Inchiesta dell'Istat nel periodo 2022-2023
Quasi due milioni di donne molestate sul lavoro
Il 13,5% delle donne di 15-70 anni hanno subito molestie sul lavoro a sfondo sessuale nel corso dell'intera vita. Il 12,6% delle donne che hanno subito ricatti negli ultimi tre anni è stata licenziata o messa in cassa integrazione o non è stata assunta

Per ottemperare alla Direttiva Ue (2006/54/CE) che definisce le molestie sessuali come “qualsiasi forma di comportamento indesiderato, verbale, non verbale o fisico, di natura sessuale, avente lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona, in particolare quando crea un ambiente intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo” (articolo 2, paragrafo 1, lettera d) richiedendone il monitoraggio con un'attenzione specifica nei luoghi di lavoro, l'Istat ha svolto un'inchiesta nell'anno 2022-2023 raccogliendo i dati riguardanti le molestie sul luogo di lavoro e ciò che ne è emerso è a dir poco raccapricciante.
Circa 2 milioni e 322mila lavoratrici e lavoratori tra i 15 e i 70 anni nel corso della loro vita lavorativa, hanno subito una forma di molestia come quella definita dalla Direttiva Ue sul posto di lavoro, e di questi l'81,6%, cioè la quasi totalità, sono donne (pari a circa 1 milione 895mila, il 13,5% del totale delle donne tra i 15 e i 70 anni). A queste donne si aggiungono quelle che hanno subito ricatti sessuali sul lavoro, pari a 298mila. Dall'inchiesta dell'Istat emerge anche che circa il 15% di donne tra i 15 e i 70 anni hanno subito una qualche forma di molestia o un ricatto per ottenere un lavoro e/o avere un avanzamento di carriera: circa 2 milioni 68mila donne.
Sono vittime di molestie sul lavoro in particolare i giovani (sia ragazze che ragazzi) entrati da poco nel mondo lavorativo: 12% tra i 15-24enni e 10,8% dei 25-34enni. Ma a subire maggiormente le molestie nei luoghi di lavoro sono le giovani donne, il 21,2% nella fascia di età compresa tra i 15 e i 24 anni, contro il 4,8% dei coetanei uomini. Di poco inferiore è la percentuale riguardante le donne di età compresa tra i 25 e i 34 anni: 18,9%, rispetto al 3,7% dei coetanei uomini.
Nel corso della vita il 12,1% delle donne subiscono offese attraverso sguardi inappropriati e lascivi che mettono a disagio, la proposta di immagini o foto dal contenuto esplicitamente sessuale che offendono, umiliano o intimidiscono, scherzi osceni di natura sessuale o commenti offensivi sul corpo o sulla vita privata, in altri casi subiscono avances inappropriate, umilianti oppure offensive sui social, o ricevono email o messaggi sessualmente espliciti. Mentre il 5,9% ricevono volgarmente proposte di uscire insieme che offendono, umiliano intimidiscono o che si spingono a richieste di prestazioni sessuali, anche attraverso regali indesiderati di natura sessuale.
Una percentuale pari al 2,6% delle donne sono invece vittime di molestie di natura fisica, di queste in prevalenza sono ragazze tra i 15 e i 24 anni (3,4%).
Dai dati stimati anche al di fuori dell'ambito lavorativo emerge che, nel corso della vita, le donne sono state vittime di molestie 4,5 volte in più rispetto agli uomini.
Il 14% delle donne fra i 15-70 anni subisce offese e/o proposte nel corso della loro vita; questa percentuale aumenta lievemente tra chi dichiara di utilizzare internet per lavoro o scuola (15,1% rispetto al 12,6% di chi non lo usa). Il rischio di subire offese e proposte è più alto anche per chi usa internet nell’ordinare o comprare merci o servizi (16,2% contro 10,4%).
Il rischio di subire una qualche forma di molestia online sul lavoro (3,8% per le donne e 1,0% per gli uomini) è più alto quando si usa internet per motivi di lavoro e/o studio: il 4,8% delle donne rispetto al 2,5% di esse che non usano internet per lavoro.
Le molestie subite dalle donne sono generalizzati e avvengono sia in contesti di lavoro privato (14,4%) sia pubblico (13,5%). Nell'indagine emerge anche che a essere più a rischio di molestie sessuali sono le operaie (16,4%) e le impiegate e i quadri direttivi (15%).
L'indagine rileva anche differenze territoriali: le donne sono vittime di molestie sul lavoro soprattutto nel Nord-ovest (14,9%), seguite da quelle del Centro, Sud e Isole (14%), rispetto a un 9,7% delle lavoratrici del Nord-est. E nello specifico prevalgono le regioni con più concentrazione di fabbriche o di industrie agroalimentari dove viene impiegata più manodopera femminile come il Piemonte (20,3%), seguito dall'Umbria (16,0%), Sicilia (15,8%), Campania (15,7%) e Lazio (15,1%).
