Inconcludente dibattito in parlamento sulla verifica della maggioranza governativa
Berlusconi non si schioda va abbattuto con un nuovo 25 Aprile
Le opposizioni di cartone non presentano nemmeno una mozione di sfiducia. Di Pietro elemosina a Bersani un incontro per costruire insieme "l'alternativa riformista", ma non si parli di sinistra. Nessuno denuncia la P4
Il 21 giugno al Senato e il 22 alla Camera si è svolto il dibattito parlamentare sulla verifica della maggioranza di governo. Quella cioè che era stata chiesta da Napolitano, ancor prima delle elezioni amministrative di maggio, dopo le proteste e le polemiche per la scandalosa distribuzione da parte di Berlusconi di una prima tranche di posti di sottogoverno ai parlamentari mercenari del gruppo dei "responsabili", in pagamento del loro cambio di casacca per puntellare la sua precaria maggioranza.
Sul momento il neoduce aveva preso male la richiesta del Quirinale, ritenendola un'indebita ingerenza, ma poi aveva capito che il capo dello Stato non mirava affatto a far cadere il governo, anzi voleva una sua rilegittimazione ufficiale, che tappando la bocca a quanti lo accusavano di reggersi solo su voti comprati, gli consentisse di continuare per tutta la legislatura: al nuovo Vittorio Emanuele III, infatti, interessa sopra ogni altra cosa che si faccia la manovra da oltre 40 miliardi chiesta dalla UE al nostro Paese, che l'Italia rispetti i suoi "obblighi" internazionali, con in testa gli impegni militari in Libia e in Afghanistan, e che si facciano urgentemente le "riforme istituzionali".
Tutte cose che una crisi di governo, con elezioni anticipate dall'esito incerto, metterebbe fortemente a rischio.
Ed è forte di questo scudo del Quirinale, ribadito da Napolitano anche nel discorso e nel messaggio del 2 giugno per la festa della Repubblica, in cui aveva chiesto a tutte le forze politiche "il massimo di coesione" e "un nuovo grande impegno collettivo", che Berlusconi ha potuto affrontare e superare in tutta tranquillità la verifica parlamentare, uscendone addirittura rafforzato nonostante le due poderose sberle politiche appena incassate dal voto amministrativo e dai referendum. Naturalmente ha contato molto anche l'accordo preventivo con Bossi, il quale come leader di un partito in calo di consensi, si rende ormai conto di essere legato a doppio filo alle sorti del cavaliere piduista, insidiato com'è nel suo potere finora indiscusso dai suoi stessi gerarchi; come dimostra lo scontro duro con Maroni, che aveva cercato invano di imporre un suo uomo alla presidenza dei deputati leghisti. La riconferma di Reguzzoni, fedelissimo del capo e di Berlusconi, aveva invece cementato il rinnovato asse di ferro tra il neoduce e il caporione leghista.

"Opposizione" imbelle e rassegnata
A spianare il terreno al nuovo Mussolini ha contato anche e non poco l'atteggiamento imbelle e opportunista delle opposizioni di cartone, che hanno rinunciato perfino a presentare proprie mozioni di sfiducia, tanto che il neoduce non ha avuto nemmeno bisogno di chiedere a sua volta il voto di fiducia sulla sua maggioranza di governo. A farle desistere dal dare battaglia è bastato il voto sul "decreto sviluppo", approvato il 21 stesso con 317 voti a favore e 293 contrari, ciò che ha permesso al premier di vantarsi di aver raggiunto, per la prima volta dal 14 dicembre scorso, la maggioranza assoluta in parlamento (316 voti). E forse, oltre alla rassegnazione di fronte al potere corruttivo ancora forte di quest'uomo nel tenersi stretta la sua maggioranza, fatta di suoi dipendenti e nominati, affaristi, venduti al miglior offerente e inquisiti, ha contato anche, nella scelta capitolazionista dell'"opposizione", il timore di essere accusata di puntare allo sfascio in un momento di grave crisi finanziaria internazionale, con possibili ripercussioni incontrollate nel caso di una crisi di governo "al buio". Cioè lo scenario che Napolitano vuole scongiurare ad ogni costo.
