La storia dell'assistenza in Italia Critica della legge Il principio di sussidiarietà

Stracciati gli articoli 2, 3, 38 e 117 della Costituzione
AFFOSSIAMO LA LEGGE QUADRO SULL'ASSISTENZA CHE CANCELLA LO "STATO SOCIALE''
Privatizzati e scaricati sulla famiglia e sulla donna i servizi sociali
SOPPRESSO IL DIRITTO UNIVERSALE AI SERVIZI SOCIALI E ALL'ASSISTENZA

Documento dell'Ufficio politico del PMLI
Il 18 ottobre 2000 il Senato ha approvato in via definitiva - con 130 voti a favore ("centro sinistra''), 33 astenuti (Polo) e 12 contrari (PRC e Lega Nord) - la "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali'', ossia la famigerata "riforma'' dell'assistenza.
Una legge marcatamente neofascista perché fondata sui principi liberisti e cattolici della "sussidiarietà'', del familismo e del federalismo, perché straccia la Costituzione democratico-borghese del '48, e in particolare i suoi articoli 2, 3, 38 e 117, e perché fa terra bruciata di tutte le conquiste sociali ottenute dal movimento operaio, femminile e popolare in decenni di dura lotta.
Tutte queste questioni vengono trattate in articoli ad hoc su questo stesso numero de Il Bolscevico.
Questa legge, che va ad aggiungersi alle recenti controriforme del sistema pensionistico e della sanità, completa sostanzialmente da un punto di vista di principio e normativo la cancellazione dello "Stato sociale'' e adegua la politica sociale del regime alla seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista. Un obiettivo questo da sempre perseguito dai padroni per liberare risorse dalla spesa sociale e assistenziale e dirottarle sulle imprese e il mercato, rendere competitivo il sistema capitalistico, dotare l'Italia degli strumenti anche militari necessari per divenire una grande potenza in campo mondiale. Un obiettivo voluto dalla destra, per ultimo dal governo Berlusconi che ne aveva fatto una bandiera del suo programma, ma che significativamente è stato concretamente realizzato, in tutti questi settori cruciali per la vita dei lavoratori e delle masse, dai governi di "centro sinistra'', da Prodi, a D'Alema, a Amato, che hanno fatto proprie e fino in fondo le esigenze del grande capitale italiano, del papa e del Vaticano.
Peraltro, dopo un travagliato iter parlamentare iniziato nel febbraio 1997 sulla base di un disegno di legge governativo approvato dall'allora governo Prodi su proposta della ministra diessina della solidarietà sociale Livia Turco, la legge è arrivata in porto grazie a un vergognoso accordo politico raggiunto nei giorni precedenti tra il governo e il Polo (si dice proprio fra la Turco e Formigoni). Il governo si è infatti impegnato a inserire nella legge finanziaria in discussione un emendamento per far sì che le risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali, regolato dalla legge-quadro, siano ripartite tra le Regioni senza vincolo di destinazione. Emendamento che è stato già approvato dalla Commissione affari sociali. Il Polo, incassata questa ulteriore e qualificante concessione federalista, ha accettato di buon grado di ritirare i suoi oltre 600 emendamenti e di astenersi al voto finale permettendone così il varo definitivo.
A ragione Livia Turco ha parlato di "una legge di portata storica''. In effetti di una legge storica si tratta, non perché essa va a sostituire una normativa che risale addirittura alla legge Crispi del 1890, ma perché essa ribalta completamente tutta la politica sociale e assistenziale dell'Italia repubblicana che almeno formalmente attraverso la Costituzione voleva garantire il diritto universale all'assistenza attraverso un sistema di prestazioni e servizi sociali pubblico, gratuito, omogeneo su tutto il territorio nazionale, che mirasse non solo a coprire i bisogni più urgenti, ma a promuovere lo sviluppo e il benessere economico e sociale dei lavoratori e delle masse.
Questa legge al contrario sopprime il diritto universale all'assistenza sociale in nome del principio liberista, cattolico e anticostituzionale della "sussidiarietà'' - secondo il quale lo Stato interviene solo dove il mercato e la famiglia non riescono ad arrivare - e il principio liberista della "compatibilità'' finanziaria e di bilancio che subordina il godimento di diritti fondamentali e inderogabili, come quello all'assistenza, alle "risorse disponibili''.

