Il disegno di legge del PD sulla attuazione dell'art. 49 della Costituzione rilancia la proposta dei costituenti democristiani e liberali
Il principale partito della "sinistra" borghese vuol mettere sotto controllo dello Stato i partiti politici

Parte I - La genesi dell'articolo 49 della Costituzione

I lavori dell'Assemblea Costituente sul tema dell'organizzazione e del riconoscimento dei partiti politici, tema che poi avrebbe condotto fino alla formulazione dell'attuale articolo 49 della Costituzione (che inizialmente secondo il Progetto di Costituzione elaborato dalla Commissione per la Costituzione avrebbe dovuto essere l'art. 47) durarono dal 25 ottobre 1946 fino al 22 dicembre 1947. Ecco la cronologia delle discussioni che avvennero nell'ambito dell'Assemblea Costituente, nella Commissione per la Costituzione e nelle sue Sottocommissioni in relazione in generale al tema della disciplina dei partiti politici ed in particolare a quello che oggi è l'art. 49.

Il 25 ottobre 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione, istituita il 23 luglio 1946, dedicata all'organizzazione costituzionale dello Stato e presieduta da Umberto Terracini del PCI, prosegue la discussione sull'organizzazione costituzionale della neonata Repubblica trattando anche della questione della regolamentazione legislativa dei partiti politici. L'occasione giunge in quanto il relatore e giurista democristiano Costantino Mortati introduce all'attenzione della Sottocommissione il tema dei lavori parlamentari, delle relative commissioni e di conseguenza il tema della proporzionale rappresentanza politica in seno ad esse entra prepotentemente nella discussione, tanto che il deputato Renzo Laconi del PCI si preoccupa affinché sia assicurata a tutti i gruppi politici una rappresentanza proporzionale in seno alle Commissioni: l'autonomista Pietro Calamandrei riconosce che il problema dei partiti politici, della loro funzione come associazioni strutturate, della disciplina della loro organizzazione e del loro riconoscimento esplicito da parte della carta costituzionale che si stava formando avrebbe dovuto essere approfondito. Infatti lo Statuto Albertino (ovvero la Carta costituzionale del Regno di Sardegna prima e del Regno d'Italia poi, entrata in vigore nel 1848 e rimasta vigente fino al 31 dicembre 1947) non prendeva in considerazione i partiti politici semplicemente perché all'epoca della sua entrata in vigore essi erano semplici movimenti di opinione all'interno dell'area liberale privi di una organizzazione (dopo la mazziniana Giovane Italia fondata nel 1831 che però fu una formazione politica strutturata in senso moderno ma messa al bando dalla legislazione di tutti gli Stati preunitari bisognerà aspettare il 1892 per veder nascere il Partito Socialista Italiano, ovvero il primo partito politico strutturato e parlamentare). Poi nel trentennio che va dal 1892 al 1922 sorsero anche altri partiti strutturati e parlamentari come il PPI e nel 1921 il PCd'I, tutti con il tempo sostituiti a partire da tale data dal Partito Nazionale Fascista, partito unico durante la dittatura mussoliniana, n.d.r.. Chiudendo i lavori del 25 ottobre 1946 il relatore Mortati ritiene che i principi regolatori dei rapporti politici avrebbero dovuto essere trattati dalla prima Sottocommissione.

Il 15 novembre 1946 la prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione, istituita anche essa il 23 luglio 1946, dedicata ai diritti e ai doveri dei cittadini e presieduta da Umberto Tupini della DC prosegue la discussione sulla regolamentazione dei rapporti politici dove il relatore democristiano Umberto Merlin propone per la prima volta un testo che poi sarebbe confluito con vistose modifiche nel futuro articolo 49 della Costituzione: "I cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici che si formino con metodo democratico e che rispettino la dignità e la personalità umana, secondo i principî di libertà e di uguaglianza. Le norme per tale organizzazione saranno dettate con legge particolare". Il democristiano Giuseppe Dossetti propone al suo collega di partito, il presidente Umberto Tupini, di accantonare momentaneamente la discussione su tale articolo e di consultare anche l'orientamento della seconda Sottocommissione: Tupini, seguito anche dal democristiano Aldo Moro, esprime l'opinione che l'argomento vada approfondito e che investa anche la competenza della seconda Sottocommissione e - dopo una delibera unanime da parte dei commissari - ne rinvia la discussione ad una seduta successiva, ed anche Togliatti ritiene doveroso un ulteriore approfondimento riservandosi di fare alcune serie obiezioni in merito alla formulazione dell'articolo così come presentato da Merlin.

