Contro l'autonomia differenziata
Bonaccini non ritira le intese già siglate ma fa votare per il referendum abrogativo
Ultimo atto del governatore dell’Emilia-Romagna neoeletto deputato europeo. Elezioni regionali il 17 e 18 novembre

Dal corrispondente del PMLI per l'Emilia-Romagna
Il 12 luglio Stefano Bonaccini si è dimesso da presidente dell’Emilia-Romagna, ruolo che ricopriva dal 2014 per 2 mandati consecutivi, in seguito alla sua elezione al Parlamento europeo dell’8 e 9 giugno e per via dell’incompatibilità tra le due cariche, facendo in questo modo decadere anche la giunta regionale e sciogliere l’Assemblea legislativa, che rimangono in carica per garantire gli affari correnti e la gestione ordinaria dell'Ente, mentre la vicepresidente della giunta Irene Priolo avrà le funzioni di presidente della Regione, fino allo svolgimento delle elezioni regionali fissate per i prossimi 17 e 18 novembre.
Già annunciati i candidati dei due schieramenti: per il “centro-sinistra” Michele De Pascale, attuale sindaco di Ravenna, per due mandati consecutivi dal 2016, per la destra Elena Ugolini, rettrice delle scuole Malpighi di Bologna dal 1993, ex sottosegretaria del governo Monti e ritenuta in grado di mettere in difficoltà il “centro-sinistra” per i suoi collegamenti a destra, a “sinistra” e soprattutto col mondo cattolico.
Come suo ultimo provvedimento Bonaccini ha fatto votare alla giunta la richiesta di un referendum abrogativo della legge Calderoli, tentando di smarcarsi, ma senza riuscirci, dall’offensiva del governo neofascista Meloni che con l’autonomia differenziata vuole spezzare l’Italia in 20 staterelli.
Per farlo è ricorso a una maratona di 24 ore nella quale l’Assemblea legislativa della regione, con i voti favorevoli del Partito Democratico, Europa Verde, Emilia-Romagna Coraggiosa, Italia Viva, Lista Bonaccini Presidente e Movimento 5 Stelle, ha approvato la richiesta di un referendum abrogativo totale e uno parziale, nel caso il primo non venisse accolto, riguardante la legge Calderoli sull’autonomia differenziata superando l’ostruzionismo della destra che aveva presentato oltre mille emendamenti e accusando la giunta di incoerenza per aver sostenuto l’autonomia differenziata e poi averla rinnegata.
Bonaccini si è giustificato: “L’Emilia-Romagna ha sempre sostenuto ogni processo di decentramento che avvicinasse le decisioni ai cittadini e ai territori, ma dentro un quadro chiaro di unità dell’Italia e in una logica di solidarietà e uguaglianza dei diritti. La legge Calderoli, che non mette un euro sui Lep e prevede invece che in molte materie si possa procedere all’autonomia differenziata senza alcuna garanzia di equità territoriale, rischia di spaccare ulteriormente il Paese su pilastri essenziali quali la sanità e l’istruzione. Per questo va cancellata”.
Bonaccini però ha la “coda di paglia” e all’ultimo ha fatto votare alla giunta regionale la richiesta dei referendum proprio perché sarebbe stato tirato in ballo dalla destra quale alfiere dell’autonomia.
Infatti fu proprio la prima giunta regionale a guida Bonaccini a firmare nel 2017 con l’allora governo Gentiloni una dichiarazione di intenti per attribuire alle regioni ulteriori “forme e condizioni particolari di autonomia" facendo da precursore proprio all’autonomia differenziata varata dal governo neofascista Meloni, tanto è vero che il 5 febbraio scorso il Comitato emiliano-romagnolo contro ogni autonomia differenziata ha presentato in Regione oltre 6.000 firme a sostegno di una legge di iniziativa popolare per chiedere alla giunta regionale il ritiro della richiesta di autonomia differenziata: “Bisogna interrompere qualunque processo di acquisizione di richiesta di ulteriore particolare autonomia differenziata, cosicché dall’eventuale ritiro delle attuali intese non possa seguirne un altro con altra maschera”. Il presidente dell’Emilia-Romagna ha una grande occasione per dimostrare la serietà e la coerenza delle sue affermazioni - affermò già allora il Comitato - dopo che per tre governi di seguito è andato a braccetto con la Lega. Adesso che c’è un nuovo governo si dichiara contrario al ddl Calderoli. Se fosse davvero coerente con questa sua posizione, dovrebbe ritirare le intese che ha già siglato. Sennò quel che dice è assolutamente fuffa”.
Ma Bonaccini non ha fatto nulla di tutto questo, anzi in una recente intervista a “Il Foglio” diceva che “L’autonomia differenziata è prevista dalla Costituzione, ma il disegno di legge Calderoli non c’entra nulla con quanto indicato dalla Carta. Non se ne farà nulla, mi creda. È un bluff elettorale, lo scalpo che la Lega ha ottenuto da Fratelli d’Italia in cambio del via libera al premierato voluto da Giorgia Meloni. Benefici per i cittadini: zero”; sottovalutando così il governo neofascista Meloni e solo a cose fatte ha fatto approvare i referendum abrogativi per salvarsi la faccia, appunto senza riuscirci.
