Berlusconi insiste sul presidenzialismo mussoliniano
Feltri preme affinché il neoduce scarichi Fini e si allei con Casini

Berlusconi non molla sul presidenzialismo mussoliniano e intende ottenerlo subito, durante il suo mandato, entro la corrente legislatura, con o senza l'assenso dell'"opposizione" parlamentare. È quanto ha mandato a dire attraverso l'ultima dell'interminabile lista di "anticipazioni" tratte dal libro del suo maggiordomo Bruno Vespa: "Sarà il parlamento nei prossimi mesi - ha sentenziato il neoduce - a definire quale sia il modello più adatto alla realtà italiana. Ciò che conta è che il titolare del potere esecutivo venga scelto direttamente dal popolo. E con lui la forma di governo. È ora che la Costituzione formale sia aggiornata e messa al passo con la realtà del Paese".
Il nuovo proclama vespasiano è stato annunciato il 4 novembre scorso, tra una cerimonia all'"altare della patria" insieme a Napolitano e l'ennesima incursione mediatica a L'Aquila per consegnare un altro lotto di casette ad alcune "miracolate" famiglie di terremotati, con tanto di collegamento tv con la trasmissione di Raiuno La vita in diretta di Lamberto Sposini. Al quale ha ribadito di essere pronto ad andare avanti con le "riforme" anche senza l'opposizione, perché "fin quando saranno in funzione le fabbriche del fango e dell'odio non sarà possibile, e io non sono così ottimista nel pensare che queste fabbriche saranno chiuse".
Prima ancora di riaprire questa partita strategica, però, il neoduce ha bisogno di ottenere subito un nuovo accordo interno alla sua maggioranza, in particolare sul nodo della giustizia, e segnatamente su un provvedimento urgente che, dopo la cancellazione del lodo Alfano, lo metta al riparo dai processi pendenti al tribunale di Milano almeno per tutto il resto della legislatura, quando poi la nuova Costituzione fascista della terza repubblica e la sua elezione plebiscitaria dovrebbero metterlo per sempre al di sopra della legge.
Ma su questo punto cruciale la distanza con Fini si era fatta ultimamente sempre più marcata, tanto che la finiana Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia della Camera, aveva respinto come improponibile il progetto annunciato dall'avvocato del premier, Ghedini, di presentare una legge per accorciare ulteriormente la durata della prescrizione, perché insieme ai processi di Berlusconi ne farebbe decadere altre centinaia, se non migliaia, e ciò si risolverebbe in un "indulto mascherato".
Anche Napolitano aveva fatto sapere di non essere favorevole a firmare una legge per la prescrizione breve, mentre invece sarebbe disponibile a una legge per accorciare la durata dei processi, sulla quale c'era già una proposta del PD e che anche Fini aveva dichiarato di apprezzare. Una soluzione, questa suggerita dal capo dello Stato e dal presidente della Camera, che il neoduce considerava solo come carta di riserva, perché lo metterebbe al sicuro al cento per cento solo dal processo Mills ma non dagli altri due.
Perfino la Lega, pur ripetendo la sua assoluta lealtà all'alleanza col premier e ribadendogli la sua solidarietà contro la "persecuzione giudiziaria", nicchiava sulla questione per rialzare il prezzo nella trattativa sulle candidature alle regionali, dove oltre al Veneto punta ad ottenere anche il Piemonte e senza rinunciare al ministero dell'Agricoltura.

Ultimatum del neoduce agli alleati
Una situazione di stallo che aveva portato al rinvio di un vertice tra Berlusconi, Fini e Bossi convocato per la stessa giornata del 4 novembre, nel quale si sarebbe dovuto trovare "la quadra" per rispondere alle pressanti esigenze giudiziarie del neoduce e rilanciare l'alleanza di governo.
Da qui l'ira di Berlusconi, che per sbloccare la situazione ha deciso di lanciare un ultimatum ai suoi alleati, ma soprattutto a Fini, mettendoli di fronte all'alternativa di sottoscrivere un patto di legislatura, a cominciare da una nuova legge blocca-processi, ma anche quella ancora bloccata sulle intercettazioni, nonché le "riforme" della Giustizia, del Csm e del processo penale, oppure di andare alle elezioni anticipate. Però non lo ha fatto direttamente, ma come al solito lo ha fatto dire dal suo mastino Feltri, con un paio di editoriali uno più velenoso dell'altro sul quotidiano di famiglia Il Giornale.
Nel primo, pubblicato il 5 novembre col titolo "Caro Fini, adesso parla chiaro", si accusa il presidente della Camera di "ambiguità politica", anzi di lavorare più per l'opposizione che per la coalizione di governo, e di mettere continuamente i bastoni tra le ruote alla "riforma" della giustizia e a tutte le altre iniziative di Berlusconi, dal quale ormai lo separa "un abisso". E si conclude invocando un "predellino due": cioè, spiega Feltri, "un PdL pronto a correre da solo, alleggerito dalla zavorra, e a strappare la maggioranza con il noto premio, quindi ad allearsi con chi ci starà, la Lega e magari l'UdC. Se ciò avvenisse, Berlusconi avrebbe facoltà di riformare quanto gli garba".
E in effetti è proprio quel che è successo, con Berlusconi che mentre rinviava il vertice con Fini e prima del nuovo appuntamento fissato al 10 novembre, si incontrava intanto con Casini a Palazzo Chigi, dove pur non ottenendo un accordo ufficiale su candidature comuni alle regionali (il leader UdC ha ribadito che il suo partito "correrà da solo" e deciderà "caso per caso"), ha ricevuto tuttavia caute aperture sul tema giudiziario. Casini gli ha promesso infatti un'attenzione non pregiudiziale in parlamento su un "progetto complessivo di riforma della giustizia".

