Quantunque arretri per la concomitanza delle politiche
L'astensionismo è nettamente il 1° "partito" alle regionali

Osservando le tabelle che qui pubblichiamo con i dati delle elezioni regionali che si sono tenute in Lombardia, Lazio e Molise, si nota che l'astensionismo è diminuito rispetto alle precedenti e corrispondenti consultazioni, in controtendenza con le concomitanti elezioni politiche. Ciò è dovuto chiaramente al fatto che le politiche hanno trascinato la partecipazione al voto anche alle regionali. In particolare in Lombardia e Lazio, mentre in Molise, regione meno cruciale delle altre due per quanto riguarda le ripercussioni sul dato nazionale, questo effetto di trascinamento si è fatto sentire solo in misura minima. L'effetto di trascinamento è un fenomeno generalizzato in tutte le province della Lombardia e del Lazio, come si può vedere dalla tabella che riporta le percentuali dell'astensionismo provincia per provincia (solo diserzione dalle urne, escluso schede nulle e bianche).
Scendendo nel dettaglio, però, si nota anche che il recupero rispetto alle precedenti regionali, che si sono tenute nel 2010 in Lombardia e nel Lazio, e nel 2011 in Molise, è dovuto solo al fatto che allora l'astensionismo (totale, cioè diserzione dal voto più schede bianche e nulle) era già arrivato a livelli elevatissimi: 37,4% in Lombardia, 41,7% nel Lazio e 42,8% in Molise. In questa consultazione l'astensionismo ha raggiunto rispettivamente i seguenti livelli: Lombardia 25,9%, Lazio 31,2%, Molise 42,3%. Risultati che sono comunque del tutto in linea o addirittura superiori alla media nazionale alle politiche, che è stata come noto del 27,5 %.
In ogni caso, nonostante il trascinamento delle politiche, in tutte e tre le regioni l'astensionismo si riconferma di gran lunga il primo "partito": in Lombardia, con due milioni di elettori che non si sono recati alle urne, o hanno votato scheda nulla o bianca, gli astenuti superano infatti del 50% gli elettori del PD, di oltre il doppio quelli del PDL e di quasi tre volte quelli di Lega Nord e Movimento 5 Stelle. Analogamente nel Lazio, dove gli astenuti sono quasi un milione e mezzo e superano di quasi il doppio gli elettori del PD, di oltre il doppio quelli del PDL e del triplo gli elettori del M5S. Nel Molise, addirittura, non solo gli astenuti sono al primo posto con 140 mila unità, ma superano di oltre il doppio la somma dei primi tre partiti classificati, PD, M5S e PDL.
Questi risultati, nonostante tutto molto significativi pur essendo in diminuzione rispetto alle precedenti regionali, sono confermati anche dai dati delle politiche, che hanno visto invece l'astensionismo aumentare in tutte le regioni interessate (salvo nel Molise, perché era già molto alto, e dove si registra un aumento solo dello 0,5%), in linea con la media nazionale: +5,2% in Lombardia e +3,7% nel Lazio (dati relativi alla sola diserzione dalle urne, vedi tabella pubblicata sul numero precedente de Il Bolscevico). Anche questo conferma che l'astensionismo non è un fenomeno imponderabile legato ad eventi esterni imprevedibili e casuali, come le condizioni atmosferiche o altre assurdità simili, e che non è nemmeno un fenomeno stabile e dall'evoluzione lineare, ma è una scelta consapevole e qualificata dell'elettorato, che sceglie di volta in volta se votare le liste o astenersi in base alla situazione politica nazionale o locale.

