Il regime di Assad continua nella repressione della protesta popolare
L'opposizione interna rifiuta l'intervento militare straniero

L'esercito di Assad ha continuato a bombardare varie zone delle città di Hama, Homs e Deir al-Zor e ha riconquistato il 15 marzo il controllo della città di Idlib, nella Siria nord occidentale; altre decine di vittime civili si sono sommate alle oltre 7 mila dall'inizio della rivolta popolare, giusto un anno fa, il 15 marzo 2011. Non è riuscito però a evitare attacchi fin dentro la capitale Damasco, con l'irruzione nella notte tra il 18 e il 19 marzo di alcuni uomini armati nel quartiere super protetto di Mezzeh, zona di ambasciate e residenze dei funzionari del governo.
Il 19 marzo a Damasco almeno duecento persone sono state arrestate per aver preso parte a una manifestazione contro il regime di Assad convocata dal Coordinamento nazionale per il cambiamento democratico (Cncb), il principale gruppo di opposizione all'interno del paese; la manifestazione si era svolta al termine di una cerimonia funebre per commemorare le vittime delle autobomba che il 17 marzo sono esplose a Damasco e ad Aleppo, seconda città del paese, nei pressi di sedi dei servizi governativi, uccidendo 27 persone, tra cui molti civili.
L'annuncio fatto dal governo di Assad di convocare le elezioni legislative per il prossimo 7 maggio, in applicazione della nuova costituzione approvata a febbraio e respinta dalle opposizioni che l'hanno definita una farsa di democrazia, suona come una tragica presa in giro che accompagna la repressione della protesta popolare.
Il 16 marzo è arrivato in Siria il primo gruppo di diplomatici dell'Onu e dell'Organizzazione per la cooperazione islamica (Oci), che d'intesa col governo di Damasco dovrebbe valutare la situazione sul campo e verificare se ci sia la possibilità di mandare osservatori internazionali per la verifica di una tregua negli scontri che è ancora lontana dal realizzarsi.
Non è riuscito il primo tentativo dell'inviato speciale dell'Onu, il ghanese e ex segretario generale Kofi Annan, di riuscire a porre le basi di una soluzione politica per la crisi siriana. Annan è tornato al Palazzo di vetro con niente in mano dal giro iniziato il 10 marzo a Damasco e concluso tre giorni dopo a Ankara. A sostegno dei suoi tentativi diplomatici si è mossa la Francia che ha fatto circolare una bozza di dichiarazione da portare in Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. L'imperialismo francese morde il freno perché vorrebbe tornare a spadroneggiare nella ex colonia Siria, anche alla guida di un intervento militare come quello che gli ha permesso di accaparrarsi una fetta del petrolio libico sottratta al concorrente imperialismo italiano, ma al momento si deve accontentare di iniziative diplomatiche. Che hanno raccolto il consenso della Russia; il ministro degli Esteri di Putin dichiarava la disponibilità della Russia a firmare un documento sulla Siria purché non si tratti di ultimatum.
Anche l'imperialismo russo, che assieme a quello cinese ha stoppato per il momento all'Onu l'escalation montata da Usa, Arabia Saudita, Qatar e Turchia per arrivare all'intervento militare, ha il problema di come risolvere la questione siriana per non perdere il legame col governo amico di Damasco che gli garantisce un approdo per la propria flotta nel Mediterraneo, a Tartus, e basi di appoggio all'interno del paese. Una soluzione modello Libia lo taglierebbe fuori, sostiene Assad, per ora, ma ha contatti anche con l'opposizione per restare nel paese anche nel dopo-Assad.
Sulla testa del popolo siriano sono diverse le potenze imperialiste occidentali e i paesi arabi reazionari a giocare una partita che sembrerebbe nel nome della "democrazia" e dell'intervento "umanitario" a favore della popolazione. Assad massacra il suo popolo e offre il pretesto su un piatto d'argento.
L'opzione militare è al momento parcheggiata in attesa di momenti più opportuni ma è sul tavolo del Pentagono. I piani di attacco sono pronti e vanno da quello che prevede una campagna di bombardamenti aerei di più settimane contro le difese aeree siriane per imporre una "no-fly zone" a "difesa" dei civili, all'intervento militare indiretto per costruire, con aiuti economici e l'intervento dei servizi una "resistenza siriana" in grado di assumere anche il controllo di vaste aree "liberate".
Quanto sembra stia in parte già succedendo in Siria coi finanziamenti della Casa Bianca e dell'Arabia saudita all'opposizione all'esterno del paese e l'infiltrazione di miliziani sunniti provenienti da vari paesi arabi fra i quali la Libia. Per non parlare del cosiddetto Esercito di liberazione siriano, sponsorizzato dalla Turchia.
L'ipotesi di un intervento militare diretto era inizialmente sostenuta dal Consiglio nazionale siriano (Cns) di Burhan Ghalioun, un'organizzazione che raccoglie oppositori siriani all'estero e che gode del sostegno anche economico del blocco imperialista occidentale e dei paesi arabi reazionari. Solo il 14 marzo Ghalioun, in una conferenza stampa dal suo quartier generale di Ankara, ha promesso la "piena cooperazione" del Cns sull'obiettivo di una soluzione politica e diplomatica a cui lavora Annan.
Il Cns è nato nell'agosto scorso scindendosi dal Coordinamento nazionale per il cambiamento democratico che ha sempre avuto e mantiene la posizione del no all'intervento militare esterno. Il Cncd che riunisce gran parte dei gruppi di opposizione all'interno del paese è diretto da Haytham Manna che in una recente intervista ha denunciato che "la Siria diventa un terreno di scontro per le strategie delle grandi potenze. Vorrebbero trasformarci in rivoluzionari a comando, chi per la guerra all'Iran, chi per lo scontro fra sciiti e sunniti, chi per creare un asse sunnita dal Golfo alla Turchia. Noi diciamo grazie a tutti, ma la soluzione è siriana". Manna respingeva anche la proposta di istituire dei corridoi umanitari per sostenere la popolazione delle città assediate e bombardate dai militari di Assad: "è una pessima idea: implica la presenza di militari stranieri in Siria. Meglio, piuttosto, imporre al regime di levare l'assedio attraverso le pressioni di tutti i paesi, con l'aiuto della Croce rossa e delle ong dell' Onu".
Il Cncd è nato nel giugno scorso per coordinare una protesta popolare che inizialmente era partita con la rivendicazione di alcune riforme democratiche e la fine delle leggi di emergenza ma che dopo la repressione violenta delle proteste da parte del governo aveva alzato il tiro e chiesto le dimissioni di Assad e la fine del suo regime. Con Assad non è più possibile negoziare, affermano i dirigenti del Cncd, che ribadiscono i loro punti di riferimento, dal no alla repressione e alle guerre di religione al no all'intervento militare esterno e sottolineano che "per trovare una soluzione ci potrebbe volere, purtroppo, molto tempo, ma sarà molto più breve di qualsiasi intervento militare. Noi non vogliamo una patria senza il diritto di cittadinanza civile, e non vogliamo essere cittadini in un paese senza sovranità".

21 marzo 2012