Dall'indagine Istat emerge che l'81% delle donne subisce molestie sul lavoro da parte di uomini. L’autore delle molestie sulle donne è per lo più un collega maschio (37,3%) o una persona con cui la donna si relaziona nel corso della propria attività lavorativa, come un cliente, un paziente o uno studente (26,2%). I capi e i supervisori autori di molestie sono circa il 10% per le donne e il 4,2% per gli uomini. Tuttavia, mentre le prime sono vittimizzate quasi totalmente da capi maschi, i secondi lo sono in misura del tutto simile da uomini e donne.
Gli episodi di molestia non si configurano come casi isolati. Per le donne la ripetitività ha un’incidenza maggiore rispetto agli uomini. L’indagine misura questa dimensione attraverso un quesito relativo agli episodi verificatisi negli ultimi 12 mesi precedenti l’intervista. L’80% delle donne ha subito più volte le molestie in questo arco di tempo, rispetto al 60% degli uomini.
Emerge anche il dato allarmante che di rado le donne denunciano la molestia subita: solo il 2,3% ha contattato le “forze dell’ordine” e il 2,1% altre istituzioni ufficiali, anche perché molte di esse hanno dichiarato che non saprebbero a chi rivolgersi nel caso subissero molestie sul lavoro...
Le lavoratrici e i lavoratori dai 15 ai 70 anni che lavorano hanno segnalato la mancanza di punti di riferimento in casi di molestia sessuale sul lavoro. L’86,4% afferma che non c’è una persona a cui rivolgersi per denunciare o avere supporto nel caso subissero molestie. Il 69,7%, infatti, non saprebbe cosa fare. La risposta è prevalentemente negativa sia che si tratti di donne (il 64,8% di queste risponde negativamente) che di uomini (73,6% tra gli uomini). Il 93,6% delle lavoratrici e dei lavoratori segnala che non si fanno corsi di formazione dedicati al problema delle molestie e sulle iniziative che le vittime possono seguire per riconoscere il fenomeno e farvi fronte.
I dati Istat stimano che negli ultimi tre anni precedenti la rilevazione del 2022-2023 le donne tra i 15 e i 70 anni sottoposte a qualche tipo di ricatto sessuale per ottenere un lavoro o per mantenerlo o per ottenere progressioni nella loro carriera (i ricatti sessuali sono rilevati sono sulle donne) siano state circa 65mila, lo 0,5% delle donne che lavorano o hanno lavorato; fra le donne più giovani 2,9% in età 15-24 anni, 1,1% tra le 25-34enni. Un dato leggermente in calo questo nella rilevazione del 2022-2023 (corrispondente agli anni 2020-2023) in cui va considerata la pandemia e il conseguente lockdown in corso all'epoca, dove il lavoro in presenza era fortemente ridotto.
Nella quasi totalità dei casi, l’autore del ricatto sessuale sulle donne è un uomo (96%). Ciò avviene sia per essere assunte, sia per mantenere/progredire nel proprio lavoro. I ricatti sessuali sono più frequenti nel Sud (1,2%). Nel 24,5% dei casi la vittima subisce più ricatti dalla stessa persona.
Tra i ricatti subiti negli ultimi tre anni, il 32,8% delle intervistate ha dichiarato che il fenomeno ha avuto inizio uno-due anni prima dell’intervista; nel 31,2% dei casi i ricatti sono iniziati più di 10 anni fa, per il 24,3% cinque/dieci anni fa, nell’11,7% dei casi tre/quattro anni prima dell’intervista.
I ricatti sessuali per la maggior parte erano conclusi al momento dell’intervista, anche se il 20,6% di intervistati ha dichiarato di essere ancora sotto ricatto. Quasi la metà dei ricatti si ripete settimanalmente.
Negli ultimi tre anni è risultato più frequente per una donna subire un ricatto sessuale per mantenere il suo posto di lavoro oppure ottenere avanzamenti di carriera o per essere assunta, se è una professionista che lavora nelle attività commerciali o nei servizi oppure se è un’impiegata.
La maggior parte delle donne non denuncia i ricatti subiti (87,7%). Un terzo delle donne che ha subito un ricatto non denuncia perché non considera grave il ricatto (33,5%) e una simile percentuale non lo fa perché ha paura di essere giudicata (33,8%). La vergogna, l’auto-colpevolizzazione e la paura di ritorsioni (23,5%) rappresentano un altro motivo indicato dalle vittime per non denunciare. Infine la mancanza di fiducia nelle “forze dell’ordine” e nelle istituzioni preposte è indicata dal 16,7% delle intervistate come motivo della non denuncia.
