cogliere che il progetto mussoliniano è di nuovo al potere. Certo per arrivarci non ha utilizzato le forme di violenza che usò nel 1922. Diciamo, provocatoriamente, che si è “civilizzato” e che si è adeguato a metodi consoni del XXI secolo. Ma che piaccia o no, è al potere.
Marx diceva: “La storia si ripete prima come tragedia, poi come farsa” . Tuttavia i fatti di Genova sopra descritti, la Resistenza, la lotta di classe, ci insegnano che la storia appartiene a chi ne è parte attiva. A chi non si rassegna alla deriva meloniana o mussoliniana. A chi ha la consapevolezza che è necessario creare un fronte antifascista e che solo la lotta rivoluzionaria delle masse potrà dare una svolta e un indirizzo differente e proletario.

19 giugno 2024