Il 19 novembre 1946, quattro soli giorni più tardi, la prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sull'articolo proposto da Merlin e sottoscritto anche dal socialista Pietro Mancini, ed a tal proposito Lelio Basso del PSIUP propone sull'argomento della regolamentazione dei partiti politici due ulteriori articoli - che egli numera come 3 e 4 - da inserire nella futura Costituzione che recitano "Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente e democraticamente in partito politico, allo scopo di concorrere alla determinazione della politica del Paese" e "Ai partiti politici che nelle votazioni pubbliche abbiano raccolto non meno di cinquecentomila voti, sono riconosciute, fino a nuove votazioni, attribuzioni di carattere costituzionale a norma di questa Costituzione, delle leggi elettorali e sulla stampa, e di altre leggi".
Concetto Marchesi del PCI obietta di non poter accettare l'articolo così come proposto da Merlin e Mancini perché ritiene che non offra garanzie contro i pericoli della tirannia e gli abusi delle organizzazioni politiche, ritenendo egli che l'espressione "liberamente e democraticamente" in esso contenuta costituisca in realtà una vera e propria limitazione posta al principio della libertà di organizzazione di ogni formazione politica. In sostanza Marchesi dichiara apertamente di temere che con tali espressioni il futuro legislatore voglia in realtà mettere al bando un organismo politico basato sul principio del centralismo democratico e che, egli dice, sono in molti a sostenere che sia propenso all'adozione della violenza anche quando quest'ultima non costituisce legittima difesa. Concetto Marchesi insomma mette in rilievo che mentre il partito comunista vuole essere lo strumento del rinnovamento e della trasformazione civile e sociale, non pochi sono del parere che esso tenda invece alla dittatura del proletariato, cioè a quella che da altre formazioni politiche sembra una vera e propria forma di tirannia: a questo punto Marchesi dichiara solennemente che la violenza non fa parte del programma del PCI e che la dittatura di una classe non è lo sbocco finale del programma politico dei comunisti. Quindi Marchesi, pur negando che violenza e dittatura del proletariato siano parte integrante del programma del PCI, dichiara però alla Sottocommissione di avere il fondato timore che altri partiti politici attribuiscano, a torto secondo lui, comunque al PCI velleità di violenza rivoluzionaria e che quindi un futuro governo, composto da forze democratiche che escludano il PCI, potrebbe - utilizzando l'articolo con quella formulazione - mettere pretestuosamente il partito comunista italiano fuori legge. Marchesi conclude osservando che qualora i partiti politici (PCI compreso) nella loro organizzazione ricorressero a mezzi illeciti incorrerebbero nelle sanzioni previste dal Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS) emanato nel 1931 che vieta le organizzazioni armate.
A questo punto il presidente Tupini chiede a Marchesi se accetta l'articolo 3 proposto da Lelio Basso ed egli si dichiara favorevole a tale articolo, e Palmiro Togliatti - segretario generale del PCI - dichiara di associarsi all'opinione espressa da Marchesi affermando che, dal momento che la discussione verte sull'argomento più delicato dell'organizzazione dello Stato democratico (borghese), non si deve formulare un articolo che possa fornire un qualsiasi pretesto all'attuazione di misure antidemocratiche, prestandosi ad interpretazioni diverse. Togliatti ritiene che anche un partito antidemocratico e fautore della violenza - e fa lo specifico esempio di un eventuale movimento anarchico violento ed antidemocratico - dovrebbe essere combattuto sul terreno della competizione politica democratica convincendo i militanti del movimento della falsità delle loro idee, ma - ritiene il segretario del PCI - non si potrà negare a tale movimento politico il diritto di esistere e di svilupparsi solo perché rifiuta alcuni dei principi contenuti nella formula in esame. Togliatti ritiene che l'articolo proposto da Merlin e Mancini debba essere limitato concretamente, riferendolo a movimenti politici già esistiti, e si dichiara disposto pertanto a votare la formulazione di Basso, ove la limitazione in essa contenuta venga riferita al partito fascista, anzi suggerisce formalmente ed ufficialmente che nella Costituzione futura si dichiari espressamente proibita, in qualsiasi forma, la riorganizzazione di un partito fascista, perché - ritiene Togliatti - si deve escludere dalla democrazia chi ha manifestato di essere il suo nemico, dal momento che il partito fascista ha dimostrato di voler distruggere le libertà umane e civili del cittadino ed ha portato l'Italia alla rovina, ed è per questo che gli si deve negare il diritto all'esistenza.
Mario Cevolotto del Partito Democratico del Lavoro, pur dichiarando di consentire con le affermazioni di Marchesi e Togliatti, ritiene che una norma come quella proposta da quest'ultimo a proposito della messa al bando del partito fascista e quindi riferita ad un fatto contingente e storicamente determinato per quanto gravissimo, non possa far parte della Costituzione in quanto - egli ritiene - il divieto per il partito fascista sarebbe già compreso nella formulazione di Basso laddove si afferma che tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi democraticamente: e poiché il partito fascista è nella sua struttura essenzialmente antidemocratico - continua Cevolotto - esso viene escluso automaticamente dai partiti riconosciuti, e comunque - conclude l'esponente di Democrazia del Lavoro - nulla vieta che dopo l'entrata in vigore della Costituzione possa essere emanata una legge speciale che proibisca la ricostituzione del partito fascista. Il democristiano Carmelo Caristia ritiene inutile aggiungere una specificazione particolare per ciò che riguarda il partito fascista in quanto - ritiene l'esponente democristiano - qualora esso dovesse risorgere si presenterebbe sicuramente sotto un'altra forma rispetto a quella del ventennio, non come un partito unico e militarista bensì sicuramente sotto la forma di un partito estremamente conservatore, al quale pertanto non si potrebbe negare il diritto di esistere.
Il democristiano Giorgio La Pira dichiara di preferire l'articolo proposto da Basso perché non vede, ove venisse accolta l'aggiunta proposta da Togliatti, come potrebbe fare il legislatore a definire quale sia un partito fascista, e perché non ritiene che si debba lasciare al legislatore, attraverso una formula vaga, la possibilità di commettere discriminazioni ai danni di qualsiasi partito. Togliatti replica all'obiezione di La Pira che la sua aggiunta non è affatto imprecisa, perché si riferisce ad un fatto e non ad un concetto: chiarisce che il movimento ed il partito fascista sono fatti storicamente determinati dei quali sono ben conosciuti il programma, l'attività, l'azione e l'organigramma, quindi se un partito sorgesse con simili manifestazioni, sarebbe facile riconoscere in esso il partito fascista. Togliatti dichiara di voler evitare la discussione ideologica generale, consapevole che risulterebbe astratta, concludendo che deve ritenersi fascista quel movimento politico che prese corpo in Italia dal 1919 fino al 25 luglio 1943, e che si chiamò fascismo.
La Pira però dichiara di non essere convinto delle precisazioni di Togliatti ed osserva che, ad esempio, vi sono uomini politici che credono perfino di ravvisare le sembianze del fascismo proprio nel partito comunista. Cevolotto ritiene che la formulazione di Togliatti si presti a manovre dannose per la democrazia, e che su questo argomento si dovrebbe provvedere con una legge speciale, caso per caso, quando sorgesse il pericolo di un ritorno del fascismo. Dossetti si dichiara favorevole alla formulazione dell'articolo 3 enunciato da Lelio Basso, senza alcuna integrazione; quest'ultimo dal canto suo dichiara di accettare l'aggiunta di Togliatti, e di ritenere che non si debba lasciar passare l'occasione per fare una delle poche affermazioni concrete e innovatrici della Costituzione in quanto - continua l'esponente del PSIUP - fino a quel momento in Italia ci si è preoccupati di assicurare la continuità giuridica dello Stato, evitando però ogni aperta condanna del fascismo, ed è per questo motivo che egli ritiene necessario inserire nella Costituzione un'affermazione concreta e univoca per cui si sappia che tutto ciò che è stato fascista è condannato. Bisogna fare in modo quindi - prosegue Basso - che il popolo abbia la sensazione precisa che la Repubblica proclamata alcuni mesi prima segni una data nuova nella storia d'Italia. Dichiara pertanto di accettare pienamente l'aggiunta proposta, ed è per questo che manifesta tutto il suo appoggio alla proposta di Togliatti di inserire nella futura Costituzione una norma che vieti la ricostituzione del partito fascista. Dossetti dichiara di condividere le affermazioni di Lelio Basso per quanto riguarda la frattura che si vuol porre tra il passato e il presente, anche motivata dal rilievo che ha fino a quel momento prevalso la preoccupazione di voler assicurare una continuità legale dello Stato, ma ritiene che l'esclusione proposta da Togliatti, con la sua aggiunta relativa alla messa al bando del partito fascista, possa in futuro essere causa di altre esclusioni in senso opposto a quello che oggi si vuole intendere, e con fini che non hanno niente a che vedere con quella cesura e con quella totale condanna del fascismo che tutti i commissari sono d'accordo nel voler accettare: Dossetti fa notare che, assodato che tutti i commissari sono fermamente antifascisti, non sarebbero però stati in futuro i commissari ad interpretare i termini della formula in discussione bensì altri uomini politici i quali, quando si trovassero di fronte ad un partito comunista non più diretto da un uomo con 25 anni di antifascismo militante alle spalle come Togliatti potrebbero ritenere che esso nel suo indirizzo riproducesse il partito fascista, e volessero sopprimerlo proprio in base alla formula proposta da Togliatti, e da qui nasce la perplessità di Dossetti nell'adozione di tale formula.
