Ai ballottaggi per le elezioni dei sindaci del 23 e 24 giugno 2024
Il 52,3% dell’elettorato diserta le urne (+15,1%)
Sindaci eletti con un numero ristretto di voti
Sindaci, amministratori e partiti del regime capitalista neofascista delegittimati. La “sinistra” prevale leggermente sulla destra e riesce a confermare Firenze e Bari e a strappare Perugia e Vibo Valentia, ma perde Rovigo e Lecce. Il M5S perde tutti i comuni dove governava: cede Caltanissetta alla destra e si deve accontentare di partecipare alla “coalizione larga” a Campobasso. Le donne sindaco (8 su 29 comuni capoluogo) rappresentano solo una nuova illusione elettoralistica.
Che le astensioniste e gli astensionisti di sinistra aprono un dialogo col PMLI per cambiare l’Italia con il socialismo

Il 23 e 24 giugno 2024 circa 3 milioni di elettrici ed elettori sono stati di nuovo chiamati alle urne per la scelta dei sindaci al ballottaggio in 106 comuni, fra i quali 14 comuni capoluogo, ossia Verbania, Vercelli, Cremona, Rovigo, Firenze, Perugia, Urbino, Campobasso, Avellino, Bari, Lecce, Potenza, Vibo Valentia e Caltanissetta.
Ascoltando i commenti della destra e della “sinistra” del regime capitalista neofascista è difficile comprendere quali siano stati effettivamente i risultati. La destra borghese si ritiene soddisfatta e reputa la conclusione di questa tornata un ottimo risultato della coalizione e del proprio buongoverno. D’altra parte la “sinistra” borghese, per bocca della stessa segretaria PD Elly Schlein, addirittura parla di “vittoria storica” e la spaccia per un viatico per ben più ampi successi. Quindi tutti hanno vinto e non ci sono perdenti?
La verità è che l’unico vero vincitore di questa tornata di amministrative è l’astensionismo. Anche al ballottaggio la diserzione è ulteriormente cresciuta superando la metà dell’elettorato. Nel complesso, esclusi i comuni del Trentino Alto-Adige e della Sicilia che non vengono trattati dal Viminale, ben il 52,3% delle elettrici e degli elettori hanno disertato completamente le urne, il 15,1% in più rispetto al primo turno. Cifre che insieme a quelle registrate nel primo turno e alle contemporanee elezioni europee, dimostrano che tutti i partiti e le coalizioni del regime e le istituzioni rappresentative borghesi hanno subito una sonora sconfitta e una delegittimazione inequivocabile.
Non è un caso che la segretaria del PD nella conferenza stampa post-ballottaggio, abbia voluto fra l’altro sottolineare che è “Nostro dovere combattere l’astensionismo”. Da parte loro massimi esponenti di Fratelli d’Italia e della Lega per arginare il fenomeno astensionista hanno già invocato la “riforma” della legge elettorale e in particolare del sistema del ballottaggio prevedendo per esempio di abbassare il quorum dal 50% al 40% dei voti validi per essere eletti sindaco già al primo turno. Insomma destra e “sinistra” borghese sono schierati fianco a fianco contro il comune nemico dell’astensionismo.
Siamo particolarmente contenti che buona parte dell’elettorato di sinistra già astensionista non si sia fatto irretire e ricattare dal “dovere di fermare la destra”, dal “voto utile”, ecc. e ha invece confermato la propria scelta astensionista. I fatti hanno fin qui dimostrato che la destra non la si ferma certo sul piano elettorale e parlamentare.

Astensionismo record
Se esaminiamo la tabella che pubblichiamo a parte riferita a tutti i 106 comuni chiamati alle urne, possiamo ben vedere che in ben 88 comuni non si è recato alle urne nemmeno il 50% degli elettori aventi diritto. In alcuni la diserzione supera il 60%: come a Lainate (Milano) col 64,9%, Rapallo (Genova) 64%, Gela (Caltanissetta) 64,7%, Manfredonia (Foggia) 63,7%, Caltanissetta 63,4%, Aversa (Caserta) 62,7%, Bari 62,5%, Castel Volturno (Caserta) 60,2%. Il record assoluto spetta però a Torre Annunziata dove è stato sfondato il tetto del 70%, con un incremento di ben il 34,1% rispetto al primo turno.
Grosse differenze fra Nord, Centro e Sud ormai non ce ne sono. La diserzione è solo generalmente appena più massiccia nei grossi centri, per esempio nei comuni capoluogo, rispetto ai comuni più piccoli dove evidentemente il controllo esercitato dalle istituzioni borghesi e dai partiti parlamentari, ma anche dalle cosiddette “Liste civiche” e dai singoli candidati sull'elettorato è maggiore e più capillare.
L'aumento dell'astensionismo fra il primo e il secondo turno non è un dato semplicemente fisiologico perché in passato lo scarto non era così consistente e comunque varia anche in modo significativo da città a città proprio perché l'elettorato non è più statico e sempre più sceglie consapevolmente di astenersi per punire questo o quel candidato, questo o quel partito parlamentare e coalizione. Pertanto gli incrementi fra il primo e il secondo turno variano addirittura dal -5,5 di Stroppo (Cuneo) al +34,1% di Torre Annunziata.
Fra i comuni capoluogo il record della diserzione va a Bari col 62,5%. Seguono Vercelli (58%), Vibo Valentia (54,4%), Cremona 53,5%, Rovigo (52,5%), Firenze (52%). Particolarmente importanti i due risultati di Bari e Firenze, le città più importanti chiamate al ballottaggio e dove in realtà per il significato simbolico del capoluogo toscano e le vicende politiche e giudiziarie che hanno coinvolto il capoluogo pugliese, si è giocata una partita di valore nazionale.

