Adesioni del 90% allo sciopero dei giornalisti della carta stampata
Battere gli editori. Contratto subito
Gli editori puntano ad abolire il contratto nazionale. Il "Manifesto" non partecipa allo sciopero e si ferma solo un giorno per "solidarietà". Nuove giornate di protesta a gennaio
Il PMLI appoggia la lotta dei giornalisti e condanna l'arrogante chiusura della Fieg
Continua la protesta dei giornalisti italiani senza contratto da 22 mesi e, man mano che si fa più arrogante la chiusura degli editori rappresentati dalla Federazione italiana editori giornali (Fieg), più duro si fa lo scontro.
Da maggio 2006 a oggi, 16 sono stati i giorni di astensione dal lavoro nei quotidiani e nelle agenzie di stampa e 14 nelle radio e televisioni. Tra le forme di lotta anche lo "sciopero delle firme", l'ultimo dei quali il 15, 16 e 17 dicembre scorsi. Infine, la tornata di scioperi dei giornalisti della carta stampata, dal 22 al 24 dicembre, ha raccolto ben il 90% di adesioni. Forte di questa massiccia mobilitazione il segretario della Federazione nazionale stampa italiana (Fnsi, l'unico sindacato dei giornalisti italiani), Paolo Serventi Longhi ha annunciato che a partire da gennaio saranno indette nuove giornate di lotta.
A poche ore dalla rottura del tavolo delle trattative a dicembre il presidente della Fieg, Boris Biancheri, affermava: "Per sedersi bisogna avere la certezza di concludere. Altrimenti rischiamo il peggio per tutti: se si rompe, salta il contratto nazionale". Un'affermazione che ha rivelato i veri scopi politici dei padroni dei giornali, confermando l'ipotesi del sindacato dei giornalisti che la posta in gioco per gli editori è l'abolizione del contratto nazionale di lavoro. Come ha affermato Franco Siddi, presidente della Fnsi, gli editori hanno il sogno di "fare i giornali non più senza i giornalisti, ma senza contratto".
Per i tre giorni di sciopero di fine 2006 hanno fatto eccezione alcune testate per chiara scelta politica di stare a fianco degli editori e ciò non senza tensioni interne alle redazioni. Tra i giornali nazionali in edicola nei giorni di protesta Il Foglio, Il Giornale, Il Riformista, Il Tempo, Il Resto del Carlino, La Nazione, La Padania, Libero, il Secolo d'Italia. Tra i giornali regionali a grande tiratura era in edicola il Giornale di Sicilia, la cui direzione, nonostante scioperassero 45 giornalisti su 55, ha letteralmente obbligato decine di giornalisti precari, collaboratori esterni, a lavorare sotto ricatto.
Accanto a questi giornali di chiaro stampo liberista o fascista, il manifesto. Il sedicente "quotidiano comunista", ha aderito alla mobilitazione soltanto per un giorno: "Tre giorni di sciopero ma noi del Manifesto ci fermiamo a uno di solidarietà", concludeva nell'editoriale del 21 dicembre Gabriele Polo, direttore della testata.
Il minimo che si può dire è che il manifesto, che condivide solo a parole la protesta dei colleghi, non ha fatto altro che assumere l'atteggiamento codardo dell'"armiamoci e partite". In realtà il quotidiano finisce per tirarsi fuori dalla lotta, coprendosi malamente con la giustificazione di essere pubblicato da una cooperativa: "Noi non abbiamo un editore contro cui batterci - afferma Polo nel medesimo editoriale - semmai ci battiamo ogni giorno contro le nostre difficoltà e i nostri limiti". La spiegazione è pretestuosa. Vi sono molte altre cooperative editoriali in Italia che hanno in redazione giornalisti stipendiati, i quali hanno scioperato in quei tre giorni; evidentemente hanno capito che la vertenza deve essere affrontata con decisione e compattezza. Invece, proprio quando lo scontro si fa più duro e, finalmente, dopo decenni di incomprensioni tra le diverse categorie dell'ordine professionale, si consolida l'unione di intenti tra i giornalisti, il manifesto se ne viene fuori pensando al "proprio orticello".

I motivi della protesta
L'unità e la compattezza della lotta, spezzata soltanto dalle testate liberiste e neofasciste, da il manifesto e da alcuni giornali locali in mano a editori reazionari, ha, del resto, dei presupposti generali di vitale importanza per l'intera categoria. C'è in ballo l'esistenza stessa del contratto nazionale di lavoro, i livelli di retribuzione, la stabilizzazione dei precari esterni alle redazioni, la questione delle pensioni da fame che si prospettano per la quasi totalità dei lavoratori del settore.
