Chi è l'imbroglione revisionista Diliberto

Oliviero Diliberto dalla tribuna del 4° Congresso del PdCI di Rimini ha spergiurato di voler partecipare "da comunisti" al processo di aggregazione dei detriti lasciati dalla liquidazione del PCI e dei suoi derivati che non confluiranno nel Partito democratico (PD). Ma al di là delle parole, buone per blandire una platea che non è disposta a digerire il rinnegamento della falce e martello e del nome comunista come ha fatto Cossutta, Diliberto non è affatto credibile come comunista. Proprio nel Comitato centrale tenutosi a marzo, a proposito dell'"identità" del PdCI, Diliberto non aveva esitato ad affermare in modo del tutto arbitrario: "Noi diciamo la 'diversità comunista' e la 'identità comunista'. Dico un'eresia: io non so più qual è, ma non lo sa più nessuno nel mondo qual è l'identità comunista".
Certamente la confusione di Diliberto sull'"identità comunista" nasce proprio dal fatto che comunista lui non lo è mai stato appartenendo piuttosto a quella razza borghese e revisionista che da oltre un secolo inganna e imbroglia il proletariato.
Nato a Cagliari il 13 ottobre 1956 da una famiglia borghese cattolicissima, padre funzionario del consiglio regionale e poi avvocato, madre insegnante di liceo. Nessuno dei due comunisti.
Il primo incontro con la politica per Oliviero Diliberto è nel 1969, in quarta ginnasio quando comincia a militare "in formazioni studentesche dell'estrema sinistra", come racconta egli stesso. Ma ben presto si avvicina al PCI revisionista. "Non avevo nessuna passione per le esperienze cinesi. Assistevo allibito alle eterne discussioni sul Libretto Rosso di Mao. Non avevo nemmeno il mito del Che".
L'approdo inevitabile è nella FGCI, l'organizzazione giovanile del PCI, a cui si iscrive nel 1974 divenendo prima responsabile degli studenti, poi segretario provinciale di Cagliari, organizzatore regionale, quindi membro della segreteria provinciale del partito. Nel frattempo si laurea in giurisprudenza. Deve scegliere fra la carriera di funzionario di partito o quella universitaria. Sceglie la seconda anche per avere mano libera politicamente. Abbandona per lungo tempo la politica attiva. Si trasferisce prima a Roma, poi a Francoforte, va a studiare anche a Parigi. Inizia la carriera universitaria come docente di Storia del diritto romano all'università di Cagliari per poi diventare, nel 1994, forse il più giovane in Italia, professore ordinario presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università La Sapienza di Roma.
Alla politica attiva torna solo nel 1989 dopo la Bolognina per impedire la liquidazione del PCI. Si impegna nella seconda mozione, quella ingraiana, poi si avvicina alla mozione di Cossutta nonostante il percorso diverso. Sì, perché in realtà Diliberto è sempre stato un revisionista di destra. A chi gli ha chiesto se è un vero comunista ha risposto: "Nella versione italiana... Il mio punto di riferimento era Giorgio Amendola (lo storico destro del PCI che ha allevato Giorgio Napolitano, ndr). Sono rimasto lì. Tutti gli altri mi hanno scavalcato a destra".
Partecipa alla fondazione del PRC. Al primo congresso entra nella direzione nazionale del Partito. Nel '92 dirige la stampa e propaganda. Nel 1994, con il secondo congresso, che elesse Bertinotti, entra nella segreteria nazionale e viene nominato direttore di "Liberazione" con l'obiettivo di farne un quotidiano. È proprio su questo incarico che si addensano le prime nubi. "L'Espresso" accusa il PRC di avere reso possibile il passaggio di "Liberazione" da settimanale a quotidiano grazie all'intermediazione dell'antico amico di Diliberto, il massone sardo Nicola Grauso, già finanziatore di "Rinascita" del PCI e de "il manifesto" e stretto alleato di Berlusconi. Seguiranno querele. Ma l'amicizia con Grauso, Diliberto non la smentisce, "non cambio amicizie a seconda delle convenienze" si schernisce.
Grauso sarà anche testimone, insieme a Cossutta, alle sue seconde nozze con la sua ex allieva Gabriella. La prima moglie, Delia, oggi magistrato, era la figlia di Umberto Cardia, "padre nobile" del PCI sardo.
Le amicizie scomode non lo scompongono. Non solo Grauso. C'è anche quella col mafioso Marcello Dell'Utri, col quale condivide la passione per i libri antichi, o col gladiatore Cossiga che lo tratta quasi come un figlioccio. E che dire della simpatia che lo lega al maggiordomo berlusconiano Emilio Fede che è andato persino a salutarlo di persona durante l'ultimo congresso? A Diliberto piace anche l'ex ministro degli interni del governo Berlusconi, Giuseppe Pisanu, anche lui sardo.
