Sentenza ingiusta
Assolti i poliziotti che pestarono Cucchi
Il pubblico in aula grida "Vergogna! Assassini!" contro i giudici

È profondamente ingiusta la sentenza di primo grado emessa dalla Corte d'Assise di Roma sulla morte del giovane Stefano Cucchi, una settimana più tardi al reparto di medicina protetta dell'ospedale Sandro Pertini di Roma dopo un violentissimo pestaggio, un vero e proprio massacro, come avrebbero poi dimostrato in tutta la loro spaventosa realtà le agghiaccianti foto scattate all'obitorio e diffuse dai familiari del giovane: sei medici sono stati condannati a due anni di reclusione per omicidio colposo e, in un caso, falso ideologico con pena sospesa per tutti, mentre sono stati assolti tre infermieri e tre appartenenti al corpo della polizia penitenziaria.
Le pene sono state notevolmente ridotte rispetto alla richiesta dell'accusa di condanna per tutti e 12 gli imputati. Il pubblico ministero aveva contestato ai sei medici e ai tre infermieri il reato di abbandono di incapace tanto da chiedere per i medici pene tra i sei anni e otto mesi e i cinque anni e mezzo mentre per gli infermieri quattro anni ciascuno mentre - ed è questo l'aspetto veramente scandaloso - per gli appartenenti al corpo della polizia penitenziaria, che comunque lo stesso rappresentante della pubblica accusa riteneva responsabili del violentissimo pestaggio che avrebbe condotto poi il giovane alla morte, aveva chiesto due miseri anni di reclusione. La sentenza sulla morte di Stefano Cucchi è arrivata dopo ben sette ore e mezza di camera di consiglio, segno evidente dei profondi dissidi sorti in seno al collegio giudicante composto da due magistrati e da sei giudici popolari.
Comunque la sensazione chiara è che i sei medici siano stati il capro espiatorio per placare l'indignazione pubblica che altrimenti si sarebbe scaricata sui tre agenti di polizia penitenziaria Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici assolti per insufficienza di prove ed accusati dallo stesso PM - peraltro con mano assai leggera - solo di lesioni e abuso di autorità per avere picchiato (ma le fotografie del cadavere di Cucchi effettuate dopo l'autopsia mostrarono a tutti l'orrore di un vero e proprio massacro) nelle camere di sicurezza del tribunale Stefano Cucchi in attesa dell'udienza di convalida: infatti la procura aveva raccolto forti elementi di prova che dimostravano che il giovane era stato brutalmente pestato nelle celle di sicurezza del tribunale prima di venire portato nel reparto detenuti dell'ospedale Pertini dove arrivò in gravi condizioni, e del resto è inequivocabile la deposizione fatta tre anni fa in procura da un immigrato clandestino africano, il quale parlò all'epoca di avere udito un violento pestaggio avvenuto nella cella di Cucchi, teste che però è sparito da tre anni e non si è presentato a testimoniare.
La lettura del dispositivo della sentenza nell'aula del carcere romano di Rebibbia dov'era riunita la Corte d'Assise del tribunale della capitale, è stata accompagnata dalle grida del pubblico, "vergogna" e "assassini" all'indirizzo dei giudici, ritenuti responsabili di avere insabbiato la verità condannando i medici che certo non sono esenti da colpe ma assolvendo vergognosamente gli autori di un vero e proprio massacro perpetrato sul corpo gracile dello sfortunato giovane.
Le parti civili - i familiari di Stefano Cucchi - si sono subito dichiarate indignate per la sentenza, così come Lucia Uva, sorella di Giuseppe Uva che fu massacrato a morte a Varese nel 2008 dai carabinieri.
L'assoluzione dei tre appartenenti alla polizia penitenziaria del resto non stupisce perché in realtà la magistratura ci va assai cauta con le cosiddette "forze dell'ordine" a cominciare dai suoi massimi vertici, com'è accaduto al G8 di Genova, fino ai gradi intermedi e più bassi, come dimostrano le sentenze che hanno condannato a sei mesi di reclusione (non è un errore, sono proprio sei mesi!) i tre delinquenti in divisa della polizia di Stato Mis, Miraz e De Biasi per avere brutalmente assassinato a Trieste nel 2006 il disabile Riccardo Rasman, e come altresì dimostrano le sentenze che hanno condannato gli appartenenti alla stessa combriccola poliziesca Segatto, Forlani, Pontani e Pollastri, condannati a tre anni e mezzo di reclusione per avere brutalizzato a morte nel 2005 a Ferrara il giovane Federico Aldrovandi.
E poi c'è il massacro di Giuseppe Uva in una caserma dei carabinieri a Varese nel 2008 e nonostante i numerosi colpi battuti finora dalla sorella per conoscere la fin troppo chiara verità, dalla cosiddetta "benemerita" non si è udito alcun rumore, come tutto tace anche in casa della polizia penitenziaria, chiamata in causa per l'assassinio di Giuseppe Lonzi massacrato (le foto lo dimostrano chiaramente) nel 2003 nel carcere di Livorno, in una spirale interforze di menzogne e di atti che devono essere violentemente denunciati davanti all'opinione pubblica non come "abusi" ma come "azioni criminali" senza giri di parole perpetrati da strutture poliziesche che agiscono come accadeva nel ventennio mussoliniano.

19 giugno 2013