Berlusconi lo sa, e proprio su questo ha centrato il suo discorso, appellandosi al monito del capo dello Stato nell'esordire dicendosi convinto che "in una situazione di crisi come l'attuale, dovremo tutti lavorare insieme nell'interesse dell'Italia". Dopodiché, richiamandosi alla maggioranza assoluta appena intascata sul "decreto sviluppo", ha proclamato con iattanza che "la maggioranza c'è, ed è forte e coesa, ed è l'unica in grado di garantire la governabilità del Paese in un momento così difficile", ribadendo altresì la sua intenzione di "completare il programma di governo per il 2013, arrivando alla scadenza naturale della legislatura". "Se il governo cadesse - ha aggiunto infatti il neoduce in tono minaccioso - immediatamente vedremmo alzarsi i costi di finanziamento del nostro debito pubblico; dovremmo tagliare risorse alla sanità, alla scuola, alla cultura per pagare i maggiori interessi su BOT e CCT. Sarebbe una sciagura, non per il presidente del Consiglio, non per il governo, non per i parlamentari della maggioranza: sarebbe una sciagura per l'Italia, per la sua solidità finanziaria, per il suo futuro, per il futuro dei nostri giovani".
Insomma, o me o il diluvio: così è suonato in pratica l'arrogante proclama del nuovo Mussolini. "Anche perché - ha voluto rimarcare in tono derisorio - non esiste alcuna alternativa a questo governo e a questa maggioranza", e "le tre o quattro opposizioni esistenti in aula e nel Paese sono profondamente divise tra loro e non sono in grado di esprimere un leader e un programma". Tuttavia il neoduce si degna di concedere ad esse la possibilità di "dare nei prossimi mesi un importante contributo nell'elaborazione delle riforme in programma"; e in particolare ai suoi "settori più moderati" (leggi UDC), offre addirittura "l'ingresso nella maggioranza": perché, "sia chiaro - ha aggiunto magnanimo e invitante, rivolto palesemente a Casini - non voglio rimanere per sempre a Palazzo Chigi o fare il leader a vita del Centrodestra. Vi assicuro che è un grande sacrificio, grandissimo".
Dopo aver pagato il contributo a Pontida, annunciando la presentazione della delega per la riforma fiscale entro l'estate, con la riduzione delle aliquote da cinque a tre, e la modifica del Patto di stabilità per premiare le "regioni virtuose" (tutte al Nord, ovviamente) e punire quelle che non lo sono (ovviamente tutte al Sud), Berlusconi ha poi annunciato la "riforma dell'architettura costituzionale", da realizzare al più presto con un disegno di legge costituzionale che sarà presentato prima della pausa estiva. E infine ha osannato la rinnovata alleanza di ferro con Bossi: "Hanno provato in tutti i modi a dividerci, ma non ci sono riusciti, e non ci riusciranno in futuro", ha detto il nuovo Mussolini in tono esaltato, come se parlasse di un matrimonio piuttosto che di un'alleanza politica: "Insieme - ha concluso - noi realizzeremo la riforma della Costituzione, del fisco e della giustizia, nel totale rispetto del programma votato dagli italiani".

Le "sfide" liberali e riformiste di Bersani e Di Pietro al neoduce
Anche negli interventi l'opposizione di cartone è stata arrendevole e rinunciataria, con il leader del PD liberale, Bersani, che non ha saputo fare di meglio che sfidare ridicolmente Berlusconi a fare sul serio le "riforme" che annuncia, dicendosi pronto da parte sua a votargliele: "Non avete affrontato la crisi, avete raccontato favole, non avete messo il coraggio per riforme vere. Riforma fiscale? Sì, perbacco, ma è da tre anni che bisognava metterla in moto. Liberalizzazioni? Sì, perbacco, non privatizzazioni forzate. Pubblica amministrazione? Sì, perbacco, non giaculatorie contro gli insegnanti fannulloni. Adesso sento che vogliono dimezzare il numero dei parlamentari. Vi informo che noi da tre anni abbiamo depositato una proposta di legge per il dimezzamento del numero dei parlamentari. Volete portarla qui, che la votiamo?".
A sentir lui il governo del neoduce è colpevole solo di omissione di atti d'ufficio, di "tirare a campare". Neanche una parola sui tanti provvedimenti neofascisti, liberticidi e razzisti, sulla macelleria sociale che ha rovesciato sulle masse e sull'interventismo imperialista che ha ulteriormente incrementato. E nemmeno un accenno alla P4 e ai provvedimenti fascisti che il neoduce ha immediatamente fatto rimettere in cantiere per soffocare lo scandalo, come la legge-bavaglio sulle intercettazioni e quella sulla responsabilità civile dei giudici per "manifesta violazione del diritto".
