Primo sì al premierato mussoliniano
È legge l'autonomia che divide l'Italia e affossa il Sud
Secessione delle regioni più ricche, il Meridione sempre più povero. Un colpo mortale al servizio sanitario nazionale, alla scuola pubblica e ai servizi sociali
Firmare il referendum abrogativo e scendere in piazza per affossare le controriforme neofasciste

Il ddl Calderoli sull'autonomia differenziata è stato approvato il 19 giugno dalla Camera dei deputati. Si tratta del disegno di legge sull'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario, primo sì del Senato il 18 giugno anche per il premierato, la cosiddetta "madre di tutte le riforme".
Si tratta di due odiose e disastrose controriforme neofasciste, piduiste, presidenzialiste e federaliste che vanno in porto grazie al nero governo Meloni.
L'autonomia differenziata è il vecchio cavallo di battaglia fascioleghista del federalismo che inizia a realizzarsi concretamente, con la secessione delle regioni più ricche del Centro-Nord dal resto d'Italia, condannando il Mezzogiorno a vivere in perpetuo nel sottosviluppo e nell'indigenza. Fu però il "centro-sinistra" a spianare la strada all'attuale maggioranza con la riforma nel 2001 del Titolo V della Costituzione al quale questa riforma si ricollega, l'autonomia differenziata si rifà infatti all'articolo 116 della suddetta “riforma”, che al terzo comma prevede che una lista di ben 23 materie, tra quelle di competenza statale e concorrenti tra Stato e Regioni, “possono essere attribuite ad altre Regioni (cioè tra quelle a statuto ordinario, ndr), con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”.
La legge approvata con 170 voti favorevoli, 99 contrari e un astenuto, disegna un'Italia divisa in 20 staterelli, alcuni dei quali saranno più ricchi e potenti di altri, cioè le regioni del Nord a scapito di quelle del Centro-Sud. Tra queste 23 materie ce ne sono parecchie di primaria importanza che concernono diritti fondamentali che dovrebbero essere costituzionalmente garantiti in ugual misura su tutto il territorio nazionale, come la tutela della salute, l'istruzione pubblica, la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, la tutela e la sicurezza del lavoro, che già sono soggetti di fatto a forti disuguaglianze di classe e territoriali, in particolare tra il Nord e il Mezzogiorno d'Italia. Vi sono poi altre materie, come i rapporti internazionali e con l'Unione europea, il commercio con l'estero, la ricerca scientifica e tecnologica, l'alimentazione, i porti e gli aeroporti civili, le grandi reti di trasporto e di navigazione, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia, che costituiscono un corpo unico di importanza strategica per il Paese, e che non possono essere spezzettate tra diverse regioni senza creare conflitti e indebolire l'integrità del Paese.
Anche la procedura prevista per la concessione dell'autonomia differenziata alle Regioni che ne facciano richiesta denuncia gli intenti truffaldini di questa legge; per la quale, tra parentesi, è stata scelta la via della legge ordinaria, più sbrigativa e senza le garanzie della doppia lettura parlamentare e del referendum confermativo che avrebbe comportato una legge di riforma costituzionale. La procedura prevede infatti una trattativa diretta tra il governo e la Regione interessata, senza il coinvolgimento del parlamento se non per esprimere “atti di indirizzo” per un'intesa che spetta unicamente ai suddetti due attori e alla quale arrivare in tempi prestabiliti attraverso la fissazione di tempi massimi per ogni passaggio, per un totale di appena 5 mesi prima della trasmissione dello “schema di intesa definitiva” alle Camere per l'approvazione a maggioranza assoluta dei componenti. Approvazione a scatola chiusa, senza discussione né modifiche, sembra di capire, dal fatto che non si parla espressamente di queste opzioni. E in ogni caso c'è sempre a disposizione il voto di fiducia su provvedimento blindato.
Non solo il parlamento non ha alcuna voce in capitolo nel concedere, e a quali condizioni, l'autonomia differenziata alla Regione richiedente, ma perfino la Conferenza unificata Stato-Regioni, unica occasione in cui le Regioni del Sud potrebbero dire la loro, può solo esprimere un “parere” non vincolante sull'intesa raggiunta. Inoltre la trattativa è condotta direttamente con la Regione dallo stesso ministro per gli Affari regionali e le Autonomie per conto del governo, nella fattispecie Calderoli, e le intese sono discusse nel Cdm sempre alla presenza del governatore della Regione richiedente. In sostanza è come dire che le Regioni del Nord tratteranno con sé stesse!
Vi è poi il problema dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) che verranno stabiliti tramite Dpcm che sono atti amministrativi e pertanto non subordinati al giudizio del parlamento, al quale i decreti sono trasmessi solo per esprimere un semplice parere nel giro massimo di 45 giorni, dopodiché il decreto è approvato dal Cdm (articolo 3).
La verità è che le regioni più ricche tratterranno risorse mentre le più povere avranno poco o nulla da spendere.
