Alle elezioni amministrative parziali del 6 e 7 giugno 2009
L'astensionismo al 34% alle provinciali. Al 27,1% nei comuni capoluogo
Il "centro-sinistra" crolla nelle sue roccaforti e cede al nuovo partito del fascio già al primo turno 15 province e 6 comuni capoluogo. I falsi partiti comunisti arrancano soprattutto fra l'elettorato operaio del Nord
Compito dei veri comunisti è quello di unirsi al PMLI e costruire le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo

Il 6 e 7 giugno, in concomitanza con le elezioni europee, di cui ci siamo occupati sul numero scorso, si sono tenute le elezioni per il rinnovo di 62 consigli provinciali e di 4.281 consigli comunali, di cui 30 comuni capoluogo.
In queste elezioni amministrative parziali, come già nelle europee, l'astensionismo (diserzione alle urne, schede nulle e bianche) risulta un dato assai significativo che testimonia il solco sempre più profondo che divide una grande fetta di elettorato, mediamente oltre un terzo, dalle istituzioni rappresentative borghesi e dai suoi partiti ad ogni livello, anche quello locale che pure teoricamente dovrebbe essere quello più vicino.
Nelle 62 province che rappresentano 29.768.343 elettori, gli astensionisti sono stati 10.131.252 pari al 34%. L'incremento rispetto alle precedenti provinciali è dell'1,5%. Prendendo come riferimento solo la diserzione alle urne essa è aumentata complessivamente (esclusa la provincia di Pordenone) del 3,9% rispetto alle precedenti provinciali passando dal 25,6% del 2004 al 29,5% attuale.
In tutti i comuni interessati, che rappresentano 18.419.204 elettori, la diserzione alle urne è cresciuta del 2,6%, passando dal 20,7% al 23,3%. L'astensionismo totale nei soli 30 comuni capoluogo è incrementato dell'1,5% passando dal 25,6% al 27,1%.
Il record dell'astensionismo alle provinciali spetta soprattutto alle regioni centrali e del Sud, ossia Toscana, Emilia-Romagna, Abruzzo e Puglia. Arezzo (+3,4%), Livorno (+3,7%), Pisa (+4,8%), Bologna (+3,1%), Parma (+4,2%), Chieti (+7%), Pescara (+4,7%), Teramo (+4,5%), Lecce (+3,4%), Taranto (+4,9%). Solo in 9 province diminuisce ossia a Bergamo, Brescia, Cremona, Cuneo, Lecco, Piacenza, Prato, Sondrio.
Nei comuni capoluogo il record spetta invece a Pescara (+8,8%), Bologna (+4,4%), Foggia (+4,2%), Forlì (+3,9%), Teramo (+3,8%) e Livorno (+3,7%).
Diminuisce ad Ancona, Avellino, Bari, Bergamo, Biella, Brindisi, Imperia, Pavia, Verbania.
Sia alle provinciali che alle comunali l'astensionismo complessivo cresce meno della diserzione alle urne. Ciò per effetto della forte diminuzione delle schede nulle e bianche che sempre meno incidono sul dato complessivo dell'astensionismo e rafforza invece la componente della diserzione, cioè del rifiuto netto e aperto di tutti i partiti del regime in lizza e dei loro candidati.
In certi casi il calo delle nulle e delle bianche rende negativo il raffronto dell'astensionismo complessivo. È il caso di Bari dove la diserzione è aumentata dello 0,9% ma l'astensionismo è diminuito per effetto delle nulle e delle bianche che sono passate da 15.961 a 9.501.
A Bergamo, per esempio le nulle e le bianche sono più che dimezzate passando da 3.439 a 1.602. A Biella sono passate da 2.034 a 1.105. A Bologna le bianche e le nulle passano da 9.624 a 6.069.
Questi dati dell'astensionismo sono particolarmente significativi vista la distribuzione geografica delle province e dei comuni coinvolti in questa tornata elettorale. Infatti essi sono concentrati soprattutto al Nord e al Centro, mentre scarsi sono i centri del Sud e nulli o quasi in Sardegna e in Sicilia. Insomma, questa volta l'astensionismo non si è potuto avvalere dell'ormai storico e stratosferico astensionismo che coinvolge le regioni meridionali e le Isole. Si tratta inoltre di province e comuni per lo più in mano al "centro-sinistra" e situate in regioni da sempre governate dal PCI revisionista e dai suoi derivati come l'Emilia-Romagna, la Toscana e l'Umbria.