Intanto, dopo la Campania e l’Emilia-Romagna, anche Sardegna, Toscana e Puglia si riuniranno per richiedere i due referendum abrogativi (totale e parziale), necessitando di almeno 5 deliberazioni regionali per richiedere il referendum, e creando assieme il “Coordinamento regionale sull’autonomia” (e non “contro”), con la regione Sardegna che potrebbe anche fare ricorso alla Consulta in qualità di regione a Statuto speciale, in alternativa c’è il ricorso alla raccolta di 500.000 firme per la richiesta popolare del referendum, per le quali si stanno già preparando comitati territoriali in tutta Italia e si è già attivato il Comitato referendario formato dalle opposizioni parlamentari, Cgil e Uil, associazioni come Anpi, Arci, Acli e Libera con l’obiettivo di raccogliere le firme necessarie entro il 20 settembre, così da poter indire il referendum nel 2025, agganciandolo a quelli della Cgil sul lavoro.
A svelare comunque le reali intenzioni anche delle regioni a guida “centro-sinistra” c’è proprio la Sardegna, come detto l’unica a poter fare ricorso anche da sola, che non vuole battersi contro l’autonomia differenziata e ciò che comporta, ma al contrario si erge a “difesa della specialità della Sardegna, che rischia di essere gravemente sacrificata dall’autonomia differenziata targata Calderoli”, come affermato dal PD Salvatore Corras, presidente della prima commissione Autonomia del Consiglio regionale: “Vogliamo difendere l’assetto giuridico che ci riconosce la specialità, e che la riforma rischia di far svanire a vantaggio delle regioni a statuto ordinario… non si può permettere che passi sopra le nostre teste una legge che rischia di farci soccombere“.
Il PMLI invece ha denunciato da subito come il varo della legge per l’autonomia regionale differenziata a firma del ministro leghista per gli Affari regionali e le autonomie Calderoli spaccherà l’Italia in 20 staterelli, cominciando con la separazione del Nord ricco e legato all'Europa dal Sud condannato all'isolamento e al sottosviluppo. Sfruttando gli articoli 116,117 e 119 introdotti con la controriforma federalista della Costituzione voluta dal “centro-sinistra” nel 2001 per ingraziarsi il movimento di Bossi. Il Ddl Calderoli concede infatti alle Regioni che ne facciano richiesta la potestà esclusiva su ben 23 materie, tra quelle di competenza statale e quelle concorrenti tra Stato e Regioni, sostanzialmente quelle già chieste in precedenza della giunta regionale di Bonaccini. Un trasferimento di potere imponente dal centro alla periferia, mai neanche immaginato dai costituenti, capace di scardinare l'articolo 5 della Carta del 1948, laddove la pur riconosciuta “promozione delle autonomie locali” è subordinata alla salvaguardia della Repubblica “una e indivisibile”, che non a caso è posta in premessa. Nonché capace di violare gravemente gli articoli 2 e 3, che sanciscono rispettivamente i “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” e la “pari dignità sociale” che deve garantire la Repubblica.
Tra queste 23 materie ce ne sono infatti parecchie di primaria importanza che concernono diritti fondamentali che dovrebbero essere costituzionalmente garantiti in ugual misura su tutto il territorio nazionale, come la tutela della salute, l'istruzione pubblica, la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, la tutela e la sicurezza del lavoro, che già sono soggetti di fatto a forti disuguaglianze di classe e territoriali, in particolare tra il Nord e il Mezzogiorno d'Italia, e che lo sarebbero enormemente di più se passasse questa legge, la quale non farebbe che cristallizzare in forma legalizzata queste intollerabili sperequazioni. In particolare ad essere demoliti per primi sarebbero i diritti universali alla sanità pubblica e alla scuola pubblica, uguali per tutti e su tutto il territorio nazionale.
D'altra parte non c'è nessuna certezza che sia garantito il principio di solidarietà tra le regioni, in particolare da quelle del Nord verso quelle del Sud, tale da impedire il loro inarrestabile allontanamento.
Per noi marxisti-leninisti occorre quindi mobilitare tutte le forze politiche, sindacali, culturali, religiose, in parlamento e soprattutto nelle piazze, che hanno a cuore la difesa dell'unità del Paese, per impedire che questo sciagurato provvedimento che spacca l'Italia e favorisce il disegno presidenzialista e piduista della premier neofascista riesca ad arrivare in porto. Il PMLI, che ha sempre denunciato e combattuto il federalismo fascioleghista che disgrega l'Italia e divide le masse lavoratrici e popolari e che ha smascherato l'infame progetto dell'autonomia differenziata fin dal suo primo apparire, è impegnato in prima fila in questa cruciale battaglia da cui dipendono i diritti e l'unità del proletariato e delle masse popolari italiane, e ha già dato indicazione alle e ai militanti e simpatizzanti, di firmare e partecipare alla raccolta delle firme per l'abrogazione della legge sull'autonomia differenziata.

24 luglio 2024