La nuova legge aumenterà i divari fra le aree del Paese, a dispetto della strumentale rivendicazione di "autogestione responsabile" come è stato denunciato anche da vari settori del “centro-destra” del Mezzogiorno. Dai banchi dell'opposizione hanno risposto intonando l'inno di Mameli e sventolando quel tricolore che era già stato come fumo negli occhi per la maggioranza tanto da scatenare la squadristica aggressione ai danni del parlamentare 5 Stelle Leonardo Donno, "colpevole" di essersi avvicinato con la bandiera tricolore a Calderoli.
Alla legge "spaccaItalia " si aggiunge la prima lettura da parte del Senato della riforma costituzionale del premierato.
Oltre 180 professori di diritto si sono uniti a Liliana Segre nella ferma presa di posizione contro il premierato, uno di questi, Francesco Pallante, spiega le ragioni in un'intervista a "Il Fatto Quotidiano": "La riforma mira a trasformare il sistema attuale nel suo opposto: oggi votiamo per eleggere il Parlamento e il governo si forma di conseguenza; con il premierato voteremmo per eleggere il capo del governo e il Parlamento si formerebbe di conseguenza. Si tratta di una forma di autocrazia elettiva che non ha eguali nel mondo democratico. Ovunque vi sia democrazia non vi è certezza matematica che le elezioni producano una maggioranza assoluta in Parlamento: se il sistema politico è plurale, il Parlamento è plurale. La costruzione a qualsiasi costo di una maggioranza parlamentare assoluta è un’ossessione tutta italiana, la cui realizzazione è incompatibile con il costituzionalismo democratico."... "Già oggi il ruolo del Parlamento è ridotto al lumicino: a dominare anche sul processo legislativo è il governo e, al suo interno, il presidente del Consiglio. Le opposizioni contano pochissimo e la stessa maggioranza è sotto il costante ricatto della questione di fiducia. Con il premierato anche la residua dialettica parlamentare verrebbe meno, in particolare all’interno della maggioranza, perché qualsiasi deviazione dagli ordini del capo potrebbe portare allo scioglimento anticipato delle Camere. Quanto al presidente della Repubblica, il suo ruolo sarebbe ridotto a quello di esecutore delle istruzioni del premier". E sull'autonomia differenziata aggiunge: “L’art. 116 prevede l’autonomia differenziata, ma le sue disposizioni devono essere interpretate alla luce del principio fondamentale di unità e indivisibilità della Repubblica (art. 5). Poiché la differenziazione regionale impatta sui diritti costituzionali, a venire in gioco è anche il rispetto del principio di uguaglianza (art. 3). Ciò significa che le regioni possono ottenere nuovi poteri solo a condizione che ciò non rappresenti un pericolo per i principi ora ricordati. Basta uno sguardo alle richieste regionali in tema di scuola, sanità, infrastrutture, governo del territorio, energia, demanio idrico, ecc. per rendersi immediatamente conto che la violazione di unità e uguaglianza sarebbe una certezza".
Una forte opposizione si delinea nel Paese contro le due "riforme", si parla di referendum abrogativi, che noi fin da ora invitiamo a firmare, e naturalmente la mobilitazione, in particolare sull'autonomia differenziata pesano la contrarietà e le preoccupazioni del Vaticano, le perplessità della Commissione UE e persino le posizioni contrarie di alcuni esponenti della maggioranza del Sud, come il governatore della Calabria, Roberto Occhiuto e gli stessi leghisti calabresi ma non basta.
Occorre mobilitare tutte le masse antifasciste e chiamarle in piazza per bloccare e affossare le controriforme piduiste e fasciste dell'autonomia differenziata e del premierato. La sola opposizione parlamentare a base di tricolori e qualche elettoralistica manifestazione in difesa di una Costituzione ormai ridotta a brandelli dai partiti tanto della destra quanto della “sinistra” della classe dominante borghese non possono costituire un serio argine allo strapotere del governo neofascista. Anche perché non va dimenticato che è stata proprio la “sinistra” borghese, con i governi D'Alema e Amato a spianare la strada all'autonomia differenziata con la “riforma del Titolo V della Costituzione”, che permette alle Regioni di rivendicare la potestà su molte materie di primaria rilevanza collettiva nazionale, come la salute, l'istruzione, le infrastrutture, la tutela dell'ambiente, i beni culturali, la sicurezza sul lavoro.
Occorre soprattutto riconoscere, senza opportunismi e ipocrisie consolatorie, che quello di Giorgia Meloni è un governo neofascista che ha riportato il fascismo mussoliniano al potere nelle vesti femminili, democratiche e costituzionali, come dimostra lampantemente anche l'aggressione squadrista in parlamento, e che pertanto va buttato giù al più presto con una grande mobilitazione antifascista e con la lotta di piazza delle masse, sull'esempio e con lo spirito delle grandi lotte popolari contro la Legge truffa, il governo fascista Tambroni e le lotte operaie e studentesche del '68-'69. Altrimenti il rischio è quello di un'opposizione di tipo aventiniano: come quella che dopo l'assassinio di Matteotti, fidando solo nelle regole della democrazia parlamentare borghese ancora esistente, si rivelò incapace di fermare Mussolini e l'instaurazione della dittatura fascista aperta.

26 giugno 2024