Ita svenduta a Lufthansa
Lo Stato italiano non prende un euro. Subito il controllo della nuova compagnia ai tedeschi. Già partiti i licenziamenti per oltre duemila lavoratori Alitalia
Giorgetti: “Stessa logica Ita anche con Mps”

“Oggi chiudiamo una storica e annosa vicenda, quella del vettore nazionale e poi Ita, questo è un successo per questo governo, un successo italiano, europeo e tedesco, anche rispetto ad un durissimo negoziato. La soluzione positiva avviene con un operatore come Lufthansa che ci conforta e consente di sviluppare il traffico aereo da e per l’Italia, di sviluppare l’economia italiana”: così il ministro dell'Economia Giorgetti ha presentato trionfalmente il 3 luglio in conferenza stampa la svendita ai tedeschi di Ita Airways, la nuova compagnia aerea fortemente ridimensionata ma senza debiti nata ad ottobre 2021 sulle ceneri dell'agonizzante Alitalia. A cui sono rimasti invece i debiti e circa 5.000 lavoratori senza futuro, perché non riassunti da Ita e per la maggior parte in cassa integrazione, peraltro parziale e discontinua, e che cesserà del tutto il 31 ottobre.
Inoltre più che una svendita si tratta di una vera e propria cessione a costo zero che il governo “sovranista” e “patriottico” della neofascista Meloni ha fatto al governo tedesco e alla sua compagnia di bandiera, la terza per importanza al mondo, dal momento che i tedeschi acquisiscono il 41% di Ita e il suo pieno controllo societario e manageriale, versando appena 325 milioni di euro, che però restano nella compagnia sotto forma di aumento di capitale. Non solo perciò lo Stato italiano non riceverà un euro, ma il Mef di Giorgetti, che detiene per ora il restante 59%, partecipa alla ricapitalizzazione mettendoci di suo altri 250 milioni. Poi, se le cose andranno bene e la società andrà in utile, tra un paio d'anni i tedeschi, che fin da subito prendono il controllo del cda con l'ex ad di Dolomiti Air e attuale capo delle strategie di Lufthansa, Joerg Eberhart, prenderanno anche la maggioranza societaria, per arrivare al 100% entro il 2033. Se invece le cose andranno male, i tedeschi se ne verranno via, sempre a costo zero, e i debiti rimarranno in collo allo Stato italiano.

Un successo sì, ma per i tedeschi
Un bell'affare” davvero, quello vantato dal ministro leghista, nonché esaltato dal sottosegretario e consigliere della Meloni, Fazzolari, come un accordo che “coniuga la tutela industriale e occupazionale della compagnia italiana con la difesa dell'interesse nazionale”. Specialmente se si pensa che con un decreto “interpretativo” del governo Ita ha avuto dal suo ministero al prezzo simbolico di un euro i preziosi slot di Alitalia (che da soli valgono milioni, e infatti è soprattutto a quelli che miravano i tedeschi, specie Linate e Fiumicino per i collegamenti internazionali) e 96 aeromobili Airbus tra i più efficienti della vecchia compagnia. Impiegando solo 4.860 dipendenti dei 10.500 di Alitalia (dei quali Ita ha avuto in dono e abusivamente dal governo anche tutti i dati), con stipendi ribassati del 30% sotto la media delle compagnie e condizioni di lavoro tra le peggiori del settore, alla faccia della “tutela occupazionale” sbandierata da Palazzo Chigi. E che, nonostante lo Stato italiano abbia investito in Ita Airways 1,35 miliardi, più vari prestiti per un altro miliardo, l'azienda è stata valutata in fase di (s)vendita a Lufthansa solo 792 milioni, di cui i 325 milioni versati dalla compagnia tedesca rappresentano appunto il 41%.
Fra l'altro, col decreto “interpretativo” il governo Meloni ha cercato anche di bruciare il terreno sotto i piedi ai circa 2.000 lavoratori non riassunti che hanno intentato un'azione legale per il riconoscimento della continuità aziendale tra Alitalia e Ita, che invece il governo nega per aggirare l'obbligo di riassunzione e il pagamento degli stipendi arretrati e per poter avviare i licenziamenti. E questi lavoratori hanno ottenuto un primo successo perché il Tribunale del lavoro di Roma ha riconosciuto l'ammissibilità della loro istanza rimettendola al giudizio definitivo della Corte costituzionale.

Le condizioni della Commissione europea
Il via libera all'operazione, già finalizzata tra i due contraenti a fine maggio, è arrivato il 3 luglio con l'autorizzazione della vicepresidente della Commissione europea con delega alla Concorrenza, la danese Vestager, dopo una lunga e occhiuta disamina degli effetti che essa avrebbe avuto sul mercato e le altre compagnie. Severità che qualcuno dice ispirata anche dalla sua vicinanza a Macron, che certo non vede di buon occhio un'operazione che rafforza un concorrente di Air France collegando il mercato italiano a quello tedesco. Per dare l'autorizzazione e tutelare la “concorrenza” la Vestager ha imposto a Lufthansa e al Mef alcune rinunce sugli slot di Linate, negli scali dell'Europa centrale e sui lunghi voli verso l'America: 15-17 coppie di slot (pari a 30-34 voli giornalieri tra andata e ritorno) sull'hub milanese, per garantire che almeno un altro vettore possa impiantarsi nello scalo (si è già prenotata Easyjet). Sulle rotte di corto raggio dall'Italia al Centro Europa si prevede che possano subentrare una o due compagnie concorrenti per un minimo di tre anni, e per i voli da Fiumicino verso il Nord America è stato stabilito l'ingresso di almeno un altro vettore capace di offrire voli diretti, o in alternativa di due vettori già presenti, con scali nei loro hub purché a prezzi concorrenziali e con non più di 3 ore rispetto ai voli diretti.

Una sciagurato esempio neoliberista di privatizzazioni e fallimenti
Cosicché, dopo 77 anni, grazie al governo neofascista e ultra nazionalista dichiarato Meloni (la quale ancora fino alla campagna elettorale del 2022 “difendeva” le richieste dei lavoratori Alitalia), l'Italia non ha più una sua compagnia aerea di bandiera. Governo che chiude nel modo più squallido e quasi di soppiatto, per di più presentandolo come un grande “successo”, una storia di diversi decenni di interventi e fallimenti di tutti i governi della destra e della “sinistra” borghese, che sono costati circa 14 miliardi alla collettività, con la distruzione di migliaia di posti di lavoro e di una reputazione che era arrivata, ancora fino alla fine degli anni '80, a quotare Alitalia tra le maggiori compagnie aeree europee, insieme a Lufthansa, Air France e British Airways.
Negli anni '90, l'arrivo delle compagnie low cost che aggravavano pesantemente i problemi economici e gestionali di Alitalia, coincideva con quello dell'ideologia neoliberista, e anziché rispondere con investimenti e strategie mirate per rafforzarla i governi hanno applicato la politica della privatizzazione, come per tutte le aziende del settore pubblico. Gli iniziatori della svendita della compagnia di bandiera sono stati i governi di “centro-sinistra” presieduti dall'ex democristiano Romano Prodi, nel 1996 e poi nel 2008, quando era arrivato ad un passo dalla vendita ad Air France. Ma, col pretesto di preservare “l’italianità della compagnia” sbandierato in campagna elettorale, Berlusconi riuscì a bloccare l'accordo, e quando poi andò al governo mise in piedi una cordata di “patrioti” che costituirono la Cai (Compagnia aerea italiana), una “good company” guidata dall’imprenditore Roberto Colaninno e con tra i soci anche le famiglie Benetton, Riva, Ligresti, Marcegaglia e Caltagirone, accollando i debiti e il personale in esubero alla “bad company” rimasta a carico dello Stato.
Questo schema disastroso si è ripetuto anche nel 2014, quando con i governi Letta e Renzi, dopo che la Cai era arrivata sull'orlo del fallimento, fu costituita la Sai (Società aerea italiana), con l'ingresso degli arabi di Etihad. Dopo pochi anni e continue perdite, nel 2017 anche quest'ultima, con l'uscita degli arabi, tornava in capo allo Stato in amministrazione straordinaria. Infine, dopo l'aggravamento della sua crisi dovuto allo scoppio della pandemia che mise a terra tutte le compagnie (compresa Lufthansa, che però ebbe 6 miliardi dal governo Merkel per risollevarsi), tra il 2020 e il 2021 (governi Conte 2 e Draghi), invece di ripubblicizzare la compagnia di bandiera e rilanciarla come hanno fatto i tedeschi, lo schema della svendita della parte “buona” fu ripetuto una terza volta con la creazione di Ita, e la distruzione di quella che un tempo era una delle più importanti compagnie nazionali sta arrivando all'epilogo.

Via libera alla liquidazione finale di Alitalia
Ora davanti a Sai-Alitalia c'è solo la prospettiva della liquidazione, che il governo vuol attuare il più velocemente possibile, e per i 5.000 lavoratori rimasti, di cui 2.366 in organico, si apre la strada dei licenziamenti. Che manco a dirlo sono già partiti, appena 5 giorni dopo l'operazione Ita-Lufthansa, con le lettere di licenziamento per 2.245 di loro inviate (di domenica) dai commissari straordinari. Per Giorgetti, infatti, come si è vantato in conferenza stampa, la sola cosa che conta è che “la vicenda degli aiuti di Stato si riferisce ad Alitalia. Ita e Lufthansa non avranno più problemi di questo tipo: possiamo dire agli italiani che non ci metteremo più un euro delle loro tasse per coprire le perdite della compagnia”. Anzi, secondo lui quest'operazione è parte integrante del più ampio programma di privatizzazioni delle partecipate dello Stato, con il prossimo obiettivo la svendita sul mercato di Mps, per la quale “c'è la stessa logica Ita”.
È gravissimo che le confederazioni sindacali di settore, come Filt-Cgil e Uiltrasporti, abbiano avallato come un accordo “positivo” questa svendita che apre la strada alla liquidazione di Sai-Alitalia e a migliaia di licenziamenti, limitandosi ad auspicare che lo Stato mantenga una quota in Ita-Lufthansa e che i suoi vertici mantengano le generiche promesse di rispettare gli attuali organici e riassumere una parte dei lavoratori Alitalia anziché prenderli dal mercato. Ben più allarmata è invece la risposta delle organizzazioni sindacali di base, come Cub trasporti, Navaid e Usb, che in una lettera del 9 luglio indirizzata al governo chiedono di istituire urgentemente un tavolo di confronto interministeriale con i dicasteri di Mef, Lavoro e Trasporti, per “individuare i necessari interventi a tutela del futuro dei lavoratori”.
Tra gli altri temi da trattare urgentemente, la lettera richiama “la necessità di prolungare la cigs oltre la scadenza del 31.10.2024 per i lavoratori Alitalia”, e che “ le assunzioni in Ita, Swissport Italia e Atitech, società sorte dallo smembramento di Alitalia, siano effettuate dal bacino dei dipendenti della ex-Compagnia di Bandiera italiana, in applicazione di criteri trasparenti ed oggettivi”. Si chiede inoltre con urgenza “di garantire il mantenimento dei brevetti e abilitazioni al personale navigante e a quello tecnico di Alitalia posti in cigs”, che in assenza dei promessi stanziamenti per i corsi di aggiornamrento rischiano di uscire per sempre dal mercato, nonché la “immediata ripresa dei versamenti della integrazione alla cigs per i lavoratori Alitalia”, già sospesi al personale navigante e previsti solo fino ad agosto per quello a terra.
E infine un intervento affinché, dopo la reintegra di un lavoratore licenziato illegittimamente ed il riconoscimento di sole 12 mensilità di indennizzo, Inps non proceda anche con la richiesta degli ammortizzatori sociali percepiti, secondo quanto stabilisce una modifica introdotta alla legge Fornero: “Una vera e propria barbarie per lavoratori obbligati a restituire decine di migliaia di euro” che sta colpendo parecchi dipendenti di Alitalia e Air Italy, sottolinea la lettera.

17 luglio 2024