Un vertice per contare "amici" e "nemici"
Contemporaneamente Il neoduce mandava un vero e proprio ultimatum a Fini attraverso il secondo editoriale di Feltri, che su Il Giornale dell'8 novembre così preannunciava la "settimana di passione" che avrebbe visto il vertice decisivo tra Berlusconi e i suoi alleati: "Chi non ci sta, fuori dal PdL". Secondo Feltri, infatti, Berlusconi si presenterà a questo vertice con un documento da far firmare a tutti in cui i suoi alleati di governo si impegneranno "nero su bianco" a sostenere in parlamento un provvedimento che sostituisca il decaduto lodo Alfano, e chi non firmerà si smaschererà da sé come un nemico, e "i nemici saranno gentilmente accompagnati alla porta". Se poi (come Mussolini al gran consiglio del fascismo il 25 luglio 1943, ndr), Berlusconi si dovesse invece trovare in minoranza, allora "si appellerà agli elettori, cui spetta l'ultima parola", conclude Feltri agitando lo spauracchio dello scioglimento della legislatura e delle elezioni anticipate.
In realtà, come c'era da immaginarsi, il summit del 10 novembre tra il neoduce e il caporione fascista è stato meno cruento di quanto annunciato da Feltri. I due, "riconosciuta impraticabile" l'ipotesi di un provvedimento urgente per la prescrizione breve, hanno trovato un accordo sulla base dell'ipotesi suggerita anche da Napolitano, quella cioè dell'accorciamento dei tempi dei processi, limitatamente ai cittadini "incensurati" (tra cui, guarda caso, anche Berlusconi). Ciò che intanto basta a mettere una pietra sopra al processo Mills e garantire la sopravvivenza del governo, Per gli altri processi c'è tutto il tempo di inventarsi qualcos'altro. Per di più Fini si è ulteriormente allargato verso il premier, dichiarando che anche per quanto riguarda la reintroduzione dell'immunità parlamentare "discuterne non è uno scandalo".
Che cosa gli abbia dato o promesso il neoduce in cambio di questo repentino ammorbidimento non è dato saperlo, e nemmeno quanto e se durerà la tregua concordata tra i due, ma certamente ora la partita si gioca sulle trattative per le candidature alle prossime elezioni regionali, in cui il terzo interlocutore è Bossi. Intanto, dietro le quinte di questo sconcio balletto interno alla maggioranza neofascista nero-verde, c'è chi come ad esempio Letta e Calderoli, tesse alacremente la tela per una ripresa del "dialogo" tra governo e opposizione parlamentare sulla controriforma della Costituzione, magari ripartendo dal federalismo e dalla proposta Violante-Bocchino già approvata nella scorsa legislatura. Un "dialogo" sul quale anche il neo eletto segretario del PD Bersani, nel suo discorso di insediamento, ha lanciato dei segnali alla maggioranza.
Per non parlare di Napolitano che non cessa mai di invocarlo, come ha fatto ultimamente quando, pur respingendo l'idea di "riforme di corto respiro" (alludendo a un nuovo surrogato del lodo Alfano, ndr) ha esortato i magistrati ad "aprirsi al dialogo e all'ascolto" delle proposte delle forze politiche sulla "riforma" della giustizia. Che potrebbe iniziare proprio dal cosiddetto "processo breve" che è stato oggetto della "ritrovata intesa" tra il neoduce Berlusconi e il caporione fascista Fini.

11 novembre 2009