L'Articolo 18 non si tocca

Il governo della grande finanza e della UE, guidato dal tecnocrate borghese voluto espressamente da Napolitano, sin dal suo insediamento non ne aveva fatto mistero: prima il taglio pesante e strutturale delle pensioni e poi a seguire la "riforma" del mercato del lavoro" con in testa la modifica dell'art.18 per liberalizzare i licenziamenti. Ciò in perfetta continuità con il precedente governo del neoduce Berlusconi. Infatti, il ministro del welfare, Elsa Fornero, si era mossa tempestivamente. In un intervista rilasciata al Corriere delle Sera il 18 dicembre scorso si diceva pronta a incontrare le "parti sociali" entro la fine dell'anno per iniziare un negoziato in proposito. Rispondendo alle domande del giornalista la Fornero rispondeva che per dare lavoro ai giovani il governo pensa a "un contratto che riconosca che sei all'inizio della vita lavorativa e quindi ... parti con una retribuzione più bassa che poi salirà in relazione alla produttività". Insomma "un contratto unico, che includa le persone oggi escluse e che però forse non tuteli più al 100% il solito segmento iperprotetto". Ai sindacati che si oppongono alla modifica dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, la Fornero manda a dire che "non ci sono totem" intoccabili.
L'assalto neoliberista del governo a una delle tutele sindacali più importanti dei lavoratori aveva provocato immediate reazioni. A favore, manco a dirlo, quella del presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, secondo la quale la "riforma" del lavoro "va affrontata con molta serietà, pragmatismo e senza ideologia serve - sostiene lei - e non deve esserci alcun tabù sull'articolo 18". L'articolo 18 "non è un falso problema. Secondo noi - prosegue - è un tema da affrontare". Contrarie invece, questa volta in modo unitario, quelle dei segretari di CGIL, CISL e UIL, "L'art.18 - ha affermato Susanna Camusso - è una norma di civiltà che dice che nessun imprenditore e nessun datore di lavoro può licenziare un lavoratore perché gli sta antipatico, perché ha un'opinione, o fa politica oppure fa il rappresentante sindacale. Ha un potere deterrente ed è per questo che si vuole togliere ma è importante che rimanga". Il governo parla di "riforma del lavoro - ha aggiunto Camusso - in realtà sono licenziamenti facili". Questa storia non la capisco - ha detto Raffaele Bonanni - sembra si voglia aizzare la protesta e, non è quello che doveva fare un governo tecnico" a proposito di possibili modifiche all'articolo 18.
Netto il giudizio di Giorgio Cremaschi, della sinistra CGIL: "Le dichiarazioni di esponenti del governo e della Confindustria - ha detto - che aprono la strada ... verso la messa in discussione dell'articolo 18 e verso i licenziamenti ancora più facili, sono di una gravità inaudita". Mentre si annunciano per il prossimo anno 300 mila nuovi disoccupati "si pensa di affrontare la crisi rendendo più facili i licenziamenti. Il tutto in nome dei giovani". "Se davvero il governo andrà avanti a gennaio - ha concluso Cremaschi - dobbiamo fare le barricate, ci vuole una mobilitazione sociale e politica in grado di fermare governo e Confindustria".
La mobilitazione promossa nell'immediato e quella annunciata dalle tre confederazioni sindacali e l'imbarazzo che l'attacco all'art.18 ha creato tra le file del PD (che è parte fondamentale dell'attuale maggioranza) il tutto mentre in parlamento era in corso l'approvazione della stangata di Monti di 30 miliardi di euro, ha convinto il governo non a rinunciare, si badi bene, ma a rinviare un intervento di questo genere. Lo si capisce dalla dichiarazione stizzita della ministra Fornero, passata dalle lacrime di coccodrillo a una faccia tosta irritante, che urla: "allora vogliamo lasciarlo stare questo articolo 18? Io sono pronta a dire che neanche lo conosco. C'è tanto da fare prima di arrivare lì". Come a dire, alla libertà di licenziamento ci arriveremo, magari a seguito dell'annunciata "riforma" del mercato del lavoro. Monti conferma: "il tema dell'articolo 18 c'è, per noi esiste ed anche importante, ma non centrale, né unico".
Sia la Fornero che, detto per inciso, si ispira alla proposta di legge del "contratto unico" dell'esponente di destra del PD, Pietro Ichino, sia la Marcegaglia si arrampicano sugli specchi per giustificare la cancellazione dell'articolo 18 della legge 300/1970. Nessuna tesi sostenuta in questo senso regge a un analisi obiettiva e tutte si rivelano fallaci, false. A partire da quella che la mancata flessibilità in uscita frenerebbe la crescita e lo sviluppo. Questo quando è noto che per il prossimo anno, a causa della recessione, sono attesi oltre 300 mila nuovi disoccupati. Sono ben altre le ragioni della crisi e della stagnazione produttiva in Italia! Da noi il mercato del lavoro è tra i più rigidi in Europa? Altra tesi falsa. Come si spiega allora il dilagante precariato che riguarda un'intera generazione di giovani? Ci sono tanti lavoratori "garantiti" a scapito dei giovani senza tutele. Balle! Incominciamo col dire che la stragrande maggioranza dei lavoratori occupati in aziende sotto i 15 dipendenti, non hanno la copertura dello Statuto dei lavoratori. Gli altri, numericamente in netta minoranza, occupati in aziende medio-grandi, hanno solo la tutela contro i licenziamenti "senza giustificato motivo". Ma quando arriva la crisi economica e di seguito la crisi aziendale (attualmente le vertenze aperte sono 230 con 40 mila posti di lavoro in bilico) purtroppo non c'è art.18 che tenga.
Non si è mai visto da nessuna parte che licenziando si crea posti di lavoro. Così come non ha mai funzionato la formula "togliere diritti ai padri per introdurre tutele per i figli". Non togliere ma estendere i diritti a tutti è la scelta giusta da fare. E poi ci vuole un bel coraggio a sostenere che il problema è dare un lavoro vero, non precario ai giovani, che in effetti è la vera priorità, e proporre nel contempo il "contratto unico" d'inserimento che per tre anni ha caratteristiche di lavoro supersfruttato e al termine non c'è la garanzia dell'assunzione. Senza peraltro abolire o quanto meno sfoltire le principali e più odiose forme di precariato tuttora vigenti. Infine, come fa il governo a riempirsi la bocca di lavoro ai giovani dopo aver alzato fino a 67-70 anni l'età pensionabile che ritarderà di anni il normale turn-over e quindi l'accesso al lavoro delle ragazze e dei ragazzi inoccupati, specie al Sud dove il problema è più acuto.
Rimane quindi solo lo scopo vero dell'attacco all'art.18 di natura antidemocratica e antisindacale, in linea con il modello Marchionne autoritario e neofascista, che vuole dai lavoratori obbedienza totale, senza diritti, senza libertà dello sciopero e concepisce solo relazioni industriali di tipo corporativo soggette agli interessi dell'azienda.

Firenze, 4 gennaio 2012