Nel 39,8% dei casi è stata fatta la scelta di non accettare il ricatto e rinunciare al lavoro. Il 12,6% delle donne che hanno subito ricatti negli ultimi tre anni è stata licenziata o messa in cassa integrazione o non è stata assunta.
Quello che emerge dall'indagine Istat è che le masse femminili lavoratrici sono vittime della cultura, della morale e dell’etica borghese patriarcale e maschilista dominante che permea ogni aspetto della loro vita, da quella economica, sociale, familiare e come in questo caso lavorativa. Ed è questa sovrastruttura culturale e morale che permea l'organizzazione economica, produttiva e sociale del sistema capitalistico, fondata sulla disuguaglianza fra i sessi, sulla rigida divisione dei compiti e dei ruoli fra uomini e donne nella famiglia e nella società, sul controllo, l’oppressione e la subordinazione del sesso femminile da parte di quello maschile in ogni ambito, dove le donne considerate come oggetto di proprietà da parte del marito o partner e del padrone di lavoro vengono molestate, umiliate, discriminate e ricattate sessualmente. L’inettitudine dei governi succedutisi fino ad oggi e delle istituzioni borghesi, a partire dalla magistratura e dalle “forze dell’ordine” troppo spesso complici o indulgenti verso chi molesta è corresponsabile di questa condizione in cui sono costrette le masse femminili lavoratrici e la sfiducia in essi emersa dall'inchiesta dell'Istat ne è una riprova.
E questa cultura e morale borghese patriarcale e familista trova il miglior alleato nel governo neofascista della ducessa Meloni, che con la sua pratica neofascista maschilista, fra l'altro mai rinnegata, ha rilanciato la triade mussoliniana “Dio, patria e famiglia”, dove identifica le donne e le lavoratrici, i loro diritti economici, sociali e pensionistici solo con il loro essere madri assegnando loro esclusivamente un ruolo marginale e secondario nel sistema economico-sociale.
Questa cultura e morale vanno combattute cominciando con l’istituzione di un’informazione ed educazione sessuale, all’affettività e alle differenze nelle scuole di ogni ordine e grado che non sia gestita da gruppi e associazioni palesemente omofobe, antifemminili, antiabortiste, ma che sia scientifica, democratica, rispettosa delle identità e delle differenze di genere.
Vanno potenziati, finanziati adeguatamente e diffusi in modo capillare specie nel Sud i Centri antiviolenza e le case rifugio in grado di dare aiuto, soccorrere e accogliere anche le donne che denunciano le molestie nei luoghi di lavoro.
Lara Ghiglione, segretaria nazionale della Cgil intervenendo dopo la pubblicazione dei dati Istat non ha potuto esimersi nel rilanciare l'invito ad aderire alla raccolta firme per i referendum lanciati dalla Cgil sulla tutela dei lavoratori: “le donne sono più discriminate, precarie e ricattabili nel mercato del lavoro: anche per questa ragione i nostri referendum, che perseguono lo scopo di rendere il lavoro più sicuro, stabile, tutelato e dignitoso, possono determinare un netto miglioramento delle condizioni generali delle lavoratrici, anche per prevenire e contrastare ogni forma di molestia e violenza”. Non crediamo che questi referendum rappresentino un cambiamento di linea. Tuttavia i referendum sono stati lanciati e abbiamo davanti a noi dei quesiti a cui non ci possiamo sottrarre giacché le norme di cui si chiede la cancellazione sono da sempre nel mirino della sinistra sindacale, dei partiti e delle organizzazioni anticapitaliste e del PMLI. Quindi occorre prendere parte attiva alla battaglia referendaria, sfruttando l'occasione per discutere con le lavoratrici della necessità di una ripresa generalizzata delle lotte per i diritti, i salari, le condizioni di lavoro, contro le discriminazioni di sesso e di genere e contro il governo neofascista della Meloni nemico numero uno delle masse femminili. Esso va combattuto come ha sostenuto nel suo discorso Giovanni Scuderi, Segretario generale e Maestro del PMLI, alla 7ª Sessione plenaria del 5° CC del PMLI: “Il governo Meloni è una dittatura neofascista in contrasto persino con la democrazia borghese. Va quindi combattuto e abbattuto senza esclusione di colpi, usando tutte le forme di lotta, legali e illegali, parlamentari e extraparlamentari, pacifiche e violente di massa. Una lotta che va portata avanti fino alle estreme conseguenze, alla guerra civile, se risponde alla volontà delle masse” .
Tenendo però in mente che il nocciolo della questione è sempre lo stesso: la cultura e la morale patriarcale, maschilista e borghese che schiaccia, umilia legittima le molestie sulle donne e sulle lavoratrici potrà essere sradicata solo abbattendo il capitalismo e conquistando il socialismo e il potere politico da parte del proletariato femminile e maschile.

10 luglio 2024