Assad bombarda il suo popolo
Gli imperialisti USA, ONU e NATO stiano lontani dalla Siria

L'esercito siriano ha preso il 13 giugno il controllo della città di Jisr al-Shughour, nel nord-ovest del paese presso il confine con la Turchia che nei giorni precedenti era stato attraversato da circa 7 mila profughi. Sotto assedio dal 10 giugno, circondata da 15 mila soldati delle truppe speciali dell'esercito sostenute da 40 carri armati, la città era stata colpita da un pesante bombardamento che aveva preceduto l'attacco.
Gran parte della popolazione era fuggita oltre il confine o in accampamenti di fortuna poco fuori la città. E sono stati i profughi a raccontare del bombardamento governativo e della resistenza opposta da reparti dell'esercito che si erano ammutinati.
Il 6 giugno più di 120 militari dell'esercito e della sicurezza siriani erano stati uccisi a Jisr al-Shughour; secondo attivisti dell'opposizione e residenti erano stati colpiti dalle forze di sicurezza perché si erano rifiutati di sparare sui civili mentre per il governo di Damasco erano stati uccisi da "bande di terroristi". "Lo stato non rimarrà con le braccia incrociate ma agirà con mano ferma e con la forza, pur nei limiti della legge" aveva promesso il ministro degli Interni Mohammad Ibrahim Al-Shaar, preannunciando la rappresaglia.
Il Coordinamento dei comitati locali, l'organismo che si sta accreditando come il portavoce delle proteste e dell'opposizione denunciava che la polizia aveva sparato sui civili anche l'11 giugno a Maraat al-Numan, nella regione di Aleppo che è la seconda città del paese, provocando 23 vittime e in altri 2 villaggi della provincia. Altre manifestazioni contro il governo di Damasco, con migliaia di partecipanti, si erano tenute il 10 giugno nelle città curde del nord del paese, a Deir al Zour, ad Hama, Homs e Latakia, nonostante la presenza dell'esercito, e in località minori dove si erano registrate 22 vittime; come nella regione a maggioranza drusa di Suwaydà e in diversi quartieri della capitale a partire da quella nel sobborgo di Qaboun, dove un migliaio di persone hanno sfilato nella strada principale prima di essere bloccati dall'intervento dell'esercito che ha causato due vittime.
Sarebbero oltre 1.200 le vittime della polizia in tre mesi di proteste e più di 10 mila i dimostranti arrestati, diverse migliaia i profughi riparati in Turchia o in Libano.
Il presidente Bashar Al-Assad bombarda il suo popolo, usa il pugno di ferro per arginare una protesta popolare che era iniziata il 18 marzo nella cittadina meridionale di Daraa per chiedere riforme e protestare contro la repressione e che si è allargata a macchia d'olio in varie parti del paese. Da una parte Assad ha cambiato il governo, posto fine allo stato di emergenza e annunciato riforme democratiche e la libertà di stampa ma dall'altra ha inviato l'esercito a soffocare i centri di una protesta popolare che ha preso campo organizzata da comitati cittadini o di quartiere i cui rappresentanti hanno dato vita al Coordinamento dei comitati locali delle proteste.
Il quotidiano filogovernativo Al-Watan annunciava il 13 giugno che entro pochi giorni sarebbe iniziata la conferenza per il "dialogo nazionale", promossa dal governo con i rappresentanti dell'opposizione. Il Coordinamento dei comitati locali ha chiesto che prima dell'inizio dei lavori cessino le violenze dell'esercito, siano liberati i prigionieri politici e sia garantita la libertà d'opinione. La proposta per una soluzione politica avanzata dal Coordinamento contiene la richiesta delle dimissioni di Bashar Al-Assad e una transizione verso un sistema democratico che comprenda la scrittura di una nuova costituzione entro sei mesi. Obiettivo della proposta quello di "impedire che la Siria scivoli nel caos e garantire un pacifico trasferimento di poteri".
Gli oppositori hanno accusato il regime di Damasco di fomentare gli scontri fra le componenti religiose e etniche, durante le proteste uno degli slogan è stato "il popolo siriano è uno". Chiedono inoltre una ferma condanna della comunità internazionale ma si sono dichiarati contrari a un intervento armato.
Una presa di posizione corretta perché gli imperialisti Usa, Onu e Nato devono stare lontano dalla Siria. Su iniziativa di Francia e Gran Bretagna, che per primi si erano mossi a promuovere l'intervento armato imperialista in Libia, l'Onu ha iniziato l'8 giugno la discussione di una risoluzione di condanna della repressione delle proteste da parte del regime di Damasco. La risoluzione non contiene riferimenti a un possibile intervento armato per l'opposizione di Cina e Russia ma ne rappresenta un primo passo. Il presidente americano Obama, nell'appoggiare la mozione di Francia e Gran Bretagna, oltre a chiedere "al governo siriano di porre fine alle violenze" ha chiesto a Damasco di "dare immediato accesso alla Croce Rossa Internazionale (ICRC, nella sigla inglese) senza alcuna restrizione", poiché è responsabile di aver creato "una crisi umanitaria nel nord del Paese". Come ha insegnato la vicenda della Libia, per l'imperialismo a crisi umanitaria si risponde con l'intervento "umanitario" dei cacciabombardieri.

15 giugno 2011