Era nel piano della P2, e per un soffio non è andata in porto con la Bicamerale golpista di D'Alema
Berlusconi ripropone la repubblica presidenziale
Per Bersani il presidenzialismo non è un tabù, ma non ci sono le condizioni e i tempi per realizzarlo
Monti: "le riforme sono cruciali"

Il 25 maggio, nella sala Koch di palazzo Madama, gremita dai suoi deputati e senatori convocati militarmente da Cicchitto e Gasparri e assediata da giornalisti e telecamere richiamati con l'annuncio di una "grande novità", il neoduce Berlusconi, affiancato dal suo "delfino" Alfano, ha presentato una sua proposta di repubblica presidenziale con elezione diretta del capo dello Stato a doppio turno sul modello francese.
"A noi è cominciato a venire il desiderio di approfondire quello che da trent'anni si è portato sui tavoli tutte le volte che si è trattato di parlare della riforma della Costituzione. E cioè la possibilità che siano i cittadini stessi a decidere con il loro voto direttamente circa il presidente della Repubblica", ha esordito l'ex premier, aggiungendo che il momento è quantomai favorevole grazie a "tre fortunate coincidenze", che sarebbero l'approssimarsi della scadenza della legislatura, la scadenza del mandato di "un eccellente presidente" e la discussione del progetto di "riforma" costituzionale depositato in Senato, il cui inizio è previsto la prossima settimana. E secondo lui "esistono i tempi per arrivare prima della fine della legislatura a un cambiamento della Costituzione e, Dio volesse, magari all'introduzione di questa novità, di questa innovazione".
Per rafforzare la sua proposta presidenzialista è ricorso a questo paragone ad effetto: "Vogliamo continuare a essere nella situazione di Atene, cioè un Paese ingovernabile, o di Parigi, in cui in pochi giorni i cittadini hanno visto formarsi un governo, con il presidente che è andato a rappresentare il Paese con la Germania e poi al G8 con Obama? Vogliamo essere Atene in una situazione di assoluta ingovernabilità? La risposta è ovvia".
Dopodiché ha lanciato l'esca al PD sulla "riforma" della legge elettorale, ben sapendo che ultimamente, dopo le presidenziali francesi e la frantumazione del voto emersa dalle recenti amministrative, all'interno del partito di Bersani hanno ricominciato a prevalere le mai sopite tentazioni verso il maggioritario a doppio turno alla francese: "Siamo a disposizione e dico agli amici della opposizione (sic) che se dovessero accettare la profonda innovazione della architettura istituzionale che proponiamo saremmo disponibili a seguirli sulle loro idee anche sul sistema elettorale", ha annunciato infatti il neoduce, che ad una domanda specifica su quale sarebbe il suo modello preferito ha precisato: "Noi intendiamo proporre il modello francese, quindi necessariamente con il doppio turno".

