Le balle del governo Berlusconi
Falso che in Italia si spenda di più sulle pensioni
Il sistema previdenziale è strutturalmente in equilibrio. Il saldo tra le entrate e le prestazioni è attivo di 27,6 miliardi di euro

Per preparare un nuovo assalto, l'ennesimo, alle pensioni, il governo ha messo in moto la sua potente macchina propagandistica, con l'ausilio pressoché totale dei mass-media di regime per raccontare una serie di balle del tipo: il sistema previdenziale nel nostro Paese costa di più rispetto a quelli degli altri paesi europei; l'età pensionabile è da noi più bassa; la pensione di anzianità non esiste in nessuna altra parte del mondo; è l'Europa che ci chiede di fare una radicale "riforma" pensionistica per abbattere il debito e favorire la crescita. A sbugiardare queste tesi fondate sul nulla ci ha pensato Felice Roberto Pizzuti, professore di politica economica presso l'Università La Sapienza di Roma ed esperto di studi sociali. "La situazione del nostro sistema previdenziale, per ammissione comune - dice subito il professore - è strutturalmente in equilibrio attualmente". A chi sostiene che però la fase di transizione al suo funzionamento a regime sarebbe troppo lunga, risponde: "I dati mostrano che non solo non è così, ma accade il contrario: il saldo tra le entrate contributive e le prestazioni pensionistiche previdenziali al netto delle ritenute fiscali è attivo per un ammontare di 27,6 miliardi di euro, pari all'1,8% del Pil.

La pensione dei giovani
"Questo avanzo si verifica in misura crescente dal 1998, a seguito delle 'riforme' messe in atto negli anni Novanta''. Le quali, tra le altre cose hanno portato a "una forte e generalizzata riduzione del grado di copertura pensionistica e la corrispondente maturazione di un grosso problema sociale: prima delle riforme del mercato del lavoro e pensionistiche un lavoratore dipendente poteva normalmente accumulare 40 anni di contributi e ritirarsi anche prima dei 60 anni con una pensione pari a circa l'80% dell'ultima retribuzione: nel 2035, un lavoratore parasubordinato che con difficoltà sarà riuscito ad accumulare 35 annualità contributive, ritirandosi a 65 anni, maturerà un tasso di sostituzione pari a circa la metà".
Non è vero che nostra spesa pensionistica è più alta di quelle di Francia e Germania. "La comparazione europea è falsata. Basti dire - sostiene Pizzuti - che l'Eurostat tra le prestazioni pensionistiche italiane include il Tfr. Ma noi sappiamo che il Tfr non è una prestazione pensionistica, è semplicemente salario differito" che equivale a circa un punto e mezzo del Pil. "Ancora, in Italia i prepensionamenti a seguito di crisi aziendali diventano spesa pensionistica, in altri paesi sono considerati interventi di politica industriale non contabilizzabili nella spesa pensionistica".

L'età di pensionamento
Altro punto di critica, praticamente infondato, al nostro sistema previdenziale è la bassa età di pensionamento. "Allo stato attuale - chiarisce il professore - l'età di vecchiaia degli uomini e delle donne del settore pubblico è ufficialmente di 65 anni, ma con il ritardo di 12 mesi della 'finestra' è di fatto 66 - cioè superiore a quello tedesco (65) e francese (62) - e dal 2013 aumenterà automaticamente in connessione all'aumento della vita media attesa, raggiungendo i 67 anni nel 2021; per le donne del settore privato è già previsto un rapido aumento dai 61 anni effettivi attuali a 65 nel 2021 e poi si uniformeranno ai maschi".
La pensione di anzianità
Questo per la pensione di vecchiaia. Ma riguardo alla pensione di anzianità considerata strumentalmente una anomalia tutta italiana? Ecco come stanno le cose: "l'età effettiva di pensionamento degli uomini in Italia - dice Pizzuti - è di 61,1 anni, cioè poco meno che in Germania (61,8) e più che in Francia (59,7); per le donne il nostro dato (58,7) è inferiore a quello tedesco (60,5) che a quello francese (59,7), ma ciò rispecchiata la congenita minore partecipazione al mercato del lavoro delle donne italiane e il loro ruolo di supplenza alle carenze assistenziali del nostri sistemi di welfare. Comunque, la parificazione della loro età di pensionamento a quella maschile da poco decisa eliminerà rapidamente il divario e probabilmente lo invertirà".

Pensione sganciata dai salari
C'è un paragone tra il nostro e altri sistemi pensionistici che viene di norma sottaciuto. ''Dal 1992 le nostre prestazione pensionistiche - fa notare il professore - non sono più agganciate agli incrementi salariali e sono indicizzate ai prezzi solo in misura parziale. Ce ne siamo accorti poco perché nel frattempo i salari non sono cresciuti e l'inflazione è bassa, ma in Germania le prestazioni pensionistiche non hanno mai smesso di essere indicizzate sia agli incrementi reali dei salari che all'inflazione".
Infine, non è affatto vero, precisa Pizzuti, che l'Unione europea (da non confondere con la Bce) chieda nuove "riforme" pensionistiche; ammesso e non concesso che una tale richiesta sia ricevibile. "Nel bel mezzo di una imponente crisi recessiva - è la sua riflessione - pensare di rilanciare la crescita mettendo al centro degli interventi una nuova riforma pensionistica è paradossale; e considerando che l'età del pensionamento è stata già 'indicizzata' attualmente agli aumenti della vita media attesa, imporre un ulteriore slittamento al ritiro del lavoro (come molti auspicano) proprio in questa fase caratterizzata da una disoccupazione giovanile di circa il 30%, protrarrebbe ulteriormente l'entrata dei giovani nel mondo del lavoro, determinando un ulteriore invecchiamento degli occupati".

2 novembre 2011