Togliatti dichiara di non voler seguire Dossetti nelle sue esemplificazioni riguardanti il partito comunista, per non inasprire la discussione facendo presente che le osservazioni fatte alla sua proposta sarebbero giustificate solo se essa mirasse a definire astrattamente il contenuto di un movimento o di un partito fascista perché contro una tale formulazione sarebbero lecite tutte le critiche, perché qualunque partito potrebbe essere ricondotto sotto la figura del partito fascista attraverso disquisizioni dialettiche, anche la Democrazia Cristiana o il Partito Liberale Italiano. Ma Togliatti ribadisce che nella sua proposta egli si limita al richiamo storico del partito fascista quale si è manifestato nella realtà politica italiana dal 1919 al 1943 e non è quindi possibile alcuna interpretazione equivoca e si dichiara disposto - allo scopo di rassicurare Dossetti - a modificare la sua formula nel senso che si parli "del" partito fascista, anziché di "un" partito fascista, ricordando all'esponente democristiano che una dichiarazione riguardante l'inammissibilità del partito fascista era già contenuta nell'armistizio e nelle clausole del trattato di pace che si stava in quel momento elaborando nei riguardi dell'Italia e inoltre nei trattati di pace già formulati per altri paesi. Dossetti a questo punto si dichiara disposto ad accettare la formula di Togliatti così come questi l'ha modificata, in quanto viene ad assumere un significato storico, e propone inoltre che, per maggiore chiarezza e per voler significare che si tratta di un dato storico, l'articolo venga così formulato: "È proibita sotto qualsiasi forma la riorganizzazione del partito fascista". Il presidente Tupini a questo punto comunica che il commissario Caristia ha presentato la seguente formula sostitutiva dell'articolo proposto da Basso: "I cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici. La legge detta le norme perché la loro attività si svolga pacificamente. È vietata la ricostituzione del partito fascista". Basso e Cevolotto dal canto loro dichiarano di accettare la formula proposta da Dossetti. Togliatti rileva che la formula presentata da Caristia è imprecisa e sotto l'aspetto giuridico nasconde una profonda contraddizione, in quanto prima afferma che tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi, e poi dichiara che la legge determina le condizioni di tale diritto: il segretario generale del PCI fa presente quindi che non deve essere una legge ordinaria a dettare norme circa il carattere pacifico o meno di un movimento politico, bensì deve essere demandata soltanto alla Costituzione la definizione sullo sviluppo pacifico della lotta nel Paese, ritenendo quindi che sia meglio adottare la formula proposta da Basso.
Caristia si rende conto delle obiezioni di Togliatti e riconosce che un partito politico ha diritto di provvedere alla sua organizzazione in quanto ha una sua autonomia ammessa dalla natura stessa dello stato democratico, ma fa presente che, proprio affinchè i partiti non arrivino a una lotta non pacifica, occorre che la legge provveda in proposito: non si vuole quindi - secondo l'esponente democristiano - porre un limite allo sviluppo dei partiti politici come tali, ma soltanto un limite alla lotta la quale si deve svolgere in un piano pacifico: lo statuto dei partiti quindi - secondo Caristia - deve provvedere alla loro organizzazione ed al loro incremento, ma per quanto si voglia essere democratici, non si potrà mai fare a meno di una legge di pubblica sicurezza che regoli la lotta politica. Togliatti fa presente che le norme giuridiche di pubblica sicurezza non sono norme che possano riguardare i partiti, poiché tali norme sono state emanate essenzialmente per contrastare la delinquenza, ed i partiti vi possono essere contemplati solo in quanto invadano un terreno che è quello della delinquenza, ossia se si trasformino in organizzazioni criminali. Caristia obietta però a Togliatti che la legge di pubblica sicurezza è fatta anche per regolare la lotta politica, la quale si deve svolgere sul terreno pacifico. Se la lotta politica - sostiene l'esponente democristiano - sconfina da questo terreno le norme di pubblica sicurezza devono intervenire al fine di riportarla su un terreno di legalità, quindi la legge non fa altro che dare una garanzia per lo svolgimento della lotta politica. Togliatti osserva che tale garanzia, anziché dalla legge ordinaria che disciplina la pubblica sicurezza, deve essere data dalla Costituzione. Caristia non vede come la Costituzione possa dare questa garanzia, in quanto si limita ad affermare il diritto che i cittadini hanno di organizzarsi in partiti politici. Togliatti fa rilevare che il riferimento che Caristia desidera fare alla legge di pubblica sicurezza è contenuto in quegli articoli della Costituzione nei quali è detto che la libertà è concessa entro limiti stabiliti dalla legge. Non è quindi necessario fare un riferimento esplicito nella Carta costituzionale.
Il presidente Tupini dichiara che preferirebbe una formula la quale esprimesse in modo inequivocabile il concetto che è proibita, sotto qualsiasi forma, l'organizzazione di un movimento o di un partito fascista o totalitario. Di tale sua preferenza non fa una precisa proposta, in quanto, dopo le dichiarazioni di Palmiro Togliatti, è apparso chiaro che si vuole impedire la ricostituzione del partito fascista, così come si è storicamente manifestato negli ultimi 20 anni, mentre per ciò che riguarda la proposta di Lelio Basso egli propone il seguente emendamento: "Il diritto di organizzarsi in partiti che accettino il metodo democratico della lotta politica è garantito a tutti i cittadini". A suo parere, una volta affermato in linea principale questo concetto, nei termini da lui proposti, il capoverso che riguarda la proibizione della riorganizzazione del partito fascista assume un maggior risalto. Cevolotto si dichiara contrario all'adozione di formule che affermino garanzie, poiché la Costituzione non è un patto di garanzia fra cittadini e Stato. È contrario anche all'adozione dell'espressione: "metodo democratico" poiché essa comporterebbe, ad esempio, l'esclusione di un partito anarchico, esclusione che non sarebbe democraticamente concepibile, quindi ritiene che si debba preferire la formula di Basso, il quale a sua volta fa presente che l'affermare che sono ammessi i partiti i quali accettino il metodo democratico della lotta politica implica delle limitazioni, poiché presuppone una valutazione in merito alle dottrine seguite dai partiti, e fa altresì presente che il termine di democrazia ha oggi diversi significati e si presta a diverse interpretazioni, ed è per questo che ritiene che sia preferibile la formula da lui proposta, che non solleva tale questione di interpretazione. Il presidente Tupini ritiene che le limitazioni non debbono spaventare, poiché è necessario porre nel testo costituzionale qualche cosa che costituisca difesa della democrazia contro tutti coloro che attentano alla sua esistenza. Basso risponde di essere d'accordo con il presidente per quanto riguarda la difesa della democrazia, ma fa presente che una cosa è il dire che i cittadini hanno diritto di organizzarsi democraticamente e altra cosa è accettare il metodo democratico: in base alla formula proposta dal presidente in futuro si potrebbe dire, per esempio, che il partito socialista non adotta il metodo democratico. Caristia insiste perché sia messa ai voti la sua formula, rinunciando però a quella parte che rinvia alla legge, in quanto questo concetto è implicito in altri articoli della Costituzione. A questo punto il presidente Tupini dà lettura della formula proposta dal commissario Basso, ovvero che "Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente e democraticamente in partiti politici", facendo presente che a questo punto lo stesso Basso vorrebbe aggiungere le seguenti parole, ossia "allo scopo di concorrere alla determinazione della politica del Paese" ritenendo comunque che questa ultima proposizione si possa accantonare salvo un successivo riesame. Vi è poi la formula proposta da Caristia: "I cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici". Il democristiano Aldo Moro propone un emendamento alla formula del commissario Basso nella parte in cui dice "organizzarsi in partiti politici liberamente e democraticamente": Moro ritiene che questa espressione riguardi piuttosto la fase di formazione dei partiti politici, per cui sarebbe opportuno aggiungere un'espressione che possa togliere ogni equivoco come "possono organizzarsi ed operare liberamente e democraticamente in partiti politici".
A questo punto il presidente Tupini dà lettura della formula così come risulterebbe con l'emendamento proposto da Moro, ossia "Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi e di operare liberamente e democraticamente in partiti politici, allo scopo di concorrere alla determinazione della politica del Paese" e Basso dichiara di accettare la formula proposta da Aldo Moro: a questo punto il presidente Tupini dichiara che, dal momento che vede garantita l'essenzialità del metodo democratico nella lotta dei partiti, di cui si era preoccupato nel presentare la sua formula, accetta la formula Basso-Moro. Caristia dichiara di insistere nella formula da lui proposta, ritenendo inutili le specificazioni. Togliatti ritiene che l'espressione "operare democraticamente e liberamente in partiti politici" sia ambigua e pertanto propone la formula "organizzarsi liberamente in partiti politici ed operare democraticamente allo scopo di concorrere alla determinazione della politica del Paese". Moro dichiara di accettare la formula proposta da Togliatti. A questo punto avviene la votazione: il presidente Tupini mette ai voti la formula proposta da Caristia, ossia "Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici" che viene respinta con 8 voti contrari, 3 favorevoli e 1 astenuto, e a questo punto Tupini suggerisce un testo che risulta dalla collaborazione di vari commissari e che sembra sia accettata dalla maggioranza ovvero "Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti politici allo scopo di concorrere democraticamente a determinare la politica del Paese". Il solo Caristia dichiara di votare contro questa formula perché la ritiene troppo vaga, ed infatti la formula è approvata con 11 voti favorevoli e 1 contrario. Rimane a questo punto da approvare l'altra proposizione enunciata da Togliatti relativa alla messa al bando del partito fascista, ed infatti Tupini fa votare il testo "È proibita la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del partito fascista" che viene approvato all'unanimità.
Il testo completo che risulta dalla votazione della prima Sottocommissione risulta quindi "Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti politici, allo scopo di concorrere democraticamente a determinare la politica del Paese. È proibita la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del partito fascista".