UNA LEGGE ANTIFEMMINILE
Si instaura così lo "Stato sociale'' minimo, residuale, paternalistico che elargisce solo elemosine ai poveri, com'è il caso del "salario minimo di inserimento'', in un quadro più di "ordine pubblico'' che di sicurezza sociale, e fondato sul ruolo di supplenza svolto dalle donne in famiglia.
La legge-quadro infatti assegna alla famiglia un ruolo centrale nella politica sociale proprio come ai tempi di Mussolini e come da sempre rivendicano il papa e il Vaticano. La famiglia, e al suo interno la donna, torna ad essere la maggiore produttrice e finanziatrice dei servizi sociali. Su di essa lo Stato scarica tutti gli oneri economici, finanziari e organizzativi che tradizionalmente gli competevano. Tutte le misure di sostegno alla famiglia contenute nella legge, come "assegni di cura'', sgravi fiscali, ecc., che vanno a sostituire l'assistenza a domicilio o l'accesso a strutture sociali di assistenza e cura, sono finalizzate a valorizzare e preservare un modello di famiglia tradizionale, retrogrado e cattolico dove, secondo lo stesso diritto canonico, vi è il dovere alla "mutua assistenza'' e dove la donna si accolla il peso maggiore se non esclusivo di tutto il cosiddetto "lavoro di cura'' passando la vita murata in casa, ad assistere figli, marito, genitori, suoceri anche se malati, non autosufficienti e bisognosi di assistenza continua.
Attraverso il cosiddetto "riccometro'' anche i costi dei pochi servizi sociali pubblici o le prestazioni convenzionate verranno comunque scaricati sulle famiglie. Infatti, non solo vengono cancellati i diritti sociali collettivi, ma anche il diritto individuale all'assistenza: già da ora i Comuni chiamati a erogare prestazioni e servizi di assistenza non prendono come riferimento solo il reddito o la condizione di chi ne fa richiesta ma quello complessivo della famiglia, spesso allargandola oltre la sua composizione anagrafica, trasformando il principio della "solidarietà sociale'' contenuto nella Costituzione, in un dovere di "solidarietà familiare'' all'interno delle famiglie e fra famiglie stesse attraverso il riconoscimento e la valorizzazione delle forme di "auto-aiuto'' o del reciproco sostegno fra famiglie.

UN REGALO AL MERCATO PRIVATO
Non più garante della concreta soddisfazione dei diritti sociali delegati alla famiglia, lo Stato si ritaglia pertanto il ruolo di regolatore, sostenitore e finanziatore del mercato dei servizi sociali attraverso una serie di misure di liberalizzazione e di privatizzazione di ciò che è pubblico, per esempio delle Ipab, che assicureranno una pioggia di miliardi ai privati, e riconoscendo e valorizzando il ruolo degli erogatori di servizi privati e del cosiddetto "terzo settore'' (Onlus, associazioni, cooperative, enti, fondazioni, organizzazioni del volontariato) non solo nell'ambito dell'erogazione ma anche in quello della programmazione e organizzazione, di concerto con gli enti locali, di tutta la rete dei servizi sociali. Cosicché l'assistenza, come già la sanità o le pensioni, diventano una merce come un'altra, soggetta alle leggi del massimo profitto capitalistico, della economicità, della precarizzazione del lavoro, della domanda e dell'offerta. Ed è una pia illusione, come peraltro dimostra l'esperienza, che il "terzo settore'' (ossia gli organismi privati non profit) possa sottrarsi a questa logica capitalista senza rimanere completamente schiacciato da un mercato privato così liberalizzato, non contrastato, ma anzi sostenuto e finanziato direttamente dallo Stato.
Quel che risulta chiaro è che in un simile sistema la povertà, l'abbandono e l'emarginazione, le disuguaglianze sociali e di classe si approfondiranno ancora di più. I ricchi potranno accedere a servizi privati di serie A beneficiando anche di sgravi fiscali, e i poveri, i lavoratori, i pensionati a basso reddito e le loro famiglie dovranno accontentarsi di servizi di serie B sempre più ridotti e scadenti.

