Come i fascisti
BERTINOTTI ATTACCA STALIN E L'ESPERIENZA STORICA DEL SOCIALISMO
Su Liberazione di domenica 3 settembre, rispondendo alla lettera indirizzatagli per e-mail da un lettore, Bertinotti lancia un attacco a tutto campo a Stalin e più in generale a tutta l'esperienza storica della costruzione del socialismo. Il lettore, che si definisce "un ragazzo di 18 anni che già da anni milita con orgoglio nel PRC'', può essere una persona reale, come invece un'invenzione di Bertinotti per creare il pretesto all'intervento. Un dubbio legittimo, visto che addirittura il lettore gli indirizza una seconda e-mail che dà luogo a un secondo e ancor più violento attacco sul giornale della domenica successiva.
Reale o fabbricato che sia, il lettore in questione sostiene in sintesi che ci sia ancora "troppa accondiscendenza'' nei confronti "di persone che in nome del comunismo hanno commesso crimini atroci'', negando "il principio di libertà che è alla base del socialismo'', e in particolare nei confronti di Stalin, "che per tanti anni è stato il capo indiscusso dei comunisti di tutto il mondo, pur macchiandosi di gravi crimini, spesso rivolti contro altri comunisti''.
Definendo "assolutamente ineludibili'' i problemi sollevati dal lettore, e rispondendo che la questione di Stalin "non riguarda solo il giudizio sulla sua persona ma evidentemente ci coinvolge in una discussione sull'intera esperienza storica del movimento operaio e comunista del Novecento'', Bertinotti si produce in un lungo intervento per spiegare le ragioni di fondo del "fallimento'' della "dimensione statuale del movimento comunista'', cioè evidentemente della costruzione del socialismo nell' Urss di Lenin e Stalin, da lui definita un'esperienza per sempre "chiusa e non più riproponibile in quei termini''.
In questo intervento Bertinotti sostiene che "l'esperienza postrivoluzionaria sovietica'' è stata caratterizzata da "limiti, errori ed orrori (sic!)'', che vanno analizzati "senza indulgere a giustificazioni o a concezioni deterministiche'' (tipo l'accerchiamento dell'Urss dalle potenze imperialiste), ed attribuisce in sostanza le cause di questi "orrori'' del socialismo sovietico ad una mancanza di libertà "delle comunità e dei singoli'' e al prevalere di una concezione "di tipo militare nella conduzione della lotta di classe e nell'organizzazione dei partiti operai e comunisti''.

IL SOCIALISMO, "NUOVA FORMA DI OPPRESSIONE''

Secondo il segretario del PRC "l'assenza, a partire dalla stessa teoria di Marx, di una teoria dello Stato, e conseguentemente dell'organizzazione sociale, dei diritti e delle legalità'', avrebbe portato a "un tragico capovolgimento: il movimento comunista che aveva avanzato la più alta idea di libertà conosciuta nella storia del pensiero umano, perché fondata sulla critica radicale alla proprietà e allo sfruttamento, dava vita a sistemi politici capaci di produrre nuove forme di oppressione''. In aggiunta a questo, sempre secondo Bertinotti, il prevalere della "concezione di tipo militare'' avrebbe comportato "un altro capovolgimento: il partito rivoluzionario, nato per essere strumento di liberazione, praticava al suo interno la negazione della libertà persino di espressione oltre che di azione, trasformando il principio del centralismo democratico in una forma di oppressione e di impoverimento''. "Si deve anche aggiungere - sottolinea Bertinotti - che i comportamenti di Stalin e di coloro che lo affiancarono hanno accentuato e caratterizzato con specifiche negatività queste due ultime questioni''.
La domenica successiva, rispondendo a una nuova lettera del lettore che si diceva deluso della risposta perché in qualche modo essa avrebbe giustificato l'operato di Stalin con la lacunosità della teoria marxista, Bertinotti è intervenuto una seconda volta sul "giudizio storico politico su Stalin e la sua esperienza di direzione dello Stato sovietico'', per ribadire con maggior veemenza la sua "condanna inequivocabile degli errori e degli orrori che hanno caratterizzato quella esperienza'', e per sostenere che il suo intervento voleva evitare un "ricorrente doppio errore'': quello di demonizzare Stalin "come una sorta di satana terrestre'' e quello di giustificarlo "sulla base delle condizioni storiche obiettive'', con una "debole condanna morale della persona e una sostanziale assoluzione politica della sua esperienza''. Doppio errore, conclude il segretario del PRC, che porta a "non fare i conti con le cause che hanno prodotto il fenomeno dello stalinismo, e quindi a permetterne l'eventuale riproduzione in forme aggiornate, proprio perché lo stalinismo non muore con Stalin''.

