Nuova invenzione del leader trotzkista
Bertinotti: "Il comunismo è non violenza''
Mentre da tutte le parti si attacca il comunismo andando a ripescare presunti "crimini'' dei partigiani durante e dopo la liberazione, Bertinotti, che si dice ancora comunista, che fa? Lo difende? Nossignore: organizza invece un convegno a Venezia sul tema delle foibe, unendosi di fatto ai fascisti nel condannare i partigiani italiani e jugoslavi accusati di aver massacrato migliaia di persone innocenti. Viene visto scambiarsi strette di mano e pacche sulle spalle come amiconi di vecchia data col neoduce Berlusconi al parlamento di Strasburgo, e confabulare fitto fitto con Tremonti sui banchi di Montecitorio. Per dirsi cosa?
Come se non fosse abbastanza per far capire che vento di destra tira ormai al vertice del PRC, mentre è in corso il convegno revisionista di Venezia il leader trotzkista trova anche il tempo di inserirsi, con una lettera pubblicata sul "Corriere della Sera'' dell'11 dicembre, nel "dibattito'' aperto sul quotidiano di via Solferino dal rinnegato Paolo Mieli e dal neofascista Galli Della Loggia sul tema "il comunismo e violenza politica''. Per dire cosa? Che oggi, "nel tempo della guerra e del terrorismo non è possibile parlare di comunismo se non si sradica da esso ogni riferimento alla violenza''.
Quindi, da una parte il leader della rifondazione trotzkista, avallando la tesi dei neofascisti e dei rinnegati, condanna il comunismo di "ieri'' che sarebbe stato solo crimini e violenza ("orrori'', come li chiama lui), e dall'altra lo ridefinisce completamente, per l'oggi e per il domani, identificandolo in tutto e per tutto con la non violenza. Con la scusa che oggi non ci sarebbe più spazio, tra guerra e terrorismo, per la lotta di classe, la rivoluzione proletaria e le lotte di liberazione dei popoli oppressi.
Per Bertinotti "oggi parlare di comunismo significa infatti, rompere con almeno tre idee-forza del '900''. Che poi sarebbero: 1) "il diverso soggetto rivoluzionario'', cioè in parole povere non più il proletariato ma il movimento no-global. 2) "Nessuna attesa deterministica'', ma "comunismo come processo aperto'', fregandosene di "ciò che dovrebbe essere la società comunista'': in altre parole, riecheggiando il motto del revisionista di inizio secolo Bernstein "il fine è nulla e il movimento è tutto'', bisogna lottare, dice Bertinotti, per "abbattere lo stato di cose esistente'', ma in nome di che cosa, con che strategia e per quale tipo di nuova società, non è dato saperlo. Ed è bene che non si sappia, se no la borghesia potrebbe spaventarsi. 3) La non violenza è "condizione essenziale'' oggi per l'esistenza di "quel processo di trasformazione sociale che chiamiamo comunismo''. Che è l'ultima sua invenzione in fatto di comunismo rifondato.
Per Bertinotti il suo "rifiuto totale e incondizionato dei mezzi violenti'' deriva anche dal fatto che "oggi quei mezzi sono del tutto inefficaci'', perché "riconducono inevitabilmente alla guerra e al terrorismo''. Col che il cerchio si chiude. Evidentemente il leader trotzkista finge di non sapere un principio elementare del marxismo-leninismo, e cioè che la violenza rivoluzionaria (lotta di classe, lotta rivoluzionaria e lotta popolare di liberazione) non ha niente a che vedere con il terrorismo, né tantomeno con la violenza controrivoluzionaria della borghesia e delle guerre imperialiste, di cui è anzi la diretta antitesi.
Ma è inutile pretendere la coerenza da un imbroglione politico del suo calibro. Si può solo restare in attesa di una nuova definizione sempre più assurda di comunismo. Finché la borghesia - pensiamo presto, visto l'andazzo - non gli chiederà di rigettare definitivamente il termine stesso di comunismo, troppo pericoloso ed eversivo in sé, anche se usato per ingannare la base del PRC e impedire che si unisca ai veri comunisti di oggi, i marxisti-leninisti.