Il vero esempio di questo sciopero è il coraggioso comportamento dei redattori del Giornale di Sicilia, i quali hanno organizzato una vera e propria manifestazione davanti alla redazione di Palermo per protestare contro l'uscita del quotidiano nei tre giorni di sciopero e hanno sfiduciato, in un documento, i vertici dell'azienda.
Mentre la vertenza si inasprisce il sindacato dei giornalisti riceve l'appoggio della Cgil, il cui segretario confederale, Fulvio Fammoni, ha affermato: "Il problema rappresentato da questa vertenza ha ormai raggiunto una rilevanza che va al di là della semplice e scontata solidarietà del mondo sindacale perché non è accettabile che venga messo in discussione il diritto al contratto nazionale''.

Il nodo politico della questione
Il nodo della difficile soluzione della vertenza è politico ed è connesso anche all'assenza del governo Prodi che non si decide a intervenire nella contrapposizione e a dare un freno all'arroganza degli editori.
L'economista borghese Prodi si è limitato a dire, durante la conferenza stampa di fine anno: "Ritengo prioritario e urgente che le parti si siedano nuovamente a un tavolo per arrivare ad una soluzione. Non è in gioco solo il futuro di voi giornalisti, ma quello dell'intera informazione italiana". E con questa dichiarazione apparentemente "super partes", ma, dati i rapporti di forza in campo, nettamente dalla parte degli editori, ha mollato la patata bollente. La motivazione è semplice: gli editori Fieg godono di forti appoggi del governo stesso e, in parlamento, da parte di entrambi gli schieramenti.
Basti considerare che la linea dura è guidata da quattro gruppi editoriali tra cui spicca quello in mano a Carlo de Benedetti legato al "centro-sinistra", proprietario del gruppo "Espresso Spa" ed editore del quotidiano La Repubblica.
Il fronte dei falchi ha anche editori legati al "centro-destra". Tra questi Francesco Gaetano Caltagirone suocero del DC Pier Ferdinando Casini. Il gruppo "Caltagirone Editore Spa" è proprietario del romano Il Messaggero, del napoletano Il Mattino e di una schiera di giornali minori, tra cui Il Nuovo quotidiano di Puglia, andato in edicola nei giorni dello sciopero.
Nel gruppo dei quattro editori che Serventi Longhi ha denunciato come "oltranzisti" vi sono anche i Riffeser e i Ciancio Sanfilippo. I primi sono proprietari del Quotidiano nazionale composto dal bolognese Il Resto del Carlino, dal fiorentino La Nazione e dal milanese Il Giorno. I primi due giornali sono andati in edicola nei giorni di sciopero.
I Ciancio Sanfilippo, infine, sono proprietari del quotidiano catanese La Sicilia e di quasi tutta l'informazione isolana. Ciancio, giornalista professionista, è l'ex presidente della Fieg e attuale vicepresidente dell'Ansa. Al gruppo siciliano appartengono le emittenti Antenna Sicilia, Telecolor, Video3, varie emittenti radiofoniche e alcune quote azionarie in Mtv, La7, l'Espresso/Repubblica.
Da anni i Ciancio Sanfilippo sono sotto il tiro dell'informazione libera in Sicilia per rapporti con la mafia, tuttavia non dimostrati da un punto di vista giudiziario, almeno per ora. Ha fatto scalpore a luglio 2006 la protesta dei giornalisti di Telecolor che si imbavagliarono durante un tg. La redazione, che da anni aveva condotto un'informazione libera, con varie denunce proprio nei confronti dei Ciancio Sanfilippo, si distingueva nel panorama devastato dei diritti dei giornalisti siciliani perché era l'unica in cui i redattori avevano regolari contratti di lavoro. I Ciancio Sanfilippo iniziarono l'acquisizione di Telecolor nel '98 con l'unico obbiettivo plausibile di distruggerla. Infatti dalle ottime condizioni finanziarie di partenza il piano aziendale del 2006 prevedeva il licenziamento di ben 9 giornalisti su 13. La giustificazione era il dissesto finanziario della tv catanese, motivazione ancora oggi contestata dai giornalisti dell'ex-redazione.

L'arroganza padronale e le richieste dei lavoratori
Forti di questi appoggi politici e di legami spesso inconfessabili, gli editori della linea dura della Fieg intendono tirare avanti sulla chiusura alla contrattazione. Evidentemente, considerate le storie "eloquenti" che hanno alle spalle, hanno intenzione di mostrare al padronato la via da percorrere per smantellare le conquiste del contratto di lavoro giornalistico e dei contratti nazionali di lavoro in generale.
