Sull'esibizione di Benigni col tricolore al festival di Sanremo
Sì al Risorgimento. No al nazionalismo e al patriottismo reazionari
Il giullare del regime ha persino ignorato la Resistenza. L'antagonismo tra proletariato e la borghesia non è sopprimibile
L'inno di Mameli non ci rappresenta

Un'entrata su un cavallo bianco, sulle note della "Marcia del pinzimonio" di Piovani, sventolando il tricolore e al reiterato grido di "viva l'Italia". Per il suo ingresso al Teatro Ariston, Roberto Benigni l'ha buttata subito in farsa, ha scelto infatti di scimmiottare un "cavaliere" risorgimentale. Ciò gli consentiva di prepararsi il terreno per alcune battute iniziali sul neoduce Berlusconi: "Avevo dei dubbi a entrare col cavallo, è un periodo che ai cavalieri non gli dice tanto bene".
Battute superficiali (sul caso Ruby) e scalda platea che del neoduce Berluconi mettono alla berlina solo gli aspetti grotteschi e quindi politicamente inconsistenti. Mentre si arruffianava così il pubblico, sottolineando che non dell'attualità si sarebbe occupato (sottomettendosi alla censura di regime), Benigni ribadiva infatti che "siamo qui per parlare dell'inno di Mameli e dell'unità d'Italia". Cominciava così quella che come un corpo solo il regime neofascista (persino Il Giornale della famiglia Berlusconi) ha definito "lectio magistralis".

L'esegesi metafisica e mistica dell'unità d'Italia di Benigni
"L'unità d'Italia è sacra", cominciava il giullare di regime, poiché "è nata già da prima di Mazzini, Cavour, Garibaldi". Essa affonderebbe nei secoli, dal momento che i Savoia sono "la casa reale più antica d'Europa, la più gloriosa, dall'anno 1000/1010, una cosa spettacolare". È "sacra" come evidenzierebbe lo stesso termine "risorgimento", che, seppure utilizzato da Vittorio Alfieri, avrebbe per Benigni origine dal Vangelo e perciò una chiara valenza "religiosa". Così come "la nostra bandiera venne scelta da Mazzini da un verso di Dante Alighieri. Beatrice appare nel XXX Canto del Purgatorio 'sovra candido vel cinta d'uliva/ donna m'apparve sotto verde manto/ vestita di color di fiamma viva'". Per Benigni l'unità d'Italia diviene "una ricomposizione quasi religiosa di un corpo fatto a pezzi".
In virtù della religione cristiana e cattolica, da cui Dante ha tratto ispirazione codificandone nella sua Commedia i valori in una nuova lingua nazionale, il volgare, "l'Italia è l'unico Paese al mondo dove è nata prima la cultura e poi la nazione". Da qui la legittimità di "un sano patriottismo", un "senso di appartenenza" che si manifesta "nell'amore per il tricolore" e i valori che esso rappresenta (in primo luogo l'interclassismo borghese a cui Benigni rimanda fin dal principio l'Inno di Mameli con il verso "fratelli d'Italia").
Un'identità nazionale di tipo metafisico e religioso, in definitiva così forte da considerare qualsiasi altro popolo (tedeschi, francesi, austriaci, spagnoli) in modo del tutto generico e caricaturale come feroci oppressori, sfruttatori e violentatori, senza alcuna distinzione di classe. Da qui l'esaltazione compiuta da Benigni - a partire dalle gesta imperialiste dei romani, della Lega Lombarda contro il Barbarossa nel 1176, dei palermitani contro gli Angioini nel 1282, da Francesco Ferrucci nella difesa di Firenze nel 1530, da Balilla nel 1746 contro gli austriaci - della mistica del sacrificio eroico, della morte data ai nemici, della morte di se stessi sull'altare della madre-patria, della militarizzazione bellicista della politica.
Il verso "Dell'elmo di Scipio s'è cinta la testa", viene persino interpretato alla luce dello "scontro di civiltà", teorizzato dall'amministrazione del carnefice George W. Bush per legittimare l'imperialismo statunitense e occidentale. Mameli, spiegava Benigni, fa riferimento a Publio Cornelio Scipione, che, da "italiano", sconfisse Annibale durante la seconda guerra punica. "Se avesse vinto Annibale saremmo stati tutti di cultura fenicia, medio-orientale".
Insomma, un'ubriacatura nazionalista e patriottarda ultra-reazionaria (che non esita a incensare neppure la sciagurata monarchia dei Savoia), esaltata sia dalla destra che dalla "sinistra" del regime neofascista, dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (il nuovo Vittorio Emanuele III ha inviato a Benigni una lettera di lode) al capo dei rinnegati Pierluigi Bersani e al trotzkista liberale Nichi Vendola, fino al ministro della Guerra, il gerarca Ignazio La Russa. Il presidente della Rai, Paolo Garimberti, ex firma di Repubblica, vorrebbe Benigni in tour per le scuole. Il Giornale, fogliaccio della famiglia Berlusconi, si spinge a un "onore al compagno Benigni", per "la lezione di storia originale e coinvolgente" che "ha insegnato che si può essere anti berlusconiani senza bava alla bocca. I berlusconiani possono per una volta dimostrare di non essere anti benigniani con il veleno preventivo nella penna".