Il 6 febbraio 1947 la Commissione per la Costituzione, dopo avere raccolto tutte le proposte elaborate dalle sottocommissioni tra cui soprattutto - per ciò che riguarda la regolamentazione dei partiti - la prima, pubblica il seguente progetto di articolo rubricato come articolo 47 della futura Costituzione: "Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale" mentre la norma circa il divieto della ricostituzione del partito fascista diviene la prima delle Disposizioni Transitorie e Finali della Costituzione. Nel testo definitivo della Costituzione sarà la XII delle Disposizioni Transitorie e Finali della Costituzione a stabilire che "È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista", n.d.r.

Il 4 marzo 1947 l'Assemblea Costituente inizia la discussione generale del progetto di Costituzione della Repubblica italiana, tra cui l'articolo 47: l'esponente dell'Unione Democratica Nazionale Aldo Bozzi sostiene che nel progetto di Costituzione sia totalmente assente la regolamentazione dei partiti politici. Egli sostiene che è fondamentale che sia attuato nel loro interno il metodo democratico che - sostiene Bozzi - è indispensabile affinché la democrazia possa poi informare tutta la vita dello Stato e lamenta proprio nel progettato articolo 47 l'assenza totale di regolamentazione dei rapporti tra Stato e partiti politici, e questo secondo lui può far sì che questi ultimi si sviluppino fuori e addirittura contro lo Stato e quindi minare quella che per lui è il valore supremo, ovvero quello costituito dalla democrazia, intendendo quella borghese. Calamandrei lamenta il fatto che il progetto di Costituzione abbia relegato nella prima delle Disposizioni transitorie e finali della Costituzione la norma relativa al divieto di ricostituzione del partito fascista, perché secondo Calamandrei non di un fatto transitorio si tratterà bensì di un fatto perpetuo e definitivo il fatto di consacrare in una disposizione del testo principale della Costituzione la messa al bando di ogni partito politico che si strutturi come organizzazione militare o paramilitare, fomenti violenze contrarie ai diritti di libertà, propugni il totalitarismo e la negazione dei diritti delle minoranze, tutti caratteri che - secondo il giurista fiorentino - se presenti in un qualsiasi partito politico devono far sì che esso venga trattato dalla futura Costituzione alla stregua del partito fascista. Secondo Calamandrei dovrebbe essere una sezione della futura Corte costituzionale a vigilare sulla democraticità interna o meno dei singoli partiti.

Il 5 marzo 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del progetto di Costituzione, incluso l'art. 47. Tupini ritiene che il futuro Parlamento sia il fulcro di tutto il sistema democratico nel quale i partiti, attraverso la dialettica parlamentare, si addestreranno alla democrazia avvicinando le loro posizioni sulla base dei valori costituzionali. Secondo l'esponente democristiano non è il sistema dei partiti che va criticato, ma sono le colpe specifiche, sono le concezioni eterodosse dal punto di vista democratico di alcuni partiti che propugnano il partito unico che vanno combattute: il giorno in cui i partiti cessassero di esistere e al loro posto subentrasse il partito unico sorgerebbe, secondo lui, prepotente e tirannica una nuova dittatura, mentre al contrario i partiti sarebbero divenuti di grande aiuto alla giovane democrazia italiana, a condizione però che attuino sinceramente il metodo democratico, a cominciare dal loro interno, e che si propongano di attuarlo nel Paese, che non si ingeriscano indebitamente nella pubblica amministrazione ed infine che svolgano fra il popolo una vasta funzione educatrice di libertà, portatrice di civili competizioni politiche.
Interviene a questo punto l'esponente del PCI Renzo Laconi: egli dichiara che il suo partito non ha sostenuto il regime democratico nato dalle ceneri del fascismo per quel calcolo politico che Calamandrei ha voluto attribuirgli, non perché conta sopra una maggioranza e solo in vista di questa maggioranza i suoi membri sono fedeli assertori delle idee democratiche, ma i suoi membri sono invece mossi dalla fede e dalla fiducia che essi hanno nelle istituzioni democratiche, ed è per questo che il PCI ha sostenuto in ogni momento il regime democratico più avanzato, il più lucido, quello che traducesse in un modo più semplice e schietto la volontà popolare. Laconi rivendica al PCI il merito di avere propugnato e fatto inserire nel progetto costituzionale il nuovo ente della Regione come organo di decentramento amministrativo dello Stato che consente di avvicinare tutta la macchina dello Stato al popolo e di sottoporla ad un suo più diretto ed immediato controllo, rivendica al PCI l'abolizione nel testo costituzionale della figura giuridica dei prefetti e degli organi burocratici che nella monarchia prima e nel fascismo poi erano strumenti governativi di controllo antidemocratico della vita delle comunità locali, rivendica al PCI la battaglia per il riconoscimento della iniziativa popolare e del referendum. Eppure, continua l'esponente del PCI, se tutto ciò tende ad aprire la strada al popolo, tende a consentire l'immissione della volontà popolare nelle strutture, nei congegni del nuovo ordinamento democratico e tende ad estendere il controllo dell'organo rappresentativo su tutti i settori, su tutti i gangli dell'apparato, è indubbio che nel progetto è rimasta traccia anche di un'altra tendenza, ossia quella a limitare, a correggere, a bilanciare l'azione popolare, tendenza che suona come sfiducia nel popolo e nei suoi organi rappresentativi, la tendenza a limitare l'azione delle istanze democratiche, a frenarla, a disperderla nel tempo, ad impedire cioè che la democrazia diventi qualche cosa di efficiente, qualche cosa di decisivo nella vita del Paese, a togliere cioè allo Stato democratico la capacità di tradurre in atto la volontà popolare.
Laconi lamenta che tale tendenza rischia di rimanere nel progetto di Costituzione, e stigmatizza ogni tentativo di regolamentazione giuridica dei partiti politici, dietro ai quali sta lo stesso popolo che sta dietro a questa Costituzione e che sarà anche in futuro come presupposto dell'ordinamento democratico dello Stato. Noi non pensiamo che i congegni, che i meccanismi costituzionali che possiamo predeterminare possano essere così efficienti da poter escludere qualunque pericolo. Laconi sostiene, proprio per confutare la tesi avversaria della necessaria regolamentazione costituzionale o legislativa dei partiti politici, che la garanzia maggiore dell'orientamento democratico dell'Italia non è nella Carta costituzionale ma unicamente nel popolo in quanto è soltanto il popolo che può garantire che i principi immessi nella Costituzione si possano tradurre in futuro in realtà, che può garantire che i congegni predeterminati nella Legge fondamentale agiranno in futuro nel senso che l'Assemblea Costituente si augura.
Ed è per questa ragione che il PCI - continua Laconi - critica il progetto di Costituzione per modificare quest'ultima in modo tale che l'ordinamento del futuro Stato sia il più democratico possibile, perché è proprio nella forza dei grandi partiti di massa che deve ritrovarsi la garanzia che in futuro i principi immessi nella Costituzione verranno tradotti in realtà.