In questa fase, come ha denunciato il PMLI, nel comunicato stampa di solidarietà alla lotta dei giornalisti emesso il 21 dicembre e apparso su Il Bolscevico n° 1/07, la chiusura reazionaria e antisindacale degli editori rischia di saldarsi con le posizioni di Confindustria che, nella trattativa di gennaio con i sindacati confederali sulla "riforma" della contrattazione, vorrebbe imporre posizioni simili o peggiori.
Far saltare completamente il contratto nazionale di lavoro giornalistico significherà per gli editori la possibilità di applicare selvaggiamente la legge 30 in modo da generalizzare le prestazioni esterne, costringere i giornalisti a essere trasferiti da una testata all'altra sotto forma di prestito, porre i responsabili delle redazioni sotto il controllo diretto dell'editore a cui dovranno obbedire pena il licenziamento, limitare i poteri degli organismi sindacali, avere libertà di licenziamento. E il caso di Telecolor dimostra che le intenzioni degli editori sono proprio queste.
La Fnsi, al contrario, chiede il riconoscimento dei free-lance, ossia i giornalisti esterni alle redazioni per i quali, al massimo, è previsto, attualmente, un contratto di collaborazione coordinata e continuativa (il famigerato co.co.co) ma ancora più spesso la retribuzione a pezzo pubblicato (e sarebbe meglio chiamare le cose con il loro nome e parlare di cottimo giornalistico). Oggi mentre nelle redazioni lavorano sempre meno giornalisti e sempre meno tutelati, utilizzati quasi solo per confezionare il giornale, il lavoro grosso come le conferenze stampa, le interviste, le inchieste, gli articoli, viene svolto da questi "collaboratori esterni". A molti di questi giornalisti, a fronte di un pezzo pubblicato e pagato da due ai dieci euro, nei casi fortunati, gli editori chiedono la disponibilità del lavoratore a tempo pieno.
La Fsni ha presentato, nel corso dell'Assemblea nazionale dei giornalisti precari, tenutasi a Roma l'11 dicembre, Il libro bianco sul lavoro nero. Le cifre rivelate dall'inchiesta sono significative. Sono appena 12.500 i giornalisti contrattualizzati in Italia, mentre la stragrande maggioranza dei lavoratori vive in una condizione di assoluto precariato. Il numero dei precari supera certamente i 30.000. Tale cifra è calcolata dalla Fsni in base agli iscritti alla cosiddetta "gestione separata" dell'Inpgi, l'istituto di previdenza dei giornalisti, al quale versano i contributi tutti i collaboratori che non hanno un contratto di professionismo.
A occhio la situazione dovrebbe essere ben più grave, dal momento che oltre a questa fascia di collaboratori precari iscritti all'Inpgi, c'è una fascia di giornalisti, il cui numero non è facilmente quantificabile, che non versa i contributi. Si tratta dell'anello più debole della catena dello sfruttamento e della sommersione del lavoro giornalistico attuata dagli editori. Per esempio, i maggiori giornali siciliani funzionano con un esercito di redattori esterni inesistenti per la previdenza giornalistica. La tecnica adoperata è quella di avere a disposizione un altissimo numero di giornalisti, in modo da distribuire al massimo uno o due pezzi la settimana ad ognuno. Il giornale viene fatto da questi "schiavi" a costi minimi. Il sistema, purtroppo, risulta pienamente "legale" perché l'editore può dire, a un eventuale controllo previdenziale, che i lavoratori non sono "giornalisti" ma "collaboratori saltuari". In cambio del lavoro a questi giornalisti viene promessa, a lunga scadenza, la possibilità di iscrizione all'albo professionale, obbiettivo che però i più, pur lavorando da anni, non raggiungono proprio perché l'editore non riconosce loro i pagamenti dovuti e necessari per l'iscrizione all'albo.
Il Giornale di Sicilia è uscito regolarmente nei giorni di sciopero proprio grazie a questo meccanismo di sfruttamento, particolarmente diffuso nel Mezzogiorno. Non è stato un caso che fra i 37 giornali presenti in edicola durante i giorni di sciopero, tolti quelli nazionali di destra, quelli legati a partiti di destra, quelli legati ad associazioni di categoria vicine agli imprenditori, quasi tutti gli altri sono giornali del Sud. Sono, infatti usciti nei tre giorni di sciopero il Corriere del Giorno, il Nuovo, il Corriere di Caserta, Corriere Irpino, Cronache del Mezzogiorno, Cronache di Napoli, Giornale di Caserta, Il Meridiano, Il Salernitano, Il Sannio, Napoli Più, il Giornale di Sicilia.

10 gennaio 2007