Il governo Meloni cancella il reato di abuso di ufficio
Assicurata l'impunità agli amministratori e pubblici ufficiali corrotti

Lo scorso 10 luglio la Camera – beffardamente pochi giorni dopo l'arresto di Oreste Liporace, generale dei carabinieri, per reati commessi, tra l'altro, contro la pubblica amministrazione - ha approvato definitivamente il disegno di legge presentato in Parlamento da Carlo Nordio, ministro della Giustizia, che abroga l'articolo 323 del codice penale, abolendo così il reato di abuso d’ufficio. Il testo dell'articolo 323 del codice penale era il seguente: “salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni”.
Il provvedimento di abrogazione ha ricevuto non solo i voti favorevoli dei partiti che sostengono il governo Meloni, ma anche quelli di Azione e di Italia Viva i cui leader, Carlo Calenda e Matteo Renzi, si sono così definitivamente smascherati come vere e proprie ruote di scorta della Meloni.
È entrato così nel vivo il pacchetto di provvedimenti a firma del ministro Nordio varato dal Consiglio dei ministri il 15 giugno 2023 per sfruttare l'effetto mediatico della morte di Berlusconi, ed è proprio a un delinquente del calibro di Silvio Berlusconi che la complessiva riforma della giustizia voluta dal governo Meloni, tra cui l'abolizione dell'abuso d'ufficio, è stata idealmente dedicata dal governo Meloni.
L'abuso d'ufficio era un tipico reato legato ai colletti bianchi e alla corruzione politica da un lato, ma dall'altro legato anche a prassi criminali perpetrate da appartenenti a corpi di polizia, consistenti nella commissione di reati che esulassero da corruzione, concussione, falso o truffa, e lo stesso dicasi per i magistrati che intendessero, con i loro atti giurisdizionali, favorire qualche amico: quello del governo Meloni è un chiaro regalo ai sindaci, compresi quelli del PD, che da tempo ne richiedevano l'abolizione con il pretesto di una presunta paura della firma, ma è un regalo anche ai tanti appartenenti ai più svariati corpi di polizia esistenti in Italia, la maggior parte dei quali sostiene il regime della Meloni, che si avvantaggeranno dell'abolizione del reato.
Ora l’abolizione del reato di abuso d’ufficio provocherà una sostanziale impunità per i pubblici ufficiali che beneficeranno di tale vuoto normativo, e la cronaca quotidiana ci insegna che i pubblici ufficiali vanno attentamente tenuti d'occhio e non certo persi di vista, come l'arresto del generale Oreste Liporace ricorda a tutti: i cittadini non potranno avere giustizia se qualche sindaco, assessore, dirigente, impiegato truccherà un concorso pubblico o commetterà abusi nelle concessioni edilizie o nelle sanatorie e non potranno più denunciare un appartenente a un corpo di polizia o un magistrato inquirente che indaghi parzialmente e male per proteggere un amico o danneggiare un nemico, e la parte più democratica, più cosciente e più avanzata tra i tecnici del diritto - avvocati, magistrati e docenti universitari di materie giuridiche - ha ben compreso che una riforma del genere è un rischio per la stessa democrazia.
Il reato di abuso d'ufficio non era un reato inutile, come la propaganda di Nordio vorrebbe far credere, perché nel reato di abuso d’ufficio sono ricomprese tutte le fattispecie di condotte illecite non codificate in altri reati contro la pubblica amministrazione, come per esempio la corruzione, la concussione, il falso o la truffa. Con un simile vuoto normativo si creeranno inevitabilmente situazioni per cui un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio che non sia adeguatamente tenuto d'occhio – e rientrano in tali categorie anche medici della sanità pubblica, docenti scolastici di scuole pubbliche o parificate, controllori di treni e autobus, oltre che la massa degli impiegati pubblici e, naturalmente, amministratori pubblici, appartenenti a corpi di polizia e magistrati – potrà in modo perfettamente legale agire intenzionalmente per dare un vantaggio ad altri (ad esempio truccare un concorso per assumere in un ente pubblico la sua amante o il figlio di un amico), per procurare ad altri un danno (ad esempio negare per un motivo futile o ingiustificato a un cittadino, che comunque ne ha il diritto, la possibilità di costruire su un terreno oppure fare sparire un elemento di prova a favore di un indagato al solo scopo di danneggiarlo) o compiere atti del proprio ufficio nonostante il conflitto di interessi nel quale il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio si trova.