L'11 marzo 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del progetto di Costituzione, in cui rientra l'articolo 47. Il democristiano La Pira, a proposito dell'art. 47, sostiene che la visione organica della società permette di vedere la struttura politica particolare nei partiti i quali - portatori di pluralismo culturale - sono il presupposto di quel principio della libertà di insegnamento e della libertà della scuola, e quindi di quella gara nella costruzione del mondo culturale che è essenziale per la rinascita italiana.

Il 20 maggio 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo quarto della Parte prima del progetto di Costituzione intitolata ai "Rapporti politici". Costantino Preziosi - esponente del Partito Democratico del Lavoro - ritiene che l'articolo 47 sia non troppo esplicativo quando afferma che "tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la vita politica nazionale", ritenendo che bisogna impedire a qualunque costo il sorgere di partiti che apparentemente possano dire di avere un metodo democratico, ma che in effetti non fanno che sostenere i metodi dittatoriali del passato regime: Preziosi ritiene che è indispensabile impedire che il sorgere libero di certi partiti possa procurare danno all'Italia ed approva pienamente l'emendamento sostenuto, in relazione all'art. 47, dal deputato del Partito Sardo d'Azione Pietro Mastino che recita "Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti, per concorrere, nel rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti garantiti dalla presente Costituzione, a determinare la politica nazionale" così che i partiti siano obbligati a rispettare certi obblighi perché solo così la nazione italiana non sarà minacciata da nuovi metodi dittatoriali.
Eduardo Di Giovanni del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani ritiene che all'articolo 47, laddove è scritto "Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale" la particella "per" limiti quasi la funzione della organizzazione dei partiti al concorso nella determinazione della politica nazionale, e quindi ritiene che possa essere utilmente sostituita dalla congiunzione "e", in quanto l'organizzazione libera dei partiti può anche prescindere dal concorso alla politica nazionale: il testo proposto quindi da De Giovanni è "Tutti i cittadini hanno il diritto di organizzarsi liberamente in partiti e concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale".
Il democristiano Fiorentino Sullo, sempre in relazione all'art. 47, dichiara che occorre dare un riconoscimento giuridico ai partiti e a tal proposito presenta un emendamento che contiene determinate condizioni affinché ai partiti politici possa essere riconosciuta la personalità giuridica: 1) salvaguardare la loro pluralità; 2) garantire l'adesione alle dichiarazioni dei diritti; 3) assicurare il carattere democratico dell'ordinamento interno; 4) permettere il controllo delle spese e delle risorse. Secondo l'esponente democristiano siciliano il principio della pluralità è affermato già costituzionalmente nell'art. 47 mentre il secondo e il terzo principio, cioè quello della garanzia della adesione alle dichiarazioni dei diritti e del carattere democratico dell'ordinamento interno sono indubbiamente principi necessari a verificarsi perché un partito abbia un riconoscimento giuridico. Sullo peraltro riconosce che il quarto punto, cioè il controllo delle spese e delle risorse, sarebbe in teoria da attuarsi, ma di fatto è molto lontana la possibilità pratica di realizzarlo, perché altrimenti si aprirebbe una via pericolosa all'ingerenza del potere esecutivo, del potere legislativo o della magistratura nella vita interna del partito.
Antonio Giolitti del PCI sostiene che la formulazione dell'art. 47 che concerne il diritto di organizzazione dei cittadini in partiti politici corrisponde ad un criterio più moderno della democrazia ed accoglie anche un'istanza di pluralismo nell'organizzazione sociale (il partito politico) in cui il cittadino esplica il suo diritto di esplicare la sua partecipazione alla vita pubblica, tuttavia egli ritiene che sarebbe prematuro andare oltre questa semplice formulazione del riconoscimento specifico del diritto di associazione dei partiti politici, anche per la considerazione che - nella ancora instabile situazione politica italiana e negli instabili rapporti di forze fra i partiti - bisogna ritenere che una formulazione più avanzata, come quella che si trova proposta nell'emendamento di Mortati, possa determinare uno svantaggio a danno dei partiti di minoranza, fornendo l'occasione di abusi da parte dei partiti più forti. Per queste ragioni Giolitti ritiene che la menzione dei partiti nel testo della Costituzione non debba andare al di là della formulazione predisposta dalla Commissione all'articolo 47 del progetto medesimo.

Il 21 maggio 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo quarto della Parte prima del progetto di Costituzione intitolata "Rapporti politici". Carlo Ruggiero del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani ritiene che il testo "Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale" vada sostituito con il seguente: "Tutti i cittadini hanno il diritto di organizzarsi in partiti che si formino e concorrano, attraverso il metodo democratico, alla determinazione della politica nazionale". Egli giustifica la sua scelta sostenendo che mentre l'articolo 47 considera l'attività dei partiti come fatto esterno, cioè come fatto che vada al di là dell'ambito del partito, come attività la quale opera in un campo nazionale per la determinazione della politica del Paese, nel suo emendamento invece si chiede che il metodo democratico venga affermato, usato ed esercitato anche nell'ambito della vita del partito, cioè venga considerato come un principio imprescindibile anche per la struttura interna di un partito. Ruggiero ricorda le vivaci discussioni che si svilupparono nella prima Sottocommissione a tale proposito e che videro sia Concetto Marchesi sia Palmiro Togliatti, entrambi del PCI, avversare in qualsiasi forma l'introduzione di vincoli di democraticità interna nell'organizzazione dei partiti, ricorda che Togliatti affermava il principio imprescindibile della libertà di associazione da parte di tutti i cittadini ma che egli implicitamente riconosceva il diritto anche alla esistenza delle formazioni antidemocratiche. Ruggiero ritiene in primo luogo che ai militanti di organizzazioni che spontaneamente, con una forma di cosciente, volontaria e deliberata abdicazione hanno rinunziato ai diritti di libertà dal momento che fanno parte di una struttura antidemocratica vada loro negato il diritto che essi hanno già calpestato, dal momento che il metodo antidemocratico è incompatibile con il principio della libertà, e questo vale sia per i singoli che per le organizzazioni formate dai singoli individui; in secondo luogo egli ritiene che coloro i quali abbiano adottato il principio dell'antidemocraticità nella struttura interna - cioè nei confronti di se stessi - quando poi entrano in rapporto con altri, quando operano cioè in campo nazionale, quando entrano nella lotta politica è difficilissimo che rinuncino al metodo antidemocratico; in terzo luogo egli ritiene che il diritto particolare all'esistenza di una singola formazione antidemocratica debba cedere di fronte al principio generale dell'esistenza dell'intero sistema democratico; in quarto luogo egli ritiene che non tutte le associazioni, per il solo fatto che esiste il principio della libertà di associazione, hanno diritto ad essere tutelate, perché il diritto all'esistenza di ogni associazione è subordinato al fine, cioè alla natura ed al carattere del fine che l'associazione persegue, quindi se l'associazione ha fini antisociali o antigiuridici, o contrari ai principi del diritto o dell'etica essa non ha diritto di esistere.
Quanto all'obiezione che Concetto Marchesi aveva fatto in Sottocommissione - secondo cui un futuro governo che nutrisse una falsa interpretazione del partito comunista potrebbe, servendosi del disposto del testo del progetto, arbitrariamente abolire tale partito - Carlo Ruggiero replica sostenendo che un Governo in malafede o in errore potrebbe colpire non solo il partito comunista ma qualsiasi altro partito, aggiungendo peraltro che la valutazione sulla struttura democratica di un partito non debba essere fatta necessariamente dal governo ma potrebbe essere fatta da una Corte costituzionale o da una Commissione paritetica di tutti i partiti esistenti. Orazio Condorelli del PLI ritiene che l'art. 47, nella formulazione quale è, deve essere ritenuto perfettamente inutile in quanto la Costituzione già riconosce la libertà di associazione nella quale rientra anche la libertà di associazione politica, e aderisce alla proposta di Ruggiero.
Arturo Colombi del PCI si dichiara invece d'accordo con l'articolo 47 così come è redatto nel progetto di Costituzione in quanto non è quest'ultima a dover disciplinare i partiti, bensì sono stati questi ultimi a dar vita all'Assemblea Costituente, per cui essi non sono solo uno strumento di organizzazione delle masse, ma sono anche uno strumento di educazione politica, di educazione civile, sono un mezzo per elevare la coscienza delle masse, e sono sempre stati i partiti democratici, uniti nei Comitati di liberazione, che hanno organizzato la resistenza e l'insurrezione nazionale salvando l'Italia dall'estrema rovina, è l'azione dei partiti democratici che ha gettato le fondamenta della nuova democrazia italiana che è una conquista delle masse popolari, e non una concessione graziosa; sono - sostiene Colombi - i partiti che con la loro organizzazione e con la loro politica hanno contenuto entro limiti democratici e civili la lotta politica e sociale di questo travagliato dopo guerra portando la vita democratica verso un livello più elevato, per cui devono essere respinte tutte le proposte che comportino un controllo dello Stato sui partiti, quindi ogni formulazione dell'articolo che possa fornire pretesti a misure antidemocratiche va rigettato come limitazione di quella libertà che proprio i partiti hanno contribuito a ristabilire.
Il giudizio circa la democraticità o meno dei partiti - continua l'esponente del PCI - lo deve dare il Paese attraverso le elezioni, attraverso le più diverse manifestazioni della vita democratica con cui il popolo giudica i partiti, i loro programmi e le loro azioni, ed è questo il vaglio migliore, il vaglio più democratico dei partiti, è questo il controllo, il vero controllo che il popolo esercita democraticamente sui partiti stessi. Contro partiti e correnti che nella loro attività escano dalla legalità democratica e impieghino la violenza come metodo di lotta politica vi devono essere le leggi di pubblica sicurezza, vi sono le leggi dello Stato democratico per reprimere gli attentati alla vita democratica.
A questo punto il presidente Umberto Terracini del PCI dichiara chiusa la discussione generale e dà la parola al relatore del testo dell'art. 47, Umberto Merlin il quale - facendosi portatore delle preoccupazioni di Ruggiero - ritiene che vadano approfonditi e sviluppati i temi del riconoscimento giuridico dei partiti, del loro spirito e metodo democratico, dei fini che i partiti si propongono, dell'esame dei loro bilanci e soprattutto le funzioni costituzionali da affidare ad essi, tutte cose che Merlin ritiene che possa fare il futuro legislatore ordinario.