Il tricolore per il proletariato
Per il proletariato, i contadini poveri e tutte le masse sfruttate e oppresse del Nord, del Centro e del Sud d'Italia il Risorgimento non è mai stato in discussione, in quanto fattore storico rivoluzionario di indipendenza dal dominio straniero e di riunificazione del Paese, quantunque a egemonizzarlo e beneficiarne siano state soprattutto gli aristocratici e la borghesia. Ma è stata la storia dall'Unità d'Italia in poi che ha separato profondamente i destini e i valori degli sfruttati e degli sfruttatori temporaneamente unificati dalle lotte risorgimentali.
E' indubbio che per il proletariato, i contadini poveri, il Sud e tutte le masse sfruttate e oppresse il tricolore ha rappresentato un simbolo di libertà e di progresso solo fino all'Unità d'Italia. Dopo l'Unità d'Italia, con il consolidarsi della monarchia sabauda e i primi governi liberali borghesi, le cose sono radicalmente cambiate. Il tricolore, da simbolo di indipendenza e di progresso, è diventato agli occhi degli sfruttati e degli oppressi il simbolo dello sfruttamento forzato del Meridione, con la selvaggia repressione militare del ribellismo contadino, il simbolo della repressione sanguinosa delle prime lotte operaie, con stragi efferate come quella del generale Bava Beccaris a Milano, e il simbolo del sanguinario colonialismo italiano in Africa. Il tricolore, insomma, è diventato nell'ultimo quarto del 19° secolo sempre più la bandiera della borghesia e dello Stato nazionale capitalista, poliziesco, oppressore all'interno e colonialista fuori dai confini nazionali; mentre viceversa, a livello popolare, con il diffondersi delle idee socialiste, si affermavano sempre più i simboli e i valori storici del proletariato, come la bandiera rossa e l'internazionalismo proletario.
Con l'inizio del nuovo secolo il tricolore diventa anche il simbolo dell'imperialismo italiano che manda al macello gli operai e i contadini nella carneficina della prima guerra mondiale, che soffoca nel sangue il tentativo insurrezionale del proletariato ispirato da Lenin e dalla Rivoluzione d'Ottobre nel "biennio rosso" e che spalanca le porte al fascismo. Durante il ventennio mussoliniano il tricolore si identifica col fascismo, con le aggressioni colonialiste e i genocidi in Libia ed Etiopia, con l'intervento in guerra a fianco dei boia nazisti, con i massacri dell'esercito regio fascista in Albania, Grecia, Jugoslavia, Russia, e con la criminale "repubblica di Salò" di Mussolini. Non per nulla, fu proprio solo nel 1925, in pieno regime fascista, che un'apposita legge proclamerà il tricolore bandiera ufficiale della nazione.
Neanche la Resistenza è riuscita a far amare il tricolore alle masse popolari, dal momento che fin dal primo dopoguerra, con la "guerra fredda", è diventata la bandiera della destra democristiana, liberale, missina, militarista, atlantica e golpista. Per poi diventare la bandiera della seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e imperialista oggi dominante.

Il tricolore oggi
Negli ultimi anni la borghesia e il risorgente imperialismo italiani hanno fatto sforzi giganteschi per vincere questa diffidenza e ribaltare la situazione, riuscendovi in parte grazie soprattutto allo sporco contributo dei rinnegati e traditori del comunismo che hanno spianato la strada all'ossessiva campagna nazionalista e patriottarda dell'ex presidente della Repubblica e ufficiale dell'esercito badogliano, Carlo Azeglio Ciampi: come la proposta di legge PDS-AN, primo firmatario il reazionario Gustavo Selva, approvata plebiscitariamente il 31 dicembre 1997, che ha istituito la "Giornata Nazionale della Bandiera" del 7 gennaio, e come la proposta di legge del governo Prodi del 1997, che istituiva l'obbligo di esporre il tricolore insieme alla bandiera della Ue in tutti gli edifici pubblici, poi diventata legge con un decreto presidenziale di Ciampi del 7 aprile 2000.
Fino ad arrivare, oggi, alla lettera di Napolitano a Repubblica del 19 febbraio in merito alla decisione del governo Berlusconi sulle modalità dei festeggiamenti del 17 marzo, 150° anniversario dell'unità. Il nuovo Vittorio Emanuele III sollecita, in un clima bipartisan di riconciliazione nazionale e interclassista, a "una decisa valorizzazione di tutto quel che ci unisce come nazione e ci impegna come Stato unitario di fronte ai problemi e alle sfide che ci attendono".
Contro questo nero disegno della destra e della "sinistra" del regime, occorre reagire risolutamente, rilanciando i simboli e i valori storici del proletariato, come la bandiera rossa e l'internazionalismo proletario. Anziché un tricolore in ogni famiglia italiana, come oggi pretende la destra e la "sinistra" del regime, vogliamo che in ogni famiglia proletaria ci sia una bandiera rossa con la falce e martello da portare in piazza nelle lotte sindacali, sociali, politiche e antimperialiste che stanno sempre più montando nel Paese.
Bisogna condannare con forza l'aberrante manifestazione del 12 marzo "A difesa della Costituzione" di stampo nazionalista e fascista che chiede ai manifestanti di scendere in piazza con la bandiera tricolore in una mano e con la Costituzione nell'altra cantando l'Inno di Mameli.
Anziché il nazionalismo e il patriottismo borghesi rafforziamo l'unità, la combattività e lo spirito di classe anticapitalisti e internazionalisti proletari, insistiamo per un nuovo 25 Aprile per liberarsi del nuovo Mussolini, Berlusconi. Poi noi continueremo a combattere la seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e imperialista, per aprire la strada all'Italia unita, rossa e socialista.

Firenze 28 febbraio 2011