Sentenza della Corte penale dell'Aja
L’occupazione militare sionista di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est è illegittima
Si tratta di un regime di apartheid che deve cessare "il prima possibile"
Genocidio palestinese: quasi 40 mila morti e 90 mila feriti

L’occupazione militare sionista di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est è illegittima, è un’annessione di fatto mantenuta con un regime di apartheid e segregazione razziale, deve cessare "il prima possibile"; "Israele ha l’obbligo di porre fine alla sua presenza illegale nei Territori palestinesi occupati il più rapidamente possibile, di cessare immediatamente tutte le nuove attività di insediamento, di evacuare tutti i coloni e di risarcire i danni arrecati”, a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est che sono "un’entità singola le cui unità e integrità vanno preservate e rispettate". Questo è quanto dichiarava il presidente della Corte internazionale di giustizia, il massimo tribunale delle Nazioni Unite, lo scorso 19 luglio leggendo la sentenza che rispondeva alla richiesta di un parere giuridico presentata nel dicembre 2022 dall’Assemblea generale dell’Onu. Un parere consultivo, non vincolante, sulla legalità dell'occupazione sionista di quei territori palestinesi che dura da 57 anni, ma che chiaramente indica la violazione del diritto internazionale da parte dell'entità sionista.
E intanto con i 77 palestinesi uccisi e altri 200 feriti nei pressi di Khan Younis coi bombardamenti del 22 luglio il bilancio del genocidio palestinese a Gaza sale a 39.006 palestinesi morti, la maggior parte dei quali donne e bambini, e altri 89.818 feriti.
Il portavoce del presidente dell'Anp, Abu Mazen, la definiva "una vittoria della giustizia" e chiedeva alla Comunità internazionale di obbligare la potenza occupante "a porre fine completamente e immediatamente alla sua occupazione e al suo progetto coloniale, senza restrizioni o condizioni". Giusto ma assomiglia molto a una dichiarazione che punta solo a salvare le apparenze e perde di valore perché ben altro significato avrebbe avuto se il collaborazionista Abu Mazen non fosse stato soprattutto in silenzio nei decenni dell'occupazione, chiuso nella dorata residenza di Ramallah protetto da sionisti e imperialisti.
Secondo Nimer Sultany, un giurista palestinese e docente di diritto all’Università Soas di Londra, la sentenza è importante perché si tratta "della prima decisione di una corte internazionale sulle pratiche e le politiche israeliane discriminatorie contro i palestinesi a causa della loro origine. La Corte parla di discriminazione sistemica e sistematica che differenza i palestinesi dagli ebrei israeliani, riconoscendo ai primi uno status inferiore" e in una intervista al Manifesto spiegava che il rapporto non cita la parola apartheid ma "quattro giudici, compreso il presidente, lo fanno nelle dichiarazioni separate pubblicate insieme alla decisione. Spiegano perché Israele sta violando il divieto di apartheid. Dopo i rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch, un simile parere sostiene il crescente consenso internazionale intorno alla definizione e mina il discorso israeliano e occidentale secondo cui Israele è una democrazia che rispetta il diritto internazionale". L’effetto principale di tale decisione è che mostra al di là di ogni dubbio che Israele è uno stato paria che si comporta come un bullo al di sopra della legge. La Corte mostra che Israele viola tutte le regole fondamentali del diritto internazionale. Se i governi occidentali continueranno a sostenere Israele dopo la sentenza della Corte internazionale sul rischio di genocidio a Gaza, dopo la richiesta della procura della Corte penale di mandati d’arresto e dopo questo parere che accusa Israele di annessione e apartheid, significa che questi governi tradiscono la loro stessa retorica sui diritti umani e su un mondo basato su regole condivise. È una finzione. Questo parere può avere effetti immediati", concludeva il giurista palestinese..
I governi imperialisti sono stati ovviamenti zitti, così come col silenzio avevano avallato la decisione del giorno precedente, del 18 luglio, quando il parlamento sionista, anticipando e sfidando la sentenzza della Corte, con 68 voti a favore e solo 9 contrari, aveva approvato una risoluzione che nega il diritto a uno Stato palestinese. Votata dall'esecutivo nazisionista e da quasi tutta la cosiddetta opposizione, la risoluzione sostiene che "l’istituzione di uno Stato palestinese nel cuore della Terra d’Israele rappresenterà un pericolo esistenziale per lo Stato di Israele e i suoi cittadini, perpetuerà il conflitto israelo-palestinese e destabilizzerà la regione”, peché "sarà solo questione di tempo prima che Hamas si impossessi dello Stato palestinese e lo trasformi in una base terroristica islamica radicale, lavorando in coordinamento con l’asse guidato dall’Iran per eliminare lo Stato di Israele. Promuovere l’idea di uno Stato palestinese in questo momento sarebbe un premio per il terrorismo e non farà altro che incoraggiare Hamas e i suoi sostenitori e un preludio alla presa di potere dell’Islam jihadista in mezzo Oriente”. Meno male che a impedire l'Apocalisse ci sono i criminali nazisionisti che col genocidio palestinese cercano di eliminare un popolo e il problema alla radice, secondo quanto sostiene quella che i complici imperialisti dell'Ovest definiscono "l'unica democrazia del Medioriente".
Eppure c’è anche una coraggiosa minoranza anche in Israele che contesta la decisione. Il gruppo arabo-ebraico Standing Together, che cercava di proteggere i camion di aiuti diretti a Gaza dall'assalto dei coloni coperti dall'esercito, scriveva sui social che "la soluzione dei due Stati si sta allontanando da molto tempo, con il continuo insediamento di Israele, l’annessione de facto della Cisgiordania e la guerra infinita a Gaza (…) Se non si discute di uno Stato palestinese e non si discute di concedere pieni diritti civili ai palestinesi nei Territori occupati, allora la decisione è stata presa: un sistema permanente di controllo israeliano tra fiume e mare, dove si applicano leggi diverse alle persone a seconda che siano ebrei o palestinesi (cioè l’apartheid)”.

24 luglio 2024