Il 22 maggio 1947 l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo quarto della Parte prima del progetto di Costituzione dedicato ai "Rapporti politici" nel quale è inserito anche l'art. 47. Il presidente Terracini legge l'art. 47 che reca il testo "Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale", ricorda che il commissario Carlo Ruggiero ha già svolto l'emendamento da lui proposto che recita "Tutti i cittadini hanno il diritto di organizzarsi in partiti che si formino e concorrano, attraverso il metodo democratico, alla determinazione della politica nazionale" ed introduce l'emendamento introdotto da Pietro Mastino e cioè "Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti, per concorrere, nel rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti garantiti dalla presente Costituzione, a determinare la politica nazionale" invitando quest'ultimo a svolgerlo. Mastino inizia il suo commento ricordando che la prima parte dell'art. 47, "Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti", non ha necessità di emendamenti, perché il diritto dei cittadini ad organizzarsi liberamente in partiti è la necessaria conseguenza del diritto di libertà affermato nella Costituzione e rappresenta anche un dovere del cittadino partecipare all'amministrazione pubblica e alla vita politica nazionale. Mastino invece propone un emendamento alla seconda parte dell'articolo 47 ovvero "per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale" in quanto ritiene che la frase "con metodo democratico" potesse dar luogo ad equivoci, citando l'episodio accaduto nel settembre del 1945 quando, nel primo discorso da lui pronunciato come presidente del Consiglio dei Ministri, Ferruccio Parri affermò che nessuno dei regimi anteriori al fascismo meritava la qualifica di democratico, in ciò contrastato da Benedetto Croce ed affermò al contrario che quelli erano stati non solo regimi liberali, ma anche democratici.
L'episodio è menzionato da Mastino per dimostrare che la qualifica o meno di democratico a un determinato sistema politico (e quindi anche ad un partito politico) è cosa molto più complessa di quanto non sembri a prima vista, ed ecco il motivo per cui egli intende rinunciare alla menzione della democrazia a proposito della vita di partiti proponendo "Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti per concorrere, nel rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti garantiti dalla presente Costituzione, a determinare la politica nazionale" e conclude aggiungendo questa riflessione: si può forse immaginare dove potrebbe andare a finire la democrazia di un partito nell'interpretazione di un Governo che per avventura non fosse democratico?
Il presidente Terracini a questo punto annuncia che Mortati ha presentato, pur senza svolgerlo, il seguente emendamento all'art. 47, ovvero "Tutti i cittadini hanno diritto di raggrupparsi liberamente in partiti ordinati in forma democratica, allo scopo di assicurare, con la organica espressione delle varie correnti della pubblica opinione ed il concorso di esse alla determinazione della politica nazionale, il regolare funzionamento delle istituzioni rappresentative. La legge può stabilire che ai partiti in possesso dei requisiti da essa fissati, ed accertati dalla Corte costituzionale, siano conferiti propri poteri in ordine alle elezioni o ad altre funzioni di pubblico interesse. Può inoltre essere imposto, con norme di carattere generale, che siano resi pubblici i bilanci dei partiti", e lo invita a svolgerlo. Mortati ritira l'emendamento che ha presentato e lo sostituisce con un altro formulato d'accordo con il commissario Ruggiero che a sua volta ritira anche il suo perché concorda con quello dello stesso Mortati: il nuovo emendamento ha il seguente testo, "Tutti i cittadini hanno diritto di riunirsi liberamente in partiti che si uniformino al metodo democratico nell'organizzazione interna e nell'azione diretta alla determinazione della politica nazionale" che è molto simile a quello proposto dalla Commissione, limitandosi ad una più precisa esplicazione del concetto in esso implicito, perché mentre l'articolo 47 - nella formulazione proposta dalla Commissione - parla di diritto di organizzarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, qui vi è invece una specificazione relativa alla democraticità dell'organizzazione interna dei partiti stessi.
Il democristiano Costantino Mortati - che, non va dimenticato, è uno dei maggiori giuristi borghesi italiani del XX secolo - ritiene, con sottile ragionamento più giuridico che politico, che la democraticità che informa di sé tutto il progetto di Costituzione si attui non solo nell'organizzazione dei poteri statali, bensì anche in tutti gli organismi inferiori di carattere non solo pubblico, ma anche privato con l'obbligo della democratizzazione dei sindacati, delle aziende private attraverso i consigli di gestione e addirittura di spirito democratico che deve permeare lo stesso esercito, quindi appare strano al giurista calabrese prescindere da questa esigenza di democratizzazione proprio nei riguardi dei partiti, che sono la base dello Stato democratico. Mortati ritiene che gli accertamenti pubblici circa la democraticità dei partiti non dovrebbero consistere in altro che nel deposito degli statuti e, per quanto riguarda il giudizio della conformità di questi statuti al metodo democratico, bisognerà organizzare in futuro delle garanzie tali da avere la sicurezza che si possa impedire la sopraffazione da parte dei partiti dominanti a danno delle minoranze:il controllo di democraticità - afferma Mortati - potrà essere affidato alla Corte costituzionale oppure ad organismi formati dalle rappresentanze degli stessi partiti esistenti in condizione di pariteticità.