L'ENNESIMA MAZZATA AL SUD
Allo stesso tempo la legge-quadro ispirata a un forte federalismo approfondirà le disuguaglianze territoriali, specie fra Nord e Sud del Paese, fra le regioni ricche e le regioni povere e la frantumazione dello Stato. Alle nuove Regioni-Stato e ai nuovi Comuni podestarili vengono infatti assegnati tutti i veri poteri di programmazione, organizzazione, gestione e verifica del sistema di servizi sociali. Saranno loro, dotati di piena autonomia amministrativa e fiscale, ad amministrare i fondi trasferiti dallo Stato, a stabilire quanti e quali servizi saranno erogati, cosa sarà pubblico e cosa sarà privato, i criteri e i costi a carico degli utenti per accedere all'assistenza sociale. Essi potranno persino decidere di imporre limiti nell'accesso della popolazione immigrata ai servizi sociali. Cosicché avremo tante assistenze sociali diverse l'una dall'altra, per distribuzione, prestazioni, qualità, efficacia, tariffe. Nascere, vivere, ammalarsi a Caltanissetta non sarà mai come nascere, vivere, ammalarsi a Milano. Anche questo è un modo per sopprimere il diritto universale all'assistenza perché lo Stato rinuncia a garantire diritti certi e esigibili in modo omogeneo ed egualitario in tutto il Paese.

PER UNA ASSISTENZA STABILE E UNIVERSALE
Per tutto quanto detto fin qui risulta chiaro che questa legge va soppressa. Non certo per tornare alla situazione precedente o per invocare l'applicazione piena della Costituzione del '48 - come fanno i dirigenti neorevisionisti e trotzkisti di Rifondazione -, che ha già dimostrato di essere inservibile per gli interessi della classe operaia e delle masse popolari.
La verità è che in Italia non vi è mai stato un vero e proprio "Stato sociale'' perché esso non può esistere nella società capitalistica dove lo Stato è l'espressione della classe dominante borghese. Ciò che è stato realizzato sul piano dei diritti sociali, dalla previdenza alla sanità pubbliche, dai servizi sociali e assistenziali all'istruzione pubblica, è sempre stato il frutto di una dura e prolungata lotta di classe. Ciononostante tali conquiste si sono dimostrate in regime capitalistico delle conquiste parziali, disattese nella pratica, temporanee che non hanno impedito il formarsi di una vasta area di povertà, che le ultime cifre Istat stimano in oltre 7 milioni di persone, di emarginazione e abbandono sociale, ingiustizie e disuguaglianze sociali e territoriali.
Una stabile e universale assistenza sociale può esistere solo se tutto il potere politico è saldamente nelle mani della classe operaia, l'unica classe che ha veramente a cuore il benessere e il progresso economico, sociale, culturale, morale di tutto il popolo. Il potere politico è la madre di tutte le questioni.
Tenendo fermo questo obiettivo, occorre adesso battersi per affossare questa legge, far risalire la china della lotta di classe e strappare nuove importanti conquiste economiche e sociali e fra queste il diritto universale all'assistenza pubblica e a una rete di servizi sociali pubblici e gratuiti per gli anziani, i bambini, i portatori di handicap fisici e mentali, i tossicodipendenti, gli invalidi, i disoccupati, le donne, gli immigrati e per tutti i lavoratori, impugnando con forza il nuovo Programma d'azione del PMLI che è in via di elaborazione.
Indipendentemente dal governo che sarà chiamato nella prossima legislatura a curare gli interessi della classe dominante borghese in camicia nera - che dovrà comunque essere indebolito e delegittimato da un forte astensionismo elettorale -, l'Italia unita, rossa e socialista resta l'obiettivo strategico dei marxisti-leninisti e di tutti coloro che vogliono combattere e abbattere la seconda repubblica.
Coi maestri vinceremo!

L'Ufficio politico del PMLI


Firenze, 7 Novembre 2000