L'effetto drenante del M5S sull'astensionismo
Insomma, se non ci fosse stato questo effetto di trascinamento dovuto alle politiche, il crollo delle astensioni sarebbe stato ancor più evidente anche alle regionali. "La concomitanza delle due competizioni elettorali - conferma infatti a questo proposito un documento dell'Istituto Cattaneo di Bologna, specializzato nell'analisi dei flussi elettorali - ha determinato l'impressione, erronea, che la partecipazione fosse generalmente cresciuta in queste regioni. Di fatto, la posta in gioco del voto nazionale ha trascinato verso l'alto la partecipazione al voto alle regionali, su percentuali che non si sarebbero raggiunte con il solo voto regionale. In realtà in Lombardia e Lazio la partecipazione alle elezioni politiche è diminuita, rispetto al 2008, proporzionalmente al dato nazionale".
Tutto ciò è a maggior ragione vero se si considerano anche altri fattori che hanno contribuito a drenare l'astensionismo, tra cui il numero mai così esagerato di liste presentate, e soprattutto la presenza del Movimento 5 Stelle in fortissima ascesa. Secondo l'istituto di ricerca Swg, basato sul raffronto con le elezioni europee del 2009, ben il 37% dei voti andati al movimento di Grillo proverrebbero dall'area dell'astensionismo.
Ma va anche detto che alle regionali parte di questi voti sono stati redistribuiti dal M5S agli altri candidati, in particolare quelli di "centro-sinistra" (ma non solo), attraverso il meccanismo del voto disgiunto, per cui un consistente numero di elettori che ha votato il M5S alla Camera e/o al Senato, alle regionali ha preferito invece optare per il "voto utile" ad un candidato presidente diverso da quello presentato dal Movimento stesso, sapendo in partenza che quest'ultimo non aveva possibilità di vittoria.
Questo lo si può vedere abbastanza chiaramente dalla tabella in cui sono raffrontati per le tre regioni, Lombardia, Lazio e Molise, i voti assoluti e le percentuali rispetto all'intero corpo elettorale, ottenuti dal Movimento 5 Stelle rispettivamente alle politiche-Camera e alle regionali 2013. Si noterà che in Lombardia, a fronte di un 12,2% ottenuto alla Camera, il M5S ottiene solo un 10% alla regione, corrispondente ad un calo del 2,2% dei consensi rispetto alle politiche. Consensi che con tutta probabilità sono andati ad Ambrosoli, e forse in parte erano anche voti leghisti ritornati all'ovile come "voti utili" per Maroni.
Lo stesso fenomeno, ma in forma ancor più marcata, si è ripetuto anche nel Lazio e in Molise, dove il voto disgiunto ha provocato un dimezzamento dei voti del M5S alle regionali rispetto alle politiche: nel Lazio è sceso infatti dal 21% al 9,8% sul corpo elettorale, e nel Molise è sceso addirittura ad un terzo dei voti ottenuti alle politiche, dal 19,9% al 6,1%. E non è che le cose cambino sostanzialmente anche se invece dei voti di lista si prendono i voti dei due candidati M5S, Davide Barillari e Antonio Federico, che hanno realizzato rispettivamente il 13,9% e il 9,7% sul corpo elettorale.
Non per nulla sia il candidato per il Lazio, Barillari, eletto comunque al Consiglio regionale, sia il neo presidente di "centro-sinistra", Nicola Zingaretti, si sono subito scambiati dichiarazioni di reciproca apertura e volontà di collaborazione: "Grazie a noi Zingaretti farà una politica migliore: gli staremo col fiato sul collo e controlleremo ogni atto", ha dichiarato Barillari, aggiungendo che "collaboreremo dove sarà possibile". "Mi rivolgerò a tutto il Consiglio regionale. Non ci sono pregiudiziali nei confronti di nessuno", gli ha fatto eco Zingaretti: "La nostra sarà una proposta di governo basata su innovazione, trasparenza, taglio dei costi della politica, sviluppo e lavoro. Su questi punti ci sono affinità: se ci sarà anche consenso con il Movimento 5 Stelle lo vedremo in aula".

Le vittorie di Pirro dei tre neo governatori
Un'ultima considerazione la meritano i tre neo governatori, che hanno sbandierato le loro come "grandi vittorie"; in particolare Roberto Maroni, che vanta di aver ottenuto il 43% dei consensi degli elettori lombardi, mentre in realtà ha ottenuto il 31,7% sul corpo elettorale, e ha totalizzato 300 mila voti in meno del suo predecessore Formigoni nel 2010. Anche i neo governatori di "centro-sinistra" Nicola Zingaretti e Paolo Frattura (Molise) non hanno fatto di meglio, limitandosi a riprendersi più o meno i voti delle consultazioni precedenti e a rappresentare rispettivamente il 28% e il 25,8% dell'elettorato.
Quanto al burbanzoso caporione leghista, "missione compiuta. Abbiamo salvato la Lega. La vittoria in Lombardia ci consente di aprire una fase nuova con la costituzione della macroregione del Nord", ha esultato facendo finta di ignorare il bagno di sangue elettorale subito dal suo partito, che ha dimezzato i voti in tutte le regioni del Nord, al di sopra e al di sotto del Po. In special modo in Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna, ma anche nella "sua" Lombardia, dove ha lasciato sul terreno oltre 416 mila voti, il 37% di quelli che aveva 2010. Così come, del resto, il suo compare Berlusconi, che ne perde addirittura di più, 450 mila, lasciando per strada un terzo dell'elettorato che aveva nel 2010.
Un crollo, quello del partito di Maroni, che assume dimensioni ancor più vistose alle Politiche, dove perde la bellezza di 586.803 degli 1.327.893 voti che aveva nel 2008, più che dimezzando il suo serbatoio elettorale. E per di più ben metà di essi, 312.221 per l'esattezza, li perde proprio nel collegio Lombardia 2 (Bergamo, Brescia, Como, Lecco, Sondrio, Varese), la famigerata fascia "pedemontana" da sempre roccaforte leghista e che ha determinato la vittoria di Maroni su Ambrosoli, classificato invece primo a Milano. Da notare inoltre che proprio il suddetto collegio, col 6% di non partecipazione al voto, ha registrato anche il più alto aumento dell'astensionismo di tutta la Lombardia e perfino di tutto il Nord Italia.

6 marzo 2013