MOTIVI POLITICI E MOTIVI STRATEGICI

In questo ultimo passaggio è trasparente un attacco al nostro Partito, la cui crescente influenza sui sinceri anticapitalisti, e sulla base di Rifondazione in particolare, comincia evidentemente a preoccupare il vertice neorevisionista e trotzkista del PRC, specie ora che per inseguire l'accordo elettorale col "centro sinistra'' si sta scoprendo ancora di più sul suo fianco sinistro. E questo può essere senz'altro uno dei motivi politici della strana sortita di Bertinotti, che presa in sé e per sé potrebbe apparire gratuita e fuori tempo, visto che non c'era in corso nessuna polemica pubblica sull'argomento, né altri motivi particolari apparenti.
Un altro motivo politico potrebbe essere di ordine interno, anche se non è dato capire contro chi o contro quali correnti del PRC sarebbe rivolto il doppio intervento del segretario, che purtuttavia sembra essere programmato a tavolino e per nulla dettato dal caso. Quel che è certo è che esso si inscrive perfettamente nel disegno generale di "rifondazione del comunismo'' che Bertinotti sta portando avanti con insistenza dalla batosta elettorale nelle Regionali, che ha suonato con forza anche per lui la campana dell'astensionismo di sinistra.
Per attuare la sua "rifondazione comunista'', che in realtà è una rifondazione neorevisionista e trotzkista, Bertinotti deve necessariamente riscrivere a suo uso e consumo la storia del movimento operaio, e deve trovare nuovi referenti ideologici e storici. Ma non può trovarli ricollegandosi semplicemente al revisionismo italiano, cioè alla storia e ai capi del PCI, come Gramsci, Togliatti e Berlinguer, poiché c'è già il PdCI di Cossutta che si è installato saldamente in quest'area. Non gli resta allora che andare ancora più indietro nella storia del movimento operaio: alla situazione pre leninista e pre Rivoluzione d'Ottobre, più esattamente alla situazione secondinternazionalista, se non per certi aspetti addirittura pre marxista.
Ecco perché egli attacca Stalin e con lui in pratica tutta l'esperienza della costruzione del socialismo in Urss e in altri Paesi, come la Cina di Mao, liquidandola al pari dei fascisti e di tutti i reazionari e i rinnegati come una tragica somma di "errori ed orrori''. Egli non attacca la rottura revisionista e fascista di quella esperienza, i periodi cioè successivi alla morte di Stalin e di Mao, ma tutta la storia del socialismo, fin dai primi anni della costruzione del socialismo in Urss. Anzi, a ben guardare, egli non salva neanche la Rivoluzione bolscevica, tant'è vero che non tenta neanche di coprirsi dietro Lenin, come fanno di solito strumentalmente i trotzkisti per tracciare un artificioso confine tra una parte "buona'' e una "cattiva'' della rivoluzione bolscevica, che secondo loro comincerebbe con l'ascesa di Stalin: Lenin e la Rivoluzione d'Ottobre, infatti, non vengono neanche nominati dal segretario del PRC, finendo così implicitamente nel calderone della condanna di Stalin e del socialismo sovietico nella sua totalità.
Ma allora cos'è che resta valido e non "caduco'' della storia del movimento operaio, per questo imbroglione politico? Se Stalin è un despota sanguinario, Lenin e Mao non sono neanche nominati e quindi accomunati di fatto alla condanna del "socialismo reale'', e Marx è citato soltanto di passaggio per accusarlo di aver costruito una teoria incompleta e lacunosa, chi sono allora i maestri di Bertinotti? Egli non lo dice esplicitamente, ma lo si capisce benissimo dai suoi due interventi, laddove si insiste fino alla nausea sul concetto astratto di "libertà'', in contrapposizione latente e patente a quelli di comunismo, partito rivoluzionario e dittatura del proletariato.

LIBERALISMO CONTRO MARXISMO-LENINISMO

Lo Stato socialista, il partito rivoluzionario, il centralismo democratico, sono stati secondo Bertinotti la "negazione della libertà'', una dittatura di tipo "militare'', una "nuova forma di oppressione', ecc. Per Bertinotti, cioè, la "libertà'' (borghese, evidentemente) è un valore assoluto, mentre gli altri sono valori relativi. Cos'è questa se non un'esaltazione bella e buona del liberalismo, in contrapposizione al marxismo-leninismo? E in quale periodo storico del movimento operaio organizzato era stata teorizzata e aveva prevalso l'impossibile conciliazione tra liberalismo e socialismo, se non nel periodo della seconda Internazionale del socialdemocratico e liberale borghese Kautzki, le cui teorie revisioniste sono poi state battute in breccia da Lenin e spazzate via alle prime salve della Rivoluzione d'Ottobre?
A ben vedere, quindi, è al liberalismo, e a questo maestro borghese antimarxista che Bertinotti si ricollega e si ispira, come aveva del resto già fatto capire esaltando Rosa Luxemburg, che di Kautzki è stata seguace e spesso anche in contrapposizione a Lenin. E dal liberalismo kautzkiano al socialismo liberale premarxista, il passo è breve, come aveva intuito a suo tempo il bandito Craxi con l'operazione Proudon, tramite la cui rivalutazione egli mirava a riportare tutta la sinistra italiana nell'alveo della tradizione socialdemocratica, liberale e riformista del PSI, sotto la sua egemonia.
L'intervento anticomunista e antistalinista di Bertinotti viaggia in fondo, sia pure in parallelo, in una situazione politica diversa e in dimensioni più circoscritte, nella stessa direzione dell'allora neoduce Craxi. Vuole "rifondare'' il PRC e tutta la "sinistra antagonista'' dissociandosi dalla storia del movimento operaio e comunista e ritrovando le radici del socialismo liberale, dal quale del resto egli proviene come formazione ed esperienza politica, come erede diretto di Lombardi, Basso, Foa, Morandi, e degli altri "padri'' dell'azionismo e del liberalismo di sinistra.
è tempo che i sinceri comunisti che ancora militano in Rifondazione prendano le distanze da questo imbroglione anticomunista, abbandonino questo partito destinato a rifluire inevitabilmente nel liberalismo borghese e nel neofascismo, dove già sguazzano i rinnegati DS, e guardino al PMLI, l'unico Partito che rivendica e difende l'intero patrimonio storico del movimento operaio internazionale e tiene alta in Italia la bandiera dei cinque grandi maestri del proletariato e del socialismo.