La legge delega sulle pensioni accoglie le esose pretese della Confindustria
IL GOVERNO BERLUSCONI COLPISCE A MORTE LA PREVIDENZA PUBBLICA A FAVORE DEI FONDI PRIVATI
Decontribuzione per i neoassunti. Tutto il Tfr nei fondi pensione. Incentivi truffa per rinviare la pensione. Schiaffo ai sindacati che non reagiscono proclamando subito lo sciopero generale
STANGATA PER I GIOVANI E I PRECARI
Se vi era bisogno di una nuova prova di cosa il governo Berlusconi e i suoi ministri del Tesoro e del Lavoro, Tremonti e Maroni, intendono per "dialogo sociale'', basti vedere come si è concluso l'iter per la definizione della delega sulle pensioni collegata alla legge finanziaria 2002: ai sindacati sono state comunicate le decisioni prese dall'esecutivo, piacessero o meno, e respinte tutte le obiezioni e rivendicazioni; mentre con la Confidustria piena disponibilità ad accogliere tutte le pretese padronali.
Già all'inizio dell'ottobre scorso, al momento della presentazione del "Libro bianco'' il leghista Maroni disse chiaramente che il governo avrebbe attuato, in collegamento con la Finanziaria, tre importanti deleghe: sul "mercato del lavoro'', sul fisco e sulla previdenza sociale. E, nonostante i segretari sindacali confederali Cgil, Cisl e Uil, Cofferati, Pezzotta, Angeletti, avessero minacciato la proclamazione di scioperi , ad una ad una le suddette deleghe sono state varate nel modo peggiore per i lavoratori, compresa la manomissione dell'art.18 della legge 300 e dunque la libertà per i padroni di licenziare
L'ultima, quella appunto sulle pensioni il 20 dicembre scorso. Una versione assai diversa e peggiorativa di quella che Maroni fino alla vigilia aveva "concordato'' con i sindacati, un testo di 80 pagine suddiviso in 6 capitoli, comprendente in buona sostanza dei punti richiesti da Confindustria e che i confederali avevano dichiarato inaccettabili. L'ennesima controriforma liberista che colpisce a morte la previdenza pubblica a favore di quella privata. Ciò attraverso una forte decontribuzione per le imprese di tutti i neo-assunti e varie altre agevolazioni; il versamento obbligatorio di tutto il Tfr nei fondi pensione privati; la "liberalizzazione'' dell'età pensionabile e l'incentivazione per indurre i lavoratori a rinviare il momento della pensione; la progressiva estensione delle stesse regole previdenziali per il pubblico impiego.

DECONTRIBUZIONE
Il punto più grave e più avversato da parte sindacale della controriforma Maroni-Tremonti riguarda proprio la riduzione tra il 3 e il 5% degli oneri contributivi dovuti dalle imprese alla previdenza pubblica per i neoassunti, compresi quelli che passano dal contratto a termine a quello a tempo indeterminato. Si tratta di un grosso regalo ai padroni che rischia di tagliare drasticamente le entrate e così aggravare non di poco i conti dell'Inps. Ma come, questi nuovi provvedimenti sulle pensioni non dovevano servire ad affrontare la famosa "gobba'' dei prossimi anni nell'andamento della spesa pensionistica? Strumentale e demagogica risulta la motivazione governativa secondo cui questo sgravio favorirebbe l'occupazione; in quanto al Sud le leggi vigenti garantiscono già questo trattamento per le nuove assunzioni.

GIOVANI E PRECARI
Per quanto i ministri berlusconiani lo neghino, la suddetta decontribuzione non può che rivelarsi, nel tempo, una nuova e forte penalizzazione per le pensioni delle nuove generazioni che saranno calcolate sulla base dei contributi effettivamente versati. Non vale dire che lo svantaggio creato sarà compensato con la fiscalità generale. Chi può dire cosa deciderà in materia il governo in carica nel 2042?
Una stangata alle nuove generazioni e un'analoga stangata ai lavoratori "atipici'', più esattamente ai collaboratori coordinati e continuativi, il famoso "popolo del 10%'', ai quali, in un solo colpo viene aumentata l'aliquota dei contributi di 4 punti percentuale, dal 13 al 17%; senza che questi godano gli stessi diritti degli altri lavoratori autonomi in materia di maternità. sanità, indennità di disoccupazione, ecc..
Le assicurazioni governative sul "costo zero'' della "riforma'' e sulla copertura finanziaria degli sgravi concessi alle imprese non hanno convinto neppure il Ragioniere dello Stato, Andrea Monorchio, che ha espresso dubbi e allarme sulle misure approvate (specie la decontribuzione e la fine del divieto di cumulo pensione-retribuzione) che potrebbero moltiplicare gli effetti sulla spesa pensionistica e rivelarsi disastrosi per i conti pubblici.
Secondo un calcolo apparso nello stesso giornale degli industriali, "Il Sole-24 ore'', ogni punto di contribuzione concorre dopo 40 anni a formare una parte del capitale accumulato (ossia il montante dei ratei di pensione) pari al 28% dell'ultima retribuzione; cosicché decontribuzioni già più alte di due punti percentuali, abbatterebbero il montante in una misura assolutamente inaccettabile perché superiore al vantaggio derivante dalla nuova destinazione del Tfr.