"Mi candiderò se me lo chiede il (mio) partito"
Ovviamente, a questa proposta così formulata mancava un tassello fondamentale, quello più importante, ma sono bastati un paio di episodi a chiarirlo: il primo è stato il "lapsus" di Alfano, quando nel suo intervento si è rivolto al neoduce con la frase "come ha detto il presidente della Repubblica ...", per poi correggersi con (finto?) imbarazzo: "il presidente Berlusconi". E il secondo quando un giornalista ha chiesto all'ex premier se intende candidarsi egli stesso per il Quirinale nell'ambito della sua proposta presidenzialista: "Farò quello che mi chiederà di fare il Popolo delle libertà - ha risposto con finta compunzione il nuovo Mussolini - ho questo senso di responsabilità e sono ancora qui perché eletto da molti milioni di italiani". Comunque non esclude nemmeno di candidarsi nuovamente come premier, in caso la sua proposta non andasse in porto in tempo per le prossime elezioni politiche. A domanda ha risposto infatti cautamente di averne discusso nel PDL e di aver confermato di "preferire di non essere io".
La proposta di Berlusconi è stata accolta con scetticismo dagli altri partiti, che per lo più l'hanno giudicata o come un diversivo per non affrontare la crisi del PDL, o come non realizzabile nel poco tempo rimasto alla fine della legislatura. O le due cose insieme, come si legge nella dichiarazione del liberale Bersani: "Il presidenzialismo per noi non è un tabù, il vero problema è che non vediamo le condizioni politiche né i tempi per affrontare credibilmente la questione da qui alla fine della legislatura". E ha poi aggiunto: "Viene da pensare che attraverso questa via non si voglia fare nulla di nulla. Io dico: al Senato abbiamo una riforma della Costituzione all'esame. Evitiamo di lasciare questo 'carro' per salire su un altro che non sappiamo se arriverà a destinazione".
Quindi per Bersani è solo una questione di tempi insufficienti, altrimenti sarebbe dispostissimo a trattare col neoduce per fare la controriforma presidenzialista della Costituzione. Non ha cioè da avanzare nessuna obiezione di principio, così come non ha nemmeno fatto caso alla sua nuova autocandidatura al Quirinale, che evidentemente non l'ha scandalizzato più di tanto, visto che si è limitato a commentarla dicendo di non aver "mai pensato che volesse andare al mare". Non c'è da stupirsene, dal momento che già 15 anni fa, con la Bicamerale golpista di D'Alema, il PD era arrivato a un passo dall'accordarsi col neoduce per introdurre il presidenzialismo nella Costituzione, e se il progetto all'ultimo momento non andò in porto fu solo perché fu lo stesso Berlusconi a non fidarsi e a buttare all'aria il tavolo preferendo tentare la via del ritorno al governo per attuarlo di sua propria mano, con l'aiuto del caporione fascista Fini, del bandito leghista Bossi e del democristiano Casini.
Da quella parte, insomma, il neoduce sa di trovare sempre orecchie sensibili e nostalgiche, a cominciare dal rinnegato D'Alema, dall'anticomunista Veltroni e così via, per cui ora ci riprova sapendo che da solo e senza più i suoi ex alleati non ce la può fare. Non a caso non sono mancate, nel PD, le voci pronte a raccogliere il suo invito, come il presidenzialista Parisi, che ha subito dichiarato: "Se il gruppo dirigente del PD è, come ha detto D'Alema, veramente a favore del modello francese, sfidi Berlusconi per svelare il suo bluff. Denunci pubblicamente il suo improvviso voltafaccia dimostrando che la proposta di tornare al proporzionale avanzata da Violante era dovuta all'indisponibilità della destra ad ogni cambiamento".

Nel solco della P2 di Gelli
Ma la proposta presidenzialista di Berlusconi non è affatto un bluff, e il PD lo sa benissimo, se non altro per aver fatto parte della commissione parlamentare sulla P2, che appurò come la repubblica presidenziale fosse nel progetto di Gelli, che la pose in testa allo "Schema R" che nell'agosto 1975 consegnò segretamente all'allora presidente democristiano Leone: "Revisione della Costituzione del 1948 per trasformare l'Italia da repubblica parlamentare a repubblica presidenziale", si leggeva infatti in cima a quel memorandum, insieme a tutta una serie di altri suggerimenti golpisti come la proclamazione dello Stato di polizia, l'aumento dei poteri delle "forze dell'ordine", il ripristino della pena di morte, ecc.
D'altra parte non è che la proposta di Berlusconi escluda di puntare anche alla controriforma costituzionale giacente al Senato e sulla quale sono d'accordo anche Bersani e Casini. Su questo semmai è proprio il leader del PD a bluffare. Infatti Berlusconi ha detto chiaramente di voler procedere in tutte e due le direzioni contemporaneamente. E poi, non erano queste controriforme, come la riduzione del numero dei parlamentari, l'approvazione delle leggi da parte di un solo ramo del parlamento, i poteri speciali al premier, la "sfiducia costruttiva", ecc., che piacciono tanto a Bersani e che vorrebbe approvarle a tambur battente insieme al maggioritario a doppio turno, contenute anch'esse nel progetto di Gelli che le aveva inserite nel "Piano di rinascita democratica"?
Nonostante il liberale Bersani cerchi di snobbarlo, Berlusconi fa invece sul serio, sapendo di avere dalla sua parte due alleati e sponsor fortissimi: Napolitano e Monti, il quale ultimo, non a caso, ha subito appoggiato la sua sortita dichiarando che "le riforme sono cruciali" per il Paese. E prova ne sia che lo stesso neoduce ha voluto ribadire che le sue dimissioni furono date proprio per favorirle, d'accordo con Napolitano e Monti: "Decidemmo - ha detto infatti in margine al suo discorso di Palazzo Madama - di fare un passo indietro non tanto perché c'era la crisi delle Borse e l'aumento dello Spread ... ma perché ci parve necessario, anche su insistenza di importanti istituzioni del nostro paese, di lasciare il posto a un governo tecnico che avrebbe consentito un incontro tra maggioranza e opposizione e a una trattativa sul cambiamento dell'architettura istituzionale".

30 maggio 2012