A questo punto il presidente Terracini introduce gli emendamenti, già svolti, introdotti all'art. 47 da Fiorentino Sullo (sostituire l'art. 47 con il seguente testo: "Hanno diritto al riconoscimento giuridico tutti i partiti, democraticamente costituiti, mediante i quali i cittadini intendano con il metodo della libertà concorrere a determinare la politica del Paese"), e da Eduardo Di Giovanni (sostituire la particella "per", con la congiunzione "e"), ed anche Girolamo Bellavista del PLI propone il suo, ovvero l'aggiunta del seguente comma "Le leggi della Repubblica vietano la costituzione di partiti che abbiano come mira la instaurazione della dittatura di un uomo, di una classe o di un gruppo sociale, o che organizzino formazioni militari o paramilitari" e, qualora l'emendamento non fosse approvato, Bellavista propone di aggiungere dopo la parola "metodo" dell'art. 47 l'espressione "e programma". Bellavista svolge così il suo emendamento: egli ritiene che, nella giusta preoccupazione del progetto di assicurare le garanzie della democraticità ai partiti, si è unicamente volto il pensiero ad una funzione strumentale, ad una funzione di mezzo, nella quale un partito esercita nella lotta politica nazionale la sua attività, ed invece si è trascurato completamente il fine che un partito o che un'organizzazione politica può proporsi. Questo sorge evidente dalla parola "metodo", che attiene alla strumentalità della azione che il partito svolge nella lotta politica nazionale, ma non attiene certamente allo scopo che detto partito persegue. Secondo Bellavista un partito, cioè, può svolgere la sua attività nell'agone politico nazionale democraticamente, rispettoso, ligio alle regole della democrazia, ma può nel suo interno essere retto da un principio che capovolga le regole democratiche, che vada cioè non dal basso verso l'alto, ma che dall'alto discenda invece verso il basso come nel caso di alcuni partiti che sono arrivati al potere in forma perfettamente democratica ma, una volta impadronitisi del potere, hanno instaurato la più feroce delle dittature come è accaduto con Hitler in Germania e Mussolini in Italia.
A questo punto il presidente Terracini annuncia che Francesco Colitto del Fronte dell'Uomo Qualunque ha presentato il seguente emendamento all'art. 47 consistente nell'aggiunta del comma "Sono proibite le organizzazioni politiche, il cui scopo sia quello di privare il popolo dei suoi diritti democratici" che, presa la parola per svolgerlo, dichiara di rinunciarvi aderendo a quello di Bellavista, e, nel caso che questo non sia approvato, a quello di Mortati. Il presidente Terracini annuncia che è stato presentato un emendamento aggiuntivo da parte dei commissari democristiani Clerici, Pignedoli, Franceschini, Sullo, Codacci Pisanelli, Bovetti, Foresi, De Palma, Coppi, Benvenuti e Gesumino Mastino consistente nell'inserimento all'art. 47 del seguente comma, ovvero "La carriera di magistrato, di militare, di funzionario ed agente di polizia e di diplomatico, comporta la rinunzia alla iscrizione a partiti politici". Svolge tale emendamento Edoardo Clerici: gli appartenenti a quattro categorie - che la Costituzione deve precisare - debbono durante la loro carriera (e a motivo della loro carriera) essere esclusi o vedersi limitato il diritto di iscrizione a partiti politici. Queste categorie sono in primo luogo i magistrati, in secondo luogo gli agenti ed i funzionari di pubblica sicurezza, in terzo luogo i militari ed in quarto luogo i diplomatici di carriera in quanto costituiscono categorie che, quasi quotidianamente, devono prendere provvedimenti particolarmente rappresentativi dell'autorità dello Stato e quindi devono essere insospettabili quanto a simpatie politiche.
Il presidente Terracini chiede al relatore dell'art. 47 Umberto Merlin di svolgere l'articolo da lui proposto, ed egli sinteticamente ne richiede la votazione esattamente con il testo da lui proposto e chiede a tutti i presentatori di emendamenti di ritirarli. Il presidente Terracini chiede a tali presentatori cosa intendano fare dei loro emendamenti: Mastino, Mortati, Bellavista e Clerici intendono mantenere i rispettivi emendamenti, Sullo lo ritira, Di Giovanni non è presente, quindi il suo emendamento si intende decaduto.
Ferdinando Targetti a nome del gruppo del PSI dichiara che il suo gruppo voterà il testo proposto dalla Commissione mentre Aldo Moro a nome del gruppo della DC dichiara che il suo gruppo voterà l'emendamento proposto da Mortati. Laconi prende la parola a nome del PCI: spiega le ragioni per cui il suo gruppo voterà per il mantenimento della primitiva formulazione dell'articolo e richiama l'attenzione sull'estrema gravità degli emendamenti che sono stati proposti. Spiega che gli emendamenti all'art. 47 relativi all'introduzione di un riferimento all'ordinamento democratico interno dei partiti si rivolge non contro un determinato partito ma contro tutto lo schieramento politico ed in particolare contro quei partiti che in un determinato momento non si trovino al governo. È evidente - spiega l'esponente del PCI - che organi di questo controllo potrebbero unicamente essere o il Governo o la Corte costituzionale, quindi accettare gli emendamenti proposti vorrebbe dire che in futuro la maggioranza parlamentare, di cui tanto il Governo quanto la Corte saranno espressione, potrebbe entrare nella vita interna dei partiti di minoranza con tutti gli abusi immaginabili: la garanzia di democraticità interna ai partiti ed il relativo controllo ci sono già di fatto e ci saranno sempre più, a mano a mano che si svilupperà la vita democratica del Paese, ed è il controllo che gli aderenti stessi esercitano nel proprio partito. Tutti i partiti, infatti, hanno statuti e norme sancite negli statuti alle quali gli aderenti possono sempre appellarsi. Questo è un controllo legittimo ed efficace.
Tristano Codignola del Partito d'Azione a nome del gruppo Autonomista appoggia l'emendamento proposto da Pietro Mastino ma qualora questo cadesse il gruppo Autonomista voterà il testo della Commissione. Girolamo Bellavista rinuncia a questo punto a nome del PLI al suo emendamento a favore dell'emendamento congiunto Mortati-Ruggiero. Roberto Lucifero d'Aprigliano del PLI dichiara di ritenere tutto l'articolo 47 una violazione di quella libertà di associazione che è stata già consacrata per qualsiasi associazione e che voterà sia contro il testo proposto dalla Commissione sia contro qualsiasi emendamento. Tommaso Corsini del Fronte liberale Democratico dell'Uomo Qualunque dichiara che il suo gruppo voterà a favore dell'emendamento Mortati-Ruggiero.
A questo punto Mortati, Ruggiero e Mastino ritirano il loro emendamento. Bellavista dichiara, a proposito dell'emendamento Mortati-Ruggiero, di farlo proprio. Posto in votazione l'emendamento Mortati-Ruggiero fatto proprio da Bellavista non è approvato mentre la discussione sull'emendamento presentato da Clerici ed altri è rinviato al giorno successivo. Andrà a formare il terzo comma dell'art. 98 della Costituzione. Viene posto quindi in votazione ed approvato il testo della Commissione ovvero "...per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale".