L'astensionismo è un voto
L'elettorato che si è astenuto ha espresso oggettivamente un voto indipendentemente dal fatto che abbia voluto esprimere o no un voto al PMLI seguendo la sua indicazione. È un voto con cui ha scelto di non premiare i governi borghesi centrale e locali sia di "centro-destra" che di "centro-sinistra". È un voto di delegittimazione, di rifiuto e di abbandono a se stesse delle istituzioni rappresentative borghesi ad ogni livello e dei partiti che le rappresentano. L'elettorato italiano è ormai un elettorato maturo che è in grado di scegliere chi votare. Chi in così larga misura ha scelto di astenersi è perché ritiene in questo modo di esprimere il proprio vero voto. Tant'è che anche quest'anno si è verificato il caso di elettori che pur recandosi alle urne hanno rifiutato le schede di una consultazione piuttosto di un'altra come è successo a Firenze.
L'astensionismo non contraddice affatto il diritto di voto conquistato attraverso l'abbattimento del regime fascista di Mussolini. Esso è parte integrante dell'esercizio di questo diritto, altrimenti recarsi alle urne diventa un dovere coercitivo e non più una libera scelta dell'elettore, un obbligo a riconoscersi e quindi a votare i partiti e i candidati della destra o della "sinistra" borghese.
Parlare di "non voto" come fanno il governo, le istituzioni borghesi e gli analisti in genere, non è dunque corretto. Chi non si reca alle urne, chi lascia la scheda nulla o in bianco esprime un voto che si chiama astensione. Del resto non è così anche in tutti i consessi, a partire dal parlamento, dove è espressamente previsto il voto contrario, il voto a favore e l'astensione?

Il "centro-sinistra" in caduta libera
Se il risultato del PD alle europee era stato pessimo, alle amministrative è stato un vero disastro. Su 59 province (escluse quindi le tre nuove province) dove si è votato, il "centro-sinistra" ne governava 50, il "centro-destra" solo 9.
Dopo il 1° turno il "centro-sinistra" ne ha riconfermate solo 14 mentre ne ha già cedute 15 al "centro-destra" e in 21 è stato costretto ad andare al ballottaggio. Clamorosi i casi di Avellino, Bari, Napoli, Pescara, Salerno e Teramo dove vi è stato un vero e proprio ribaltamento, infatti sono state cedute al primo turno al "centro-destra" quando nelle scorse elezioni provinciali il "centro-sinistra" se le era aggiudicate senza ballottaggio.
Delle tre nuove province due sono già andate al "centro-destra" (Barletta-Trani-Andria, Monza-Brianza) e solo Fermo va al ballottaggio.
Stesso discorso per i comuni capoluogo dove il "centro-sinistra" governava in 25 su 30. Ne conferma solo 5 mentre ne cede già al primo turno 6 al "centro-destra" (Bergamo, Biella, Campobasso, Pavia, Pescara, Verbania). In 16 comuni si va al ballottaggio. A Campobasso e a Pescara nelle passate elezioni comunali il "centro-sinistra" aveva vinto al 1° turno. Il "centro-destra" conferma Imperia, Teramo e Vercelli. Va al ballottaggio invece a Ascoli Piceno e a Brindisi.
Ovunque il sorpasso della destra sulla "sinistra" borghese è soprattutto dovuto al crollo di consensi di quest'ultima in gran parte confluiti nell'astensionismo. È il caso emblematico del comune di Pescara dove il PD paga gli arresti prima del governatore dell'Abruzzo Del Turco, poi del sindaco di Pescara Luciano D'Alfonso. Qui il PD perde il 43,2% dei suoi voti, l'astensionismo registra il record nazionale del +8,8%.
Secondo uno studio dell'Istituto Cattaneo, raffrontando le provinciali 2009 alle politiche 2008, il PD perde tra il 30 e il 40% dei suoi consensi al Nord, fino al 50% al Centro e tra il 50 e il 60% al Sud.
Ormai il suo "zoccolo duro" è diventato di burro. A Prato dopo 63 anni di governo è costretto al ballottaggio. Così a Potenza dove il suo feudo durava da 15 anni. Per non parlare delle città di Firenze, Bologna, Ferrara, Forlì. A Livorno per la prima volta il PD perde la sua maggioranza assoluta.
Questo disastroso risultato peraltro non spinge affatto questo partito a ricredersi e a spostarsi più a sinistra. Tutt'altro. Tant'è vero che il modello che pensa di estendere a livello nazionale è nientedimeno che quello di Bari dove il sindaco uscente Michele Emiliano, nonché segretario regionale pugliese del PD, già sostenuto da una coalizione comprendente PD, Idv di Di Pietro, PRC-PdCI, Sinistra europea e Verdi, e dopo aver imbarcato nelle proprie liste persino un neofascista e pluripregiudicato per mafia, Savarese, costretto al ballottaggio ora si è aggiudicato anche l'appoggio dell'Udc.
"Oggi a Bari - ha esultato il sindaco uscente - cade il muro di Berlino, la città cancella definitivamente il suo fattore 'K' e non esiste più l'idea che ci siano schieramenti opposti per definizione, cade quella idea che il sindaco avesse solo i comunisti nella sua amministrazione, e si apre a un modello innovativo". Un modello che lo stesso Massimo D'Alema giudica "dal punto di vista politico un bel laboratorio e una bella sfida". Peraltro sembra che il governatore della Puglia, Nichi Vendola, sia contentissimo di un apparentamento "che inserisce nel governo della città di Bari la tradizione democristiana".
Poco conta per costoro se l'Udc era alleata del nuovo partito del fascio in 9 delle 26 province assegnate al primo turno al "centro-destra". Così come si è accordata col PDL in varie forme per il ballottaggio nelle province di Venezia, Belluno, Rovigo, Arezzo, Prato, Cosenza, e nei comuni di Padova, Ferrara, Forlì, Ancona, Avellino, Caltanissetta e persino a Bologna.

