Il neoduce vuole carta bianca per portare a termine il piano della P2
Berlusconi: "Il parlamento è inutile e dannoso". Mussolini: "Un'aula sorda e grigia"
La presidenza della Confindustria spiana la strada al premier
Va abbattuto
"Presidente Berlusconi, il consenso che lei ha saputo conquistarsi è un patrimonio politico straordinario. Lo metta a frutto. Usi quel patrimonio per le riforme che sono necessarie. Lo faccia adesso". Un incitamento così pressante ed esplicito al nuovo Mussolini a sfruttare il suo largo consenso elettorale per fare le "riforme istituzionali" neofasciste non si era mai sentito in un'assemblea della Confindustria. Lo ha fatto la sua presidente Emma Marcegaglia il 21 maggio scorso alla riunione annuale del massimo organo di rappresentanza degli industriali, spianando così la strada al neoduce che, cogliendo al volo l'invito, si è subito preso tutta la scena mediatica con un intervento di una violenza e protervia inaudite contro il potere giudiziario e il parlamento, rivendicando tutto il potere politico al governo e a se stesso e giurando, tra gli applausi della platea di capitalisti inneggianti al loro compare e duce, che non si fermerà finché non avrà sottomesso i magistrati e cambiato la Costituzione, anche attraverso un plebiscito.
La presidente degli industriali gli aveva servito l'argomento su un piatto d'argento, con una relazione zeppa di richieste degli industriali al governo: dall'apertura immediata dei cantieri delle "grandi opere" alla ripresa del flusso dei finanziamenti alle imprese; da nuovi tagli alle pensioni e all'aumento dell'età pensionabile alla "riforma" della pubblica amministrazione nella direzione intrapresa da Brunetta (applauditissimo in sala); da una nuova ondata di privatizzazioni alla controriforma scolastica e universitaria; dalla controriforma della giustizia all'applicazione del "nuovo modello contrattuale" firmato da Cisl e Uil ma non dalla Cgil: che speriamo - si è augurata altezzosamente Marcegaglia - "torni presto a lavorare con noi per il bene del Paese", ma comunque "noi abbiamo scelto di andare avanti" lo stesso, perché "la modernizzazione del Paese non può arrestarsi di fronte ai veti".
Berlusconi, che si era presentato sul palco per un "breve saluto", si è detto subito "d'accordo su tutto" con la presidente, per poi lanciarsi nella sua lunga e rabbiosa filippica contro il parlamento e i magistrati, sostenuto da un tifo da stadio almeno da metà della platea, mentre l'altra metà, raccontano i giornali, taceva imbarazzata. Ma solo per la forma "irrituale", non certo per la sostanza del suo intervento, che su di essa il consenso del Gotha capitalistico rappresentato in sala non era mai apparso così unanime e palpabile.
Subito il neoduce, cogliendo al volo l'esortazione della presidente ad usare il suo consenso "plebiscitario" per fare le "riforme", ha posto il problema dei poteri del premier, che a suo dire non può far nulla perché la Costituzione è stata approvata dopo il fascismo e tutto il potere è stato dato al parlamento, tanto che "in Italia è più facile fare la rivoluzione che le riforme". Il parlamento è "un'assemblea pletorica, pensate, 600 deputati, ne basterebbero 100 come in America", ha proseguito il neoduce aggiungendo che per far questo, cioè ridurre ai minimi termini il parlamento (dove magari votino solo i capigruppo, come propose non molto tempo fa), "occorre un disegno di legge popolare perché non si può chiedere ai capponi o ai tacchini (leggi deputati e senatori, ndr) di anticipare il Natale": "Adesso - ha insistito il premier alzando il tono e suscitando scroscianti applausi in sala - diranno che offendo il parlamento, ma questa è la pura realtà: le assemblee pletoriche sono assolutamente inutili e addirittura controproducenti".

Complicità neofascista e mafiosa tra il neoduce e gli industriali
Dopodiché, partendo dalla sentenza del tribunale di Milano che lo ha bollato come corruttore dell'avvocato inglese Mills, da lui rigettata come "scandalosa", si è scagliato contro i magistrati chiamandoli "estremisti di sinistra" e definendo "patologico" il sistema giudiziario in Italia, giurando che egli non si fermerà fin quando non avrà attuato la divisione degli ordini dei magistrati giudicanti dai pubblici ministeri, che dovranno andare dal giudice "col cappello in mano e dargli del lei". Ma la cosa più repellente, in questa tirata viscerale del nuovo Mussolini, è stata l'atmosfera di vera e propria complicità mafiosa che è riuscito ad instaurare con la platea, che lo ha ascoltato e applaudito quasi in delirio attaccare i giudici, dopo averla sapientemente imbonita con l'argomento che "quel che è capitato a me potrebbe capitare a tutti voi", e dopo una ricostruzione della "verità dei fatti" sul caso Mills a dir poco grottesca; che però gli industriali si sono bevuti come acqua fresca, a giudicare dagli applausi convinti con cui l'hanno accolta, abituati come sono ad agire come lui quando si tratta di eludere le tasse e fatturare in nero.
Nessuno dei presenti in sala ha avuto la voglia e il coraggio di prendere le distanze dall'abbraccio peloso ("io sono uno di voi", "il mio governo è forte ed efficiente come un Cda d'azienda") con cui il nuovo Mussolini li ha avvolti e resi di fatto complici consenzienti delle sue ormai ripetute e arroganti violazioni delle leggi, porcherie e furbate varie. Fa impressione vedere come questo individuo, la cui immagine ormai anche laida ed equivoca è sempre più screditata e censurata all'estero, sia osannato dalla grande borghesia nostrana in camicia nera, qualunque infamia e nefandezza si permetta di compiere in assoluta impunità legale e mediatica. Una seduzione che ricorda sinistramente quella esercitata da Mussolini sulla classe dominante industriale, agraria e monarchica di allora, in nome dell'anticomunismo, della "pace sociale" e dell'"ordine" fascista.
Anche il suo maligno e strafottente attacco al parlamento "inutile e controproducente" (che puntualmente il giorno dopo ha tentato di smentire) è risuonato in tutto e per tutto come il lugubre intervento di Mussolini del 16 novembre 1922 in parlamento, quando presentando il suo governo imposto con la marcia su Roma minacciò di "fare di quest'aula sorda e grigia un bivacco" per i suoi manipoli di camicie nere. Eppure nessuno ha colto fino in fondo la gravità di questo suo nuovo affondo nel ventre molle delle istituzioni borghesi in decomposizione, dalle quali egli sta facendo emergere il mostro della terza repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e interventista.

Silenzi, sottovalutazioni e omertà
Nessuno - salvo Di Pietro per mero calcolo elettoralistico perché punta al voto degli antiberlusconiani - mette in relazione queste esternazioni fasciste del premier con il piano della P2, il cui obiettivo finale è appunto la repubblica presidenziale, con lo spostamento dei poteri da quelli legislativo e giudiziario a quello esecutivo. Così come nessuno si azzarda ad istituire un parallelo con Mussolini e il fascismo. Al massimo con Napoleone, come ha fatto Franceschini, o parlando di "caudillismo", come ha fatto Giannini su la Repubblica. Se non addirittura, come ha fatto Concita De Gregorio su l'Unità, riconoscendo che Berlusconi si atteggia in tutto e per tutto come Mussolini, ma solo per poi affermare che egli lo fa "per farci parlare d'altro, un 'diversivo' per distogliere l'attenzione dal caso Veronica-Noemi".
Per non parlare poi del silenzio di Vittorio Emanuele Napolitano, che avrebbe il dovere di difendere il parlamento e la magistratura dagli attacchi forsennati e criminali del neoduce e invece se n'è stato completamente zitto, salvo poi cavarsela con un generico accenno al "rispetto degli equilibri tra i poteri" dello Stato un paio di giorni dopo durante la cerimonia di commemorazione del giudice Falcone. Paradossalmente l'unica difesa del parlamento è venuta dal fascista Fini (il suo compare Schifani si è limitato a chiosare servilmente come "una battuta" l'attacco di Berlusconi alle Camere), che dei tre dispregiativi usati da Berlusconi ha accettato solo il "pletorico", rifiutando l'"inutile" e il "dannoso".
Ma è chiaro che il suo intento è del tutto strumentale, volto a difendere la sua poltrona istituzionale e a costruirsi un futuro politico fuori dal cono d'ombra del cavaliere piduista. E comunque anch'egli ha ammesso che le "riforme istituzionali" invocate dal premier e dalla Confindustria sono più che mai urgenti, anche se vanno "realizzate attraverso il confronto". Una posizione ambigua, questa dell'ex delfino di Almirante, perfettamente sovrapponibile a quella dominante nella "sinistra" borghese, come è stata sintetizzata dal rinnegato D'Alema per il quale "il vero ostacolo alle riforme è proprio Berlusconi", che ha "altre priorità" perché pensa a "fare le leggine necessarie per lui": "Noi - ha sottolineato - siamo pronti, anzi proponenti, di una riforma della Costituzione che preveda anche (e non solo, ndr) la riduzione del numero dei parlamentari".
Non ci siamo. Se queste sono le posizioni dell'"opposizione", la marcia su Roma del neoduce verso il completamento della terza repubblica secondo il piano della P2 sarà una passeggiata. Perché ci si ostina a negare l'evidenza e a non raccogliere l'allarme che il PMLI ripete da anni secondo cui siamo già in pieno regime neofascista e Berlusconi è il nuovo Mussolini? Che cosa si aspetta ancora, l'olio di ricino, i manganelli e la chiusura delle Camere, per chiamare le masse alla lotta per abbatterlo e spazzare via il suo governo fascista, razzista e mafioso? Qualche timido riconoscimento del regime neofascista comincia ad emergere qua e là, come ha ammesso Gabriele Polo su il manifesto scrivendo che "il regime non è alle porte ma ci siamo già dentro". Ma è troppo poco. Intanto bisognerebbe far seguire alle parole i fatti, chiamando gli elettori di sinistra non a dare fiducia ai partiti riformisti e falsi comunisti, come fa il quotidiano trotzkista per scongiurare l'astensionismo di sinistra; non a legittimare col voto le amministrazioni locali del regime neofascista e l'Ue imperialista, ma invitando ad esprimere con l'astensionismo un forte e inequivocabile voto contro il sistema capitalista in camicia nera e per il PMLI e l'Italia unita, rossa e socialista.

27 maggio 2009