Ancor più arrendevole, al limite dell'offerta di inciucio, è stato Di Pietro. Dopo che aveva parlottato fitto e in tono cordiale col premier in aula, costui ha fatto un intervento tutto miele, riconoscendogli piena ragione nel rivendicare il diritto garantito dai numeri di governare fino al 2013 (mentre fino a ieri ne aveva sempre chiesto le dimissioni), così come sul fatto che non c'è nell'opposizione un programma e una leadership in grado di costituire un'alternativa a questo governo: "Ho sentito l'onorevole Martino, prima, quando diceva: voi cosa offrite in alternativa? Lo devo dire qui, davanti a tutti, pubblicamente: non lo so", è stata infatti la sorprendente uscita del leader IDV.
Dopodiché si è rivolto a Bersani, chiedendogli di convocare l'opposizione "per vedere che cosa bisogna fare, non può aspettare neanche un minuto". Basta però che sia per un'alternativa non di sinistra ma liberale, e non guidata da Vendola: "Non me la sento di portare il Paese verso un oscuro premier, che, magari, parla bene, affabula tanto, ma che poi, in concreto, non so se ha in capo un mondo liberale, un mondo fatto anche di economia basato sulla libera concorrenza, sulla meritocrazia, sull'efficienza del servizio pubblico e quant'altro", ha sottolineato infatti Di Pietro. E ricordando che l'IDV fa parte dei Liberaldemocratici europei, ha aggiunto: "Io non ci sto, io non ci sto più, a sentir parlare, ogni volta che si parla di opposizione, della sinistra. L'opposizione a questo governo è fatta non solo dalla sinistra", ma anche da forze che mettono insieme "solidarietà e libero mercato".

Non appagarsi del "vento nuovo" elettorale
E così, alla fine, il presidenzialista e liberista Di Pietro ha rivelato la sua vera anima di destra. Evidentemente, vista esaurita la sua presa elettorale "giustizialista" a sinistra del PD, per la sopravvenuta concorrenza dei vari Vendola, Grillo, De Magistris, Pisapia e chi più ne ha più ne metta, si è buttato sull'altro versante, cercando di rifarsi un'immagine di leader "responsabile" e "moderato", come si era già visto dopo la vittoria dei Sì ai referendum. Al punto da raccogliere l'invito del neoduce alle opposizioni a collaborare "per il bene del Paese", offrendogli ufficialmente di votargli quei provvedimenti che dovessero andare in questo senso: "Lei ha chiesto all'opposizione di essere forte e coerente. Io la sfido, però porti dei provvedimenti che servono al Paese, non porti più, come ha fatto finora, provvedimenti e leggi ad personam". Inutile dire che si sono sprecati gli elogi ufficiali, negli interventi dei gerarchi di Berlusconi, per questa inaspettata e stupefacente giravolta del leader IDV. Così come, del resto, non sono mancate le critiche indignate di tantissimi suoi elettori sul suo blog ufficiale in Internet. Mentre invece una gratuita difesa d'ufficio gli è arrivata dal neoeletto sindaco di Napoli, De Magistris il quale, pur dissentendo dalla sua "svolta centrista", non si scandalizza per il suo inatteso colloquio in parlamento con colui che fino a ieri aveva paragonato a Mussolini e definito un mafioso, ma lo considera "normale", anzi "auspicabile in un quadro di rapporti corretti tra maggioranza e opposizione" (intervista a La Repubblica del 26 giugno).
Tutto questo, comunque, non fa che confermare ciò che abbiamo detto subito dopo i risultati elettorali, e cioè che non sarà il "vento nuovo" elettorale che potrà liberarci del nuovo Mussolini, perché egli ha tuttora la maggioranza in parlamento ed è deciso a rimanere abbarbicato alla poltrona ad ogni costo, sapendo benissimo che la sua defenestrazione da Palazzo Chigi potrebbe essere l'inizio della fine, per lui. Egli non esiterà a scatenare la violenza reazionaria pur di restare in sella, come ha fatto contro il movimento studentesco il 14 dicembre e contro i precari che manifestavano davanti a Montecitorio proprio durante la verifica. Per non parlare, ancor più di recente, dell'aggressione violenta della polizia di Maroni scatenata contro i manifestanti No Tav in Val di Susa. E perciò non bisogna appagarsi delle due sberle elettorali che gli sono state affibbiate e abbassare la guardia. La questione di un nuovo 25 Aprile per buttare giù il nuovo Mussolini con la lotta di piazza è più all'ordine del giorno che mai.

29 giugno 2011