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30 giugno 1960 a Genova: la grande rivolta popolare impedisce il congresso dei fascisti e fa cadere il governo Tambroni che cercava di sdoganarli

di Ugo - Genova
La data del 30 giugno del 1960, per la città di Genova, rappresenta un appuntamento importante e raffigura la continuità della lotta antifascista culminata durante gli anni della Resistenza.
La Seconda guerra mondiale, con la sconfitta della Germania nazista e dell’Italia fascista, è conclusa da soli 15 anni, eppure, nonostante che la Costituzione italiana, in vigore dal 1948, ne vieti la riorganizzazione, sui banchi del parlamento trovano posto 24 deputati fascisti raccolti nel partito Movimento Sociale Italiano, acronimo MSI.
In quegli anni il nostro Paese sta vivendo una fase di grossa instabilità politica. Si è dentro il periodo del cosiddetto “miracolo economico” e la Confindustria, il capitalismo nostrano, pretende di avere le mani libere. A conti fatti a loro occorre un governo molto amico, persino complice. La soluzione viene trovata dal presidente della Repubblica italiana Giovanni Gronchi che affida l’incarico al democristiano Fernando Tambroni. Tuttavia, per un governo monocolore, i numeri sono esigui. L’esecutivo al cospetto delle sfide future si presenta troppo fragile, di conseguenza il neopresidente del Consiglio Tambroni ricorre all’appoggio del MSI. Capita così, in barba alla Costituzione Italiana (descritta, a sentir molti presunti personaggi di sinistra, come la più bella del mondo) e in barba al garante delle norme della stessa Costituzione, il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, che dopo soli 15 anni dalla conclusione del conflitto armato, il ricostituito partito fascista, con all’interno alcuni personaggi e protagonisti di una delle pagine più vergognose del nostro Paese, è di nuovo, di fatto, al governo dell’Italia.
I missini galvanizzati del successo ottenuto, e in cerca di legittimazione, decidono di tenere il congresso nazionale.
Forse i fascisti volevano togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Forse a volerselo togliere era proprio l’ex-prefetto repubblichino il fascista Carlo Emanuele Basile (responsabile di fucilazioni di partigiani, di deportazioni di massa di operai in Germania, di ebrei, e mi fermo qui). La scelta cadde, ma non fu affatto casuale, sulla città di Genova, città Medaglia d’Oro per la Resistenza. Il congresso si sarebbe tenuto dal 2 al 4 luglio, presso il teatro Margherita, nel centro urbano, e a ridosso del ponte Monumentale che ospita il sacrario dei caduti partigiani e si sarebbe svolto sotto la presidenza di Carlo Emanuele Basile. Altro che provocazione. Era il tentativo di piegare gli antifascisti genovesi. Una prova generale. Un modo per cogliere la “temperatura” del Paese. Per individuare la possibilità di un’apertura, e magari duratura, all’estrema destra missina al governo, senza timori di un’eventuale reazione popolare e antifascista.
La classe operaia genovese, gli antifascisti, gli ex partigiani, ma anche quei giovani con le magliette a strisce che durante la Seconda guerra mondiale erano appena nati, e la parte sana della città, si oppongono, insorgono. La Camera del Lavoro, sindacati e partiti antifascisti, indicono lo sciopero generale e organizzano varie manifestazioni. In oltre centomila partecipano alla manifestazione antifascista del 30 giugno. Il corteo si dirige in piazza De Ferrari. Si sposta di fronte al teatro Margherita presidiato da centinaia di celerini; luogo in cui si dovrebbe tenere, a giorni, il congresso del MSI. Le masse avanzano, premoono. Nel tentativo di sciogliere la manifestazione la celere usa gli idranti e suona la carica. Ma la posta in gioco è troppo alta, non è permesso rinunciare alla lotta.
Iniziano gli scontri. Sia in piazza De Ferrari dove la celere, con le camionette, compie caroselli, sia sotto i portici di via XX Settembre, sia dentro i “caruggi”, in cui le “forze dell’ordine”, all’inseguimento dei manifestanti, vengono bombardate dall’alto con vasi, con bottiglie, con piatti; tutti oggetti lanciati dalle finestre dalla popolazione residente. Lungo le strade principali del centro vengono erette barricate, tenute e presidiate dai rivoltosi. I manifestanti si armano di spranghe, di bastoni, di pezzi di porfido staccato dal selciato; sulle mani dei portuali compaiono i temibili ganci. In pochi minuti lo scenario dello scontro muta. Piazza De Ferrari, con la sua monumentale fontana, è accerchiata da migliaia di antifascisti. La celere con i propri mezzi militari è al centro, viene bersagliata da lanci di pietre, attaccata. Dalle mani dei manifestati spuntano alcune molotov e i celerini, con il loro comandante in testa, anche per salvarsi, finiscono dentro la fontana.
A fine giornata rimangono a terra 162 feriti fra le “forze dell’ordine” e 40 manifestanti antifascisti. Per evitare che lo scontro si propaghi ancor di più e per fermare i moti popolari sfuggiti al controllo degli organizzatori della manifestazione, il prefetto Luigi Pianese decide l’annullamento del congresso del MSI. La vittoria del fronte antifascista è totale, ma per fare cadere il governo Tambroni ci vollero altre manifestazioni in tutta Italia che costarono la vita a 11 proletari, tra cui 5 operai a Reggio Emilia.
Ogni anno gli antifascisti genovesi per ricordare quella data scendono in piazza. Non per tradizione. Piuttosto per monito e per alimentare la consapevolezza che la lotta, se è lotta senza cedimenti, paga, e forse per fare propria, e magari inconsciamente, la citazione del compagno Mao Zedong, “Il popolo, e solo il popolo, è la forza motrice che crea la storia del mondo”.

3 luglio 2024