PRC-PdCI in agonia
PRC e PdCI, tracollano rispetto alle precedenti amministrative e vanno peggio persino rispetto alle contemporanee europee. La china dei falsi partiti comunisti sembra ormai irreversibile. Il dato più interessante che emerge dai risultati alle elezioni provinciali e comunali di questi partiti è che la perdita dei loro consensi è tanto più forte nei centri industriali del Nord, oltreché nelle aree più povere e abbandonate del Sud. Dove evidentemente non gli si perdona di aver condiviso le responsabilità del governo Prodi e dei vari governi locali del "centro-sinistra".
Complessivamente il PRC e il PdCI, presenti sia separatamente che in un un'unica lista, hanno ottenuto 659.738 voti alle provinciali 2009. Nelle precedenti provinciali 2004 avevano ottenuto 1.621.383 voti. Persino rispetto alle europee, dove hanno ottenuto 695.933 voti, perdono circa 36 mila voti.
Fra i casi più clamorosi ci sono i risultati della provincia di Torino dove, specie nella cintura operaia, passano da 128.979 voti del 2004 agli attuali 39.675, appena un terzo. Fra l'altro in questa provincia si è verificato per la prima volta il sorpasso fra PdCI e PRC avendo ottenuto il primo 20.223 voti rispetto ai 19.452 del secondo. Fino a qui, anche a livello nazionale, vi è sempre stato un "primato" del PRC sul PdCI calcolato intorno allo 0,5-1%. Ma tale differenza tende a colmarsi per effetto del maggior tracollo del PRC.
Nella provincia di Bergamo PRC-PdCI, presentatisi insieme anche a Sinistra democratica, prendono 16.023 a fronte dei 34.296 ottenuti nel 2004. A Milano ne ottengono 48.909 a fronte dei 164.457 ottenuti nel 2004.
Per capire meglio cosa significa questo per due partiti falsi comunisti, che puntano tutto sull'elettoralismo e il parlamentarismo borghesi, basti pensare che dai 153 seggi che avevano ottenuto nelle precedenti provinciali, oggi, se ne sono assicurati solo 26, a parte le briciole che arriveranno dai ballottaggi.
Per costoro un motivo di più questo non per sviluppare una riflessione e una posizione più a sinistra, ma per spostarsi ancora più a destra nel tentativo di riuscire a conciliare il compito di tenere sotto controllo l'elettorato di sinistra, da una parte, e assicurarsi posti nelle istituzioni borghesi, dall'altra. Staremo a vedere cosa produrrà il frenetico lavorio politico-organizzativo che si sta sviluppando in entrambi gli schieramenti.
Fatto sta che l'elettorato di sinistra non può più stare a guardare questi imbroglioni politici che si spacciano per comunisti e poi razzolano a destra e preparano nuove trappole e nuovi inganni politico-organizzativi che rallentano e deviano la lotta di classe e la lotta per il socialismo.
L'elettorato di sinistra ha il compito di osare confrontarsi col PMLI, di unirsi ad esso come militanti e simpatizzanti, e insieme al loro partito lavorare per abbattere il governo del neoduce Berlusconi, la terza repubblica e costruire le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo. Per l'Italia unita, rossa e socialista.

17 giugno 2009