I costi li pagheranno i contribuenti e i lavoratori
Berlusconi privatizza e svende ai privati l'Alitalia
7 mila "esuberi". Tagli alla flotta e alle destinazioni. Nuovo contratto di lavoro peggiorativo
Ultimatum ai sindacati
Il neoduce Berlusconi, nella campagna elettorale per le politiche aveva promesso, tra le altre cose, il "salvataggio e il rilancio dell'Alitalia". A distanza di 4 mesi e mezzo, da quando il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, affidò per decreto l'incarico alla banca Intesa Sanpaolo di trovare dei compratori italiani della Compagnia aerea di bandiera, è stato ufficializzato il "piano Fenice" che prevede: la svendita e la privatizzazione dell'Alitalia alla nuova Compagnia aerea italiana (Cai) fondata appositamente con il concorso di 16 grandi capitalisti; l'impegno da parte dello Stato, e quindi della collettività, di farsi carico dei forti debiti pendenti sulla società (1,5 miliardi di euro) messa in vendita, la fusione con la piccola Air One. Inoltre, una drastica e dolorosissima ristrutturazione che comporta: tagli drastici di enorme portata alla flotta di volo, alle destinazioni, in particolare a quelle intercontinentali, al personale, peggioramento delle condizioni di lavoro e delle retribuzioni dei lavoratori che vengono riassorbiti; che riguardano gli aeroporti di riferimento con la quasi esclusione di Fiumicino di Roma e Malpensa di Milano, mentre quello di Linate viene ridotto a un mero aeroscalo per voli privati. Alla faccia del salvataggio e del rilancio dell'Alitalia!
Questo piano, il governo lo vuole realizzare in tempi strettissimi, tagliando fuori il parlamento e concedendo ai sindacati confederali e di settore solo pochi giorni per dare il loro nulla osta. Da essi infatti pretende solo una ratifica di quanto già deciso. A questo proposito, riferendosi proprio ai sindacati, Berlusconi ha detto: "Non si può andare contro" questo piano, il piano sull'Alitalia "non si può che accettare". I primi passi per impostare e gestire la privatizzazione dell'Alitalia il Consiglio dei ministri li ha già compiuti il 28 agosto scorso varando un decreto legge e un ddl delega per modificare la legge Marzano e così permettere l'intervento dello Stato nel "salvataggio" dell'Alitalia, per commissariare la stessa, affidando l'incarico all'ex ministro Augusto Fantozzi, per liberare la nuova Compagnia acquirente dal personale in "eccesso" e dai debiti, valutati in 1,5 miliardi di euro, dirottati in una "bad company".
Ma quali sono i termini precisi e dettagliati del piano? Nelle ultime settimane sui massa-media si sono accavallate indiscrezioni e dichiarazioni dei vari protagonisti dell'operazione. Di ufficiale però non è stato consegnato nulla! Persino nell'incontro tenutosi il 4 settembre scorso, dove il presidente e l'amministratore delegato di Cai, Roberto Colannino e Rocco Sabelli, hanno illustrato i punti principali del "piano Fenice" alle delegazioni sindacali, in testa Epifani, Bonanni e Angeletti, alla presenza di una folta rappresentanza del governo (da Letta a Sacconi, Scajola, Matteoli a Ronchi) non è stato consegnato nessun documento contenente il suddetto piano industriale. Tuttavia i termini sono ormai sufficientemente chiari e, dal nostro punto di vista, sono da considerare estremamente negativi e del tutto inaccettabili.

La cordata degli imprenditori italiani
È noto che il precedente governo Prodi, poco prima di dare le dimissioni fu a un passo dal vendere in blocco l'Alitalia ad Air France-Kml. Il Pdl di Berlusconi si oppose alla vendita (da destra) in nome dell'italianità della Compagnia aerea di bandiera. Nasceva così la ricerca di acquirenti italiani disposti a rilevare e rilanciare Alitalia. Ma chi sono costoro? Un nome lo abbiamo già detto, ed è quello di Roberto Colannino patron della Piaggio, Corrado Passera amministratore delegato di Intesa Sanpaolo. Poi c'è Carlo Toto proprietario di Air One, la compagnia di volo che verrà assorbita dall'Alitalia; Fausto Marchionni amministratore delegato della FonSai di Ligresti; Giovanni Castellucci amministratore delegato della Atlanta-Autostrade dei Benetton, Emilio Riva, presidente delle omonime acciaierie; Marco Fossati numero uno di Fidim; l'armatore Gianluigi Aponte; Corrado Fratini di Fingen; Alessandro Grimaldi del fondo Clessidra; Salvatore Mancuso della società investimento Equinox. Ai quali si sono aggiunti Marco Tronchetti Provera gruppo Pirelli; Emma Marcegaglia per il gruppo Marcegaglia, attuale presidente della Confindustria; Marcellino Gavio presidente gruppo Gavio; Caltagirone Bellavista presidente di Acqua Marcia; Davide Maccagni titolare della società Macca.
Costoro, a fronte di un investimento tutto sommato modesto rispetto alle dimensioni dell'operazione e della società rilevata rispetto ai futuri guadagni, si sono impegnati a non rivendere le azioni acquistate prima di cinque anni. E dopo? L'impressione, per non dire la certezza è che le rivenderanno in blocco proprio a una compagnia straniera: Air France-Klm anzitutto la quale potrebbe partecipare da subito all'acquisto di un 20% delle azioni; oppure alla tedesca Lufthansa o all'inglese British Airways anch'esse interessate ad espandersi in Italia. Anche perché la nuova Compagnia aerea italiana privata, così come è stata disegnata nel "piano Fenice" non è competitiva con le grandi compagnie di volo europee e nemmeno nei confronti delle compagnie low-cost per le rotte di piccolo-medio raggio. Il sospetto che per diversi di questi imprenditori si tratti solo di una operazione speculativa finanziaria è forte. Così come si mormora che altri di questi imprenditori si siano lanciati nell'operazione per scopi speculativi edilizi legati alle aree attorno agli aeroporti di Fiumicino e Linate, ad immobili dell'Alitalia in dismissione e agli appalti pubblici per organizzare l'Expo a Milano.

Il piano "Fenice"
In base a quanto è stato detto ai sindacati e a quanto riportato dalla stampa, la vecchia Alitalia viene ridimensionata in tutti i suoi aspetti: saranno liquidati i due hub dell'Alitalia (Malpensa e Fiumicino) sostituiti con sei minihub distribuiti sul territorio nazionale (Roma, Milano, Torino, Napoli, Venezia e Catania). Per Linate si va verso una sostanziale dismissione. Le rotte subiranno un taglio pesante, da 141 a 65 di cui 24 destinazioni all'interno dell'Italia e 49 tra Italia e Europa. All'ultimo minuto, per accontentare la Lega e allo stesso tempo tentare di tacitare le obiezioni sindacali, sono stati aggiunti, nel piano, tra 14 e 16 voli intercontinentali da far partire quasi tutti dallo scalo milanese. Meno rotte, meno aerei dunque. Che passeranno dagli attuali 238 (tra Alitalia e Air One) a 137 aeromobili nel 2009, per attestarsi a 158 nel 2013 di cui 60 nuovi di officina. Le tipologie degli aerei da mettere in servizio caleranno da 7 a 4. La quota di mercato dei voli in Italia della nuova compagnia non andrà oltre il 55%.
Ma il punto più critico e penalizzante riguarda i nuovi assetti occupazionali e la pesantissima perdita di posti di lavoro. Le cifre presentate ai sindacati sono le seguenti: 17.500 sono attualmente i dipendenti occupati in Alitalia e in Air One. Di questi solo 14.250 saranno riassunti: 11.500 andranno nell'area "certa del perimetro della nuova compagnia" cioè avranno il posto assicurato, mentre 2.750 finiranno "in un'area esterna", cioè non faranno parte di Alitalia anche se manterranno uno stipendio, e potranno essere utilizzati anche da altri gruppi. Di questi 2.750 circa 1.600 saranno impiegati in manutenzione ordinaria e 450 saranno destinati ai cargo (che la nuova compagnia tra l'altro non avrà più). Ne restano fuori 700, che operano in amministrazione, information tecnology e call center. Allo stato attuale non si sa se conserveranno o perderanno il posto di lavoro.
Il ministro del lavoro Sacconi ha assicurato che gli "esuberi" calcolati dal governo ammontano a 3.250 unità. Se però non viene trovata soluzione ai 700 ora ricordati si sale subito a circa 4.000. Ma c'è di più e di peggio. Il governo e con esso la nuova compagnia aerea italiana non considera nel conteggio i contratti a tempo determinato che sono numerosi. Nel 2007 questi contratti in Alitalia e in Air One erano complessivamente 4.500 (che sommati ai contratti a tempo indeterminato portava gli organici a 22.000 e non a 17.500). Nel 2008 si sono assottigliati a circa 2.900. Nel "piano Fenice" non c'è posto per loro. Cosicché i lavoratori a rischio di licenziamento si avvicinano ai 7.000.
A conti fatti il piano sponsorizzato dal governo del neoduce risulta persino peggiore di quello proposto da Air France-Klm giacché questo si faceva carico dei debiti, prevedeva un numero maggiore di rotte e di aeromobili e gli "esuberi" contabilizzati erano la metà.

Più lavoro, più flessibilità, meno salario
La nuova compagnia aerea non vuole solo licenziare ma anche imporre, ai dipendenti che assorbe da Alitalia e Air One, ai piloti alle hostess e agli steward, al personale di terra, un nuovo contratto con norme che prevedono più lavoro, più produttività, più flessibilità, più precariato, meno salario e meno diritti. Nella proposta illustrata l'8 settembre ai sindacati, la Compagnia di Colannino chiede infatti ai lavoratori di: accettare la mobilità territoriale unicamente sulla base delle necessità della società; l'aumento delle ore di volo; la riduzione dei giorni di ferie; l'allungamento dell'orario settimanale dalle attuali 37,5 a 40 ore; la rinuncia alla 14 mensilità; il taglio delle indennità per il lavoro festivo e notturno; la decurtazione della paga oraria straordinaria la cui maggiorazione passa da 35 a 25%. Solo le due principali sigle dei piloti, l'Anpac e l'Up, hanno avuto il coraggio di abbandonare per protesta il tavolo della trattativa.
A proposito dei sindacati, per ora non hanno fatto assolutamente nulla. Anzi il loro atteggiamento è risultato perlopiù accomodante. Praticamente nessuno di loro ha messo in discussione la svendita e la privatizzazione dell'Alitalia voluta dal governo del neoduce. Tutt'al più hanno obiettato su singoli punti del piano (il numero degli "esuberi", la cancellazione dei voli intercontinentali e dei Cargo), hanno accettato senza battere ciglio l'ultimatum dettato da Berlusconi, di esprimersi e accordarsi in 10-15 giorni. Il più sbracato e collaborazionista si è mostrato il segretario della Cisl, Bonanni. È già pronto a firmare l'accordo, così come il segretario della Uil Angeletti? Mentre il segretario della Cgil, non è andato oltre ad affermazioni di metodo per lo svolgimento della trattativa e ad affermazioni banali del tipo "non firmeremo qualsiasi accordo".
Questo piano non è accettabile e va respinto. La via da battere era, e rimane, quella della lotta!

10 settembre 2008