Da direttore di "Liberazione" passa a capogruppo del PRC alla Camera. È l'unico a schierarsi contro l'apertura della crisi del primo governo Prodi, anche se poi toccò a lui spiegare in parlamento i motivi per cui il PRC intendeva ritirare la fiducia. Era il 1997. La crisi rientrò, ma l'anno successivo nuova crisi e questa volta scissione dei "Comunisti italiani". Cossutta, Diliberto e Marco Rizzo decidono di soccorrere il "centro-sinistra" ed escono dal PRC e fondano un nuovo partito, il PdCI.
In premio giunge l'incarico di ministro di Grazia e Giustizia nel primo governo D'Alema, che Diliberto ricoprirà dall'ottobre 1998 alla primavera 2000 attirandosi molte lodi a destra e critiche da sinistra. Fra le altre cose Diliberto è per la separazione delle carriere dei magistrati. Lo stesso obiettivo indicato dal "piano di rinascita democratica" e dallo "schema R" di Gelli, Craxi e Berlusconi. Proprio di Craxi ebbe a dire nel 2001: "È stato un dirigente politico vero. Ha dominato la scena politica italiana per più di quindici anni. Ha contribuito a cambiare l'Italia" (sic!).
Lascia il ministero per diventare segretario del PdCI. All'epoca dichiara che lui sarà solo il segretario ma che "Cossutta rimane il capo del partito". Le sviolinate al vecchio volpone revisionista si sprecano: "è il mio secondo maestro", "è una persona squisita". Cossutta ancora non sa di essersi allevato una serpe in seno.
Alla fine del 2005 Cossutta annuncia che "il comunismo non c'è più" e che è l'ora di rinunciare alla falce e martello suscitando un vespaio al vertice del partito. Quando è l'ora di formare le liste elettorali, Diliberto si presenta ovunque capolista, mentre vengono esclusi tutti i fedelissimi di Cossuta a cominciare dalla figlia Maura. Cossutta, che prima si dimette da presidente poi esce definitivamente dal partito, è andato in avanscoperta ed è stato sacrificato da Diliberto senza batter ciglio.
Ora Diliberto può godersi l'esclusiva e solitaria gestione del potere nel partito.
A consacrarlo in pompa magna ci pensa persino la rivista del partito "la Rinascita della sinistra" che incredibilmente celebra il 20 ottobre 2006 in prima pagina e con ben due pagine di servizi i cinquant'anni del segretario (cfr. Il Bolscevico n. 40/06).
In realtà, fra Diliberto e Cossutta c'è stata solo una contraddizione di tempi e di poltrone non di obiettivi, anche perché da sempre perseguono entrambi la "Confederazione della sinistra" e hanno sostenuto la lista Arcobaleno con i Verdi.
Già nel 2001, Diliberto aveva detto che "noi siamo comunisti del Duemila, non poniamo questioni ideologiche nel momento in cui scegliamo le alleanze" ("La Stampa", 11 gennaio 2001). Tanto più che di lotta per il socialismo non se ne parla nemmeno: "Non credo che la nostra generazione, e temo, neppure la prossima, possano concretamente lottare per il superamento del capitalismo. Possiamo lottare per una società più democratica e più giusta. E lo dobbiamo fare insieme alle altre forze democratiche come ci ha insegnato un signore che si chiamava Palmiro Togliatti" ("Unità", 17 dicembre 2001).
La proposta di Diliberto è quella di creare una "Confederazione della sinistra" indirizzata "a tutti coloro che sono alla sinistra del partito democratico", ossia diessini che non entreranno nel partito democratico, PRC, Verdi, Fiom, Arci, ecc. "Una soggettività politica unitaria, all'interno della quale continua e continuerà ad esistere il Partito dei comunisti italiani" (Comitato centrale del PdCI del 22 ottobre 2006). Una proposta che il segretario del PdCI ha sempre continuato a portare avanti e che ora ritiene sia più che mai in auge, tanto da farne il tema conduttore del congresso riminese. Diliberto ha riproposto la forma confederale, ma senza preclusioni verso altre ipotesi, per il raggiungimento di questa unità di tutto ciò che si muove a sinistra del PD, ma anche oltre, che egli chiama "una sinistra senza aggettivi", che potrebbe includere perfino lo SDI di Boselli: "Ogni aggettivo presuppone un paletto. E un paletto preclude, esclude, non include. E noi vorremmo includere", ha spiegato infatti il leader del PdCI.
Per quanto riguarda il rapporto col PD non vi è alcuna preclusione. Infatti, ha detto il leader neorevisionista si tratterà "di alleanza, nella diversità. Vogliamo governare e non essere opposizione, vogliamo strappare risultati per quei ceti che abbiamo l'ambizione di rappresentare. E si può essere maggioranza con il Partito democratico".
In sostanza, nulla cambia sul piano politico e governativo. La fedeltà assoluta al governo della "sinistra" borghese Prodi è assicurata, qualunque nefandezza esso compia perché, come ha ribadito a Rimini: "Noi vogliamo bene a questo governo, l'ho detto e lo ripeto. Cerchiamo di tenerlo lontano dalle insidie molteplici di una coalizione così