Il 20 dicembre 1947 viene distribuito ai deputati il testo coordinato dal Comitato di redazione prima della votazione finale in Assemblea di quello che viene presentato e diventerà l'articolo 49 della Costituzione con il testo "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti, per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale".

Il 22 dicembre 1947 viene approvato il testo dell'art. 49.

Il 1° gennaio 1948 entra in vigore l'art. 49 insieme a tutta la Costituzione.

 
Parte II - Il problema del riconoscimento giuridico dei partiti politici

Il recente disegno di legge n. 260 Finocchiaro-Zanda, facendo espressamente riferimento all'art. 1 dell'art. 49 della Costituzione, stabilisce all'art. 2 intitolato alla "natura giuridica dei partiti politici" che "I partiti politici sono associazioni riconosciute dotate di personalità giuridica, ai sensi dell'articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361". Il disegno di legge poi prosegue agli articoli successivi dettando regole di trasparenza, prescrivendo democraticità interna, elezioni primarie ed altre regole che qui interessano in modo relativo, perché è importante comprendere cosa significa "associazioni riconosciute dotate di personalità giuridica": L'attuale ordinamento giuridico (Libro I del codice civile per la precisione) distingue i soggetti di diritto (ossia i titolari di diritti e di obblighi giuridici) in "persone fisiche" che sono tutti coloro che appartengono al genere umano sin dalla nascita e fino alla morte cerebrale senza alcuna distinzione (Libro I, Titolo I c.c.) e "persone giuridiche" che sono in linea generale ed approssimativa gli enti, ovvero quelle organizzazioni create dalla società umana alle quali il diritto imputa diritti ed obblighi, ovvero le considera con una finzione tipicamente giuridica come se fossero dotati di una vera e propria personalità e volontà (Libro I, Titolo II c.c.) come quando nel linguaggio comune si dice per esempio "lo Stato ha ricevuto in eredità" oppure "la FIAT ha stipulato il contratto di lavoro con i suoi dipendenti" o infine "il Partito marxista-leninista italiano ha affittato la sala dove tenere il Congresso", proprio come se lo Stato, la FIAT o il PMLI fossero persone in carne ed ossa in grado di ragionare ed agire, ed ovviamente in nome e per conto loro ragionano ed agiscono coloro che rispettivamente li rappresentano.
Gli enti (o per usare la terminologia del codice civile le "persone giuridiche" si distinguono a loro volta in enti dotati di autonomia patrimoniale perfetta e di riconoscimento giuridico (disciplinati dal Libro I, Titolo II, Capo II c.c. intitolato "delle associazioni e delle fondazioni" in vigore dal 1942 al 2000 quando alcuni articoli di tale Capo furono sostituiti dal dPR n. 361/2000 richiamato dall'art. 2 del disegno di legge Finocchiaro-Zanda) ed enti privi di autonomia patrimoniale perfetta e privi altresì di riconoscimento giuridico (disciplinati dal Libro I, Titolo II, Capo III c.c. intitolato "delle associazioni non riconosciute e dei comitati" in vigore senza modifiche dal 1942).
Cosa significa "autonomia patrimoniale perfetta" che un ente acquisisce con il riconoscimento giuridico attraverso la procedura ora dettata dal dPR n. 361/2000? Significa semplicemente che il patrimonio dell'associazione riconosciuta viene completamente distinto dai patrimonio individuali dei singoli soci che compongono l'associazione stessa, così che i creditori dell'associazione potranno solo aggredire i beni dell'associazione e non quelli dei singoli associati ed anche i creditori dei singoli associati non potranno aggredire i beni dell'associazione. Al contrario nell'associazione non riconosciuta l'autonomia patrimoniale dell'associazione è imperfetta, ossia il suo patrimonio non è perfettamente distinto da quello dei soci, così che i creditori dell'associazione potranno aggredire anche i beni dei singoli associati (oltre a quelli dell'associazione).
Ovviamente il riconoscimento implica un controllo pubblico anche sui bilanci dell'associazione, e bisogna altresì precisare che quando si parla di "associazioni non riconosciute" dette anche "associazioni di fatto" non ci si riferisce ad organizzazioni illecite o illegali, ma semplicemente ad organizzazioni non regolamentate né sottoposte a controlli - per ciò che riguarda la loro vita interna - da autorità pubbliche.
Premesso che un partito politico è sempre una associazione, ovvero un ente che sorge per volontà di un numero di persone che hanno uno scopo politico comune, all'epoca delle discussioni in seno all'Assemblea Costituente sull'art. 49, come sopra si è visto, la normativa che distingueva nell'ambito delle associazioni tra quelle riconosciute e quelle non riconosciute c'era già nel codice civile che era entrato in vigore pochi anni prima, e a tale distinzione pensavano i costituenti quando (gli esponenti del PCI innanzitutto) pensavano per i partiti a un modello simile a quello disciplinato dall'art. 36 del codice civile che ora come allora dispone nel suo primo comma che "l'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati", ed è interessante vedere che proprio questo era ed è tuttora il modello (già contenuto in una legge ordinaria, perché il codice civile ha valore di legge ordinaria) configurato per i partiti dall'art. 49 della Costituzione nel suo testo definitivo il quale sancisce che "tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti, per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale", laddove l'espressione "associarsi liberamente" ha lo stesso significato degli "accordi degli associati" di cui parla l'art. 36 c.c.
Se invece fosse prevalsa la linea portata avanti soprattutto dal democristiano Mortati che prevedeva, con il pretesto del controllo sulla democrazia interna, la sottoposizione delle associazioni con fine politico (ossia dei partiti) ad una serie di controlli devoluti ad autorità pubbliche si sarebbe fatto riferimento a ciò che era previsto sino all'entrata in vigore del dPR n. 361/2000 dalle norme dettate dagli articoli 12 e seguenti del codice civile per le associazioni dotate di personalità giuridica ovvero riconosciute che prevedevano l'iscrizione dell'atto costitutivo, dello statuto e delle rispettive delibere di modificazione nel registro delle persone giuridiche tenuto dall'autorità governativa la quale poteva decretare anche d'ufficio lo scioglimento dell'associazione. Forte quindi era ed è tuttora il controllo del Governo (per le associazioni riconosciute di carattere nazionale) e delle prefetture (per le associazioni di carattere locale) nei confronti delle persone giuridiche, e se fosse passata la linea del DC Mortati i partiti politici sarebbero dovuti passare sotto un vaglio governativo (o della Corte costituzionale, che però entrò in funzione effettivamente nel 1953 ossia cinque anni dopo l'entrata in vigore della Costituzione): insomma, il PCI paventava un controllo che inevitabilmente sarebbe stato nell'immediato di tipo governativo, con il rischio concreto che il metodo del centralismo democratico fosse giudicato dai democristiani eversivo rispetto a quelle formazioni politiche "che si uniformino al metodo democratico nell'organizzazione interna" come si legge nell'ultima formulazione dell'emendamento di Mortati, e la posta in gioco era altissima, e cioè la stessa possibilità che il PCI venisse messo fuori legge.
Ora, a ben guardare, il disegno di legge n. 260 presentato da Finocchiaro e Zanda ripropone tesi molto simili a quelle proposte dai democristiani e dai liberali costituenti dal momento che l'art. 2 del ddl richiama l'art. 1 del dPR n. 361/2000 il cui terzo comma dispone che "ai fini del riconoscimento è necessario che siano state soddisfatte le condizioni previste da norme di legge o di regolamento per la costituzione dell'ente, che lo scopo sia possibile e lecito e che il patrimonio risulti adeguato alla realizzazione dello scopo", riconoscimento che una associazione ottiene previo deposito della documentazione statutaria presso il registro delle persone giuridiche che si trova in ogni Prefettura la quale svolge una serie di controlli sull'ente, anche durante la vita di esso. Le Prefetture insieme alle Regioni poi sono tenute ad "attivare collegamenti telematici per lo scambio dei dati e delle informazioni" sull'ente riconosciuto. Come si vede, quindi, il ddl n. 260 vuole portare i partiti politici nella stessa direzione voluta dai costituenti democristiani e liberali.

24 luglio 2013