Dalle colonne compiacenti del reazionario e anticomunista quotidiano nazionale "La Nazione", "Il Giorno", "Il Resto del Carlino"
Bertinotti, come Berlusconi, attacca il socialismo
Il leader del PRC ricalca la linea di Trotzki
"Io comunista? Sì, certo. O meglio: spero di esserlo". Comincia così - ed è tutto un programma - l'intervista di Bertinotti ad Andrea Cangini per il quotidiano nazionale "La Nazione", "Il Giorno", "Il Resto del Carlino" pubblicata il 21 ottobre scorso. Sì, perché, come emerge dall'intervista, per il segretario del PRC il comunismo è un vuoto ideale astratto, una specie di sogno ad occhi aperti che "non è mai diventato realtà storica" e mai lo diverrà, ma come la falce e il martello si tratta solo di "simboli che parlano del mito e si rivolgono alle viscere e alla fantasia".
Il "comunismo storico" (e con questo termine egli si riferisce al socialismo realizzato nell'Urss di Lenin e Stalin e nella Cina di Mao), invece per Bertinotti ha fallito, ed è da considerarsi un'esperienza negativa e chiusa per sempre. Infatti, a suo dire, "le società post-rivoluzionarie non erano comuniste", e "laddove il comunismo è divenuto Stato, il primo sconfitto è stato proprio il movimento operaio". In particolare, per quanto riguarda l'Urss, "come tutte le società post-rivoluzionarie si è definita comunista per ragioni politiche. Ma, in realtà, il comunismo non è mai stato messo in pratica".
Come tutti i trotzkisti il leader del PRC attacca le uniche esperienze storiche concrete di socialismo, che sono quelle dell'Unione Sovietica di Lenin e Stalin e della Cina di Mao, per negare in realtà l'idea stessa di socialismo e accettare quindi il capitalismo, sia pure "temperato" attraverso il riformismo, come unica società possibile. Non a caso le "tre ragioni del fallimento del comunismo storico" che egli indica all'intervistatore ricalcano fedelmente la linea fallimentare e storicamente battuta di Trotzki, e che sono secondo lui "il rinchiudersi nella dimensione nazionale" del movimento comunista anziché il "dispiegarsi su scala mondiale", l'"idea del primato del partito, che sacrifica il dispiegarsi di tutti i conflitti" e "una certa concezione del potere rappresentata dalla drammaticità della scorciatoia rivoluzionaria".
In altre parole Bertinotti attribuisce il "fallimento del comunismo storico" alla scelta della dittatura del proletariato invece della democrazia borghese, che egli ormai riconosce come l'unica forma di governo possibile e auspicabile. Non per nulla il quotidiano reazionario e anticomunista che lo ospita ha potuto, ben a ragione e senza essere d'altronde smentito dall'interessato, titolare così l'intervista al leader neorevisionista e trotzkista di Rifondazione: "Il segretario del PRC a Berlusconi - Bertinotti: 'lo ammetto, il comunismo ha fallito"'. Un modo per sottolineare che l'intervista di Bertinotti era la risposta diretta all'invito di Berlusconi ai riformisti e liberali della "sinistra" borghese, rivolto nella contemporanea intervista del neoduce a "Liberal", a prendere definitivamente le distanze dalla storia e dai "crimini" del comunismo dichiarandosi anch'essi anticomunisti come lui.
E in effetti lo era, visti gli attacchi di Bertinotti al socialismo che avvalorano oggettivamente quelli ossessivi e forsennati di Berlusconi. Tanto che l'unica cosa che questo falso comunista rimprovera ai liberali è di voler "stravincere", perché "anche loro - si lamenta nell'intervista l'imbroglione trotzkista - pensavano di poter realizzare le proprie idee e hanno fallito. La differenza è che io ammetto la sconfitta del comunismo storico, mentre loro negano quella del "liberalismo".