Sindaci senza base elettorale
Il dato dell'astensionismo, specie quando è di queste enormi proporzioni, se ignorato, come fanno in genere partiti e media borghesi, falsificano e distorcono ogni analisi del voto elettorale.
Perché al di là di chi ha vinto o perso la competizione elettorale e di chi avrà il potere nel governo locale, resta il fatto che oltre metà dell'elettorato ha preso apertamente e marcatamente le distanze dalle istituzioni rappresentative borghesi e dai partiti sia della destra che della “sinistra” borghese, e ha oggettivamente delegittimato e sfiduciato i sindaci e i futuri governi locali che al massimo potranno sostenere di rappresentare solo una minoranza delle elettrici e degli elettori delle proprie città.
Se si rapportano i voti ottenuti dai sindaci eletti con l'intero corpo elettorale e non già con i soli voti validi, ci si renderà perfettamente conto che costoro hanno ancor prima di iniziare una debolissima base elettorale e di massa potendo contare solo sulla fiducia e il consenso di una risicata minoranza che in genere si aggira intorno a un quarto dell'elettorato. E ciò vale anche per i sindaci che sono stati eletti già al primo turno superando il 50% dei voti validi.
Il fenomeno peraltro non presenta significative differenze territoriali, fra Nord, Centro e Sud. Né pare incidere in modo pesante l'area a cui appartengono i candidati sindaci.
Facendo riferimento alla tabella che pubblichiamo a parte sui sindaci eletti nei comuni capoluogo sia al 1° che al 2° turno emerge infatti che nessuno ha ottenuto nemmeno il 50% dell’elettorato. Solo il neosindaco di Ascoli Piceno, Marco Fioravandi, sostenuto da PD e M5S, supera il 40%. I restanti stanno tutti sotto questa soglia. Record negativo al sindaco della destra di Caltanissetta, Walter Calogero Tesauro, che ottiene un risicato 19,4% degli elettori chiamati alle urne. Sotto il 30% anche i sindaci eletti a Biella, Verbania, Vercelli, Cremona, Pavia, Rovigo, Firenze, Livorno, Campobasso, Avellino, Bari, Vibo Valentia, Sassari.

La spartizione dei comuni
Per quanto riguarda il potere del governo cittadino in questa tornata prevale leggermente la “sinistra” borghese. Complessivamente, fra primo e secondo turno, quest’ultima ne guadagna 11 in più rispetto alle precedenti amministrative. La destra ne guadagna tre, più due attribuiti a liste civiche della stessa area. Ci sono poi 19 comuni assegnati a liste civiche (38 in meno rispetto alle precedenti elezioni). Tre sindaci conquista il M5S, seppure in coalizione con altre forze, ma nessun comune capoluogo.
La “sinistra” borghese ha conquistato al ballottaggio tutti i cinque capoluoghi di regione alle urne, confermandosi a Firenze e Bari, e conquistando Perugia, Campobasso (già M5S) e Potenza (con una lista civica appoggiata dalla maggioranza del PD). Aveva già ottenuto l’altro capoluogo di regione, Cagliari, al primo turno. Per quanto riguarda i capoluoghi di provincia, si conferma anche a Cremona e strappa Vibo Valentia alla destra. Perde però Verbania, Rovigo e Lecce. La destra si conferma a Vercelli e Urbino e poi a Verbania e Avellino tramite liste civiche della propria area, conquista Rovigo e Lecce e strappa al M5S Caltanissetta.
Come si vede è sempre più difficile confermare i governi uscenti perché l’elettorato, deluso e arrabbiato, quando non sceglie direttamente l’astensione, tende a dare il proprio consenso alla coalizione opposta a quella che ha governato negli ultimi cinque anni.
Il PD si vanta in particolare della riconferma di Firenze e Bari il cui esito non era per niente scontato. In entrambe le città, al contrario delle passate consultazioni, ci sono voluti due turni per ottenere la maggioranza dei voti validi e i risultati di Sara Funaro a Firenze e Vito Leccese a Bari, sono stati assai al di sotto di quelli ottenuti cinque anni fa rispettivamente dai loro colleghi di partito Dario Nardella e Antonio Decaro. La Funaro ha ottenuto oltre 27 mila voti in meno rispetto a Nardella nel 2019. Leccese addirittura ha ottenuto quasi 43 mila voti in meno di Decaro nel 2019. Fra il primo e il secondo turno Funaro, nonostante avesse ottenuto l’appoggio del M5S e quello della candidata di Italia Viva, Stefania Saccardi, ha ottenuto solo 4 mila voti in più. Leccese addirittura ha diminuito i suoi consensi passando dai 73.735 al primo turno ai 72.038 al secondo.
Complessivamente la “sinistra” borghese ha poco da cantar vittoria. Anche perché i maggiori risultati sono stati ottenuti erodendo i consensi al M5S che è stato il suo maggiore alleato in questa tornata ma è in forte crisi politica ed elettorale, non solo a livello locale ma anche su scala nazionale.

L’inganno delle donne elette sindaco
“Mai così tante donne”: è il ritornello che si sente ripetere sia dalla destra che dalla “sinistra” del regime. In effetti, 6 donne (a Firenze, Perugia, Lecce, Campobasso, Avellino, Rovigo) sono state elette sindaco su 14 sindaci eletti al ballottaggio. A queste vanno sommate le due elette al primo turno a Bergamo e Prato. In genere, a parte Lecce, è la prima volta che succede in queste città. Difficile se non impossibile però presentare come un “risultato epocale” l’aver eletto appena 8 donne su 29 sindaci, un numero ben lontano dal 50% che spetterebbe loro di diritto. Ma il punto è un altro.
La corsa a candidare donne da parte di tutti gli schieramenti in campo è stata una scelta per creare un nuovo inganno verso l’elettorato e cercare di ricucire lo strappo ormai profondo fra le elettrici e gli elettori, da una parte, e i sindaci e le istituzioni rappresentative borghesi a livello locale come a livello centrale, dall’altra.
Un’operazione già avviata con la nomina della prima donna premier, la ducetta Giorgia Meloni, e della prima donna alla segreteria del maggiore partito di “opposizione”, il PD, Elly Schlein.
Si cerca di far passare l’idea che le candidate donne sono volti nuovi, siano più “concrete”, non compromesse con la “vecchia politica”, con i sistemi corruttivi e clientelari che dominano le istituzioni locali e regionali come i numerosi scandali che coinvolgono sia amministrazioni di destra che di “sinistra” borghesi dimostrano ampiamente. La verità è che le sindache elette sono tutt’altro che estranee politicamente e moralmente al regime imperante. Basti pensare a Sara Funaro che è stata assessore della giunta Nardella per dieci anni a Firenze. Ad Adriana Poli Bortone che non solo è già stata sindaco di Lecce, ma è una navigata politica di destra, passata dal MSI, ad AN, a Forza Italia, al Movimento sociale Fiamma Tricolore, a liste quali Io Sud ed è stata anche ministro nel primo governo Berlusconi. Pensiamo pure alla sindaca di Avellino, Laura Nargi, una candidata civica espressione dell'amministrazione uscente targata Gianluca Festa, impossibilitato a ripresentarsi a causa dell'inchiesta per corruzione che l'ha portato agli arresti domiciliari. La Nargi, ex vicesindaca di Festa, è a sua volta indagata nell'inchiesta che ha coinvolto il primo cittadino uscente.
In realtà, le masse femminili sfruttate e oppresse non hanno proprio niente da gioire perché non hanno niente da spartire con queste rappresentanti del regime capitalista neofascista.

La via maestra indicata da Scuderi
Noi ci auguriamo che la maggioranza delle masse femminili continui a girare le spalle a queste candidate e alle istituzioni rappresentative borghesi astenendosi.
Ci auguriamo anche che le astensioniste e gli astensionisti di sinistra aprano un dialogo col PMLI per cambiare davvero l’Italia, con il socialismo.
Come ha chiarito il Segretario generale del PMLI, compagno Giovanni Scuderi, nello splendido Editoriale per il 47° Anniversario della fondazione del PMLI, intitolato “La via maestra per cambiare l'Italia”: “Se non si abbandona ogni illusione costituzionale e non si intraprende la via maestra della Rivoluzione Socialista d'Ottobre niente di sostanziale potrà cambiare ”.
Ne prendano coscienza – ha aggiunto - soprattutto le operaie e gli operai d'avanguardia e le ragazze e i ragazzi che si battono con tanto coraggio contro il fascismo, il razzismo, il governo neofascista Meloni, il genocidio dei palestinesi, le violenze di genere e sulle donne e la militarizzazione delle scuole liberandosi dalle illusioni costituzionali, nonché dalle illusioni elettorali adottando l'astensionismo marxista-leninista”.
Egli ha così chiamato le avanguardie del proletariato, le ragazze e i ragazzi rivoluzionari, ma anche gli intellettuali democratici e antifascisti a fare la propria parte in prima persona perché “Occorre che dedichino le loro forze intellettuali e materiali allo sviluppo rivoluzionario della lotta di classe e all'organizzazione della rivoluzione socialista, che studino la teoria della rivoluzione socialista e del socialismo, cioè il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e si uniscano nel e attorno al PMLI. Perché solo col socialismo si può realmente e totalmente cambiare l'Italia sui piani economico, politico, istituzionale, sociale, culturale e morale e trasferire il potere dalla borghesia al proletariato”.

26 giugno 2024