LE LIQUIDAZIONI
Un'altra misura particolarmente grave e che caratterizza la natura e gli scopi della controriforma berlusconiana concerne lo scippo delle liquidazioni (il Tfr) dei lavoratori che d'ora in poi andranno versate, non volontariamente e nemmeno attraverso il silenzio-assenso, ma obbligatoriamente nei fondi pensioni privati. Il presidente dell'Inps, Massimo Paci; l'ha definita "una vera e propria bomba'', in quanto l'obbligatorietà dell'utilizzo del Tfr (pari al 7% circa delle retribuzione lorda) unitamente ad altri provvedimenti di natura fiscale, come l'ampliamento della deducibilità sui versamenti e l'abbattimento dell'aliquota di rendimento, può rappresentare un'energica spinta per lo sviluppo della previdenza complementare, ossia dei 144 fondi pensioni privati in azione, oramai senza più alcuna distinzione tra quelli chiusi di natura contrattuale, di categoria o aziendale e quelli aperti di carattere puramente finanziario e assicurativo. Si tratta di una montagna di denaro, attorno ai 27.000 miliardi (14 miliardi di euro), che non possono non far gola ai pescecani capitalisti.
Mentre per i lavoratori non vi sono reali convenienze, anzi! A loro viene tolto il diritto di disporre della liquidazione; viene ridotta la pensione pubblica che dovrebbe essere compensata da quella complementare. Ma attenzione, ammesso e non concesso che ciò risponda formalmente a verità, i fondi pensione sono legati all'andamento dei mercati finanziari perciò, negli anni in cui le Borse perdono, i rendimenti saranno bassi se non negativi. Senza contare che questi fondi e le aziende cui sono legati possono fallire. Come è accaduto di recente al gigante texano dell'energia Enrom, per dimensioni la settima azienda Usa, presente in 40 paesi, che fallendo ha portato a 15 mila licenziamenti e alla totale perdita del risparmio previdenziale dei dipendenti che avevano aderito al relativo fondo pensione.

RINVIARE LA PENSIONE
La delega contiene inoltre una serie di misure per "convincere'' i lavoratori a rinviare il momento di andare in pensione, una volta maturati i requisiti di vecchiaia (65 anni gli uomini e 60 le donne). La prima sarebbe la cosiddetta "liberalizzazione'' dell'età pensionabile. Il lavoratore potrà continuare l'attività ma solo se l'azienda lo consente, altrimenti subito a casa. Inoltre dovrà licenziarsi e accettare un "contratto a tempo'' per almeno due anni. Quanto agli incentivi previsti, ossia l'esenzione totale dal pagamento dei contributi di cui almeno il 50% dovrebbe essere versato al lavoratore interessato, non sono così convenienti come sembrano. L'Inps infatti ha fatto dei calcoli sintetizzati in due pagine che ha inviato a Tremonti, da cui risulta chiaramente che gli incentivi previsti nella delega sono poca cosa di fronte alla mancata rivalutazione della pensione futura, dovuta alla mancanza di contributi versati negli ultimi anni di lavoro. Anche la parziale cancellazione del divieto di cumulo tra pensione di anzianità e altri redditi da lavoro ha, di fatto, le stesse finalità.
Scontato il commento del presidente della Confindustria Antonio D'Amato, che, soddisfatto, ha giudicato la delega "un provvedimento importante...nella direzione di dare più competitività al sistema produttivo, più slancio alla capacità di attrarre investimenti nel nostro paese''. Mentre non ci sembra all'altezza dello scontro la risposta dei vertici sindacali. I quali, dopo essere stati presi letteralmente in giro, dopo aver ricevuto uno "schiaffone'' in faccia dal governo, a parte le dichiarazioni di rito, per la seconda volta non hanno avuto il coraggio di proclamare lo sciopero generale nazionale di 8 ore per tutte le categorie e si sono limitati ad indire 4 ore di sciopero da effettuare tra il 14 e il 18 gennaio articolate su base provinciale e decise regione per regione con manifestazioni davanti alle sedi delle associazioni industriali.
Costoro sembrano non capire che la tattica delle mezze risposte, dei tempi diluiti e della lotta graduata fa il gioco del governo che, disponendo in parlamento di una consistente maggioranza, procede come lo schiacciasassi; sembrano non capire, per stupidità o per codardia, che continuare a dare corda al neoduce Berlusconi significa impiccarsi con le proprie mani.

3 gennaio 2001