L'11 luglio scorso il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Giuseppe Busia, è intervenuto proprio sul tema dell'impatto che l'abolizione del reato di abuso d'ufficio avrà nel controllo dell’imparzialità delle amministrazioni pubbliche, dal momento che, secondo Busia, senza questo reato rischia di farla franca “chi favorisce senza un corrispettivo economico una persona in un concorso, o chi assegna direttamente un contratto”.
La campagna dei sindaci e degli amministratori per l'abolizione del reato di abuso d'ufficio assomiglia molto a quella, condotta dai sindacati di polizia, contro l'introduzione, nell'ordinamento italiano, del reato di tortura: in entrambi i casi l'obiettivo era quello di delinquere e di compiere atti criminali liberamente e senza intralci. Con l'introduzione del reato di tortura abbiamo tutti visto quanti crimini, perpetrati da quegli stessi appartenenti ai corpi di polizia che non volevano l'introduzione del reato, sono venuti alla luce, mentre con l'abolizione del reato di abuso d'ufficio le masse lavoratrici italiane si renderanno gradualmente conto che gli atti dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio saranno, inevitabilmente data la mancanza di controlli, sempre più arbitrari e contrari agli interessi delle masse.
I pubblici ufficiali, senza il reato di abuso d'ufficio, potranno assegnare appalti fino a 150.000 euro a parenti e amici, truccare concorsi e compiere altre simili mascalzonate senza che la macchina della giustizia accenni solamente a mettersi in moto contro di loro, e l'Italia sarà di fatto l'unico Paese in Europa a non avere una legge sull'abuso d'ufficio, tanto che non è escluso che l'Unione Europea di mettere, giustamente, il nostro Paese sotto procedura d'infrazione.
E non è tutto, perché oltre ai danni che produrrà in futuro la normativa abrogatrice li produce anche per il passato in quanto, data la retroattività dell'abolizione, se ne andranno in fumo oltre 3.000 sentenze di condanna, già passate in giudicato, a carico di amministratori, appartenenti a corpi di polizia e magistrati che hanno compiuto atti criminali ai danni della collettività. Proprio quest'ultimo scandalo è stato segnalato, con estrema lucidità e lungimiranza, dal presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia: “tutti coloro che sono stati condannati per abuso d’ufficio – ha affermato il magistrato in un'intervista su La7 - si rivolgeranno al giudice per chiedere l’eliminazione della condanna. È una piccola amnistia per i pubblici ufficiali: avremo 3-4 mila persone, o forse di più, che chiederanno la revoca della condanna”. “Abrogarlo – ha concluso Giuseppe Santalucia - significa regalare uno spazio di impunità a qualsiasi pubblico ufficiale. È una misura illiberale, siamo tutti soggetti a un abuso senza poter denunciare”.
L'allarme di Santalucia non è l'unico tra gli addetti ai lavori, perché le preoccupazioni serpeggiano tra i giuristi di tutte le categorie: numerosi docenti universitari di diritto penale e di diritto costituzionale già denunciano una pericolosa falla nell'ordinamento giuridico, i magistrati, soprattutto quelli inquirenti, che vedono scomparire un prezioso strumento di repressione di condotte illecite, ma anche gli avvocati, che non avranno più in mano strumenti giuridici sostanzialmente validi per poter difendere le ragioni di un loro assistito al quale è stato negato un diritto a causa di discriminazioni compiute arbitrariamente e impunemente da un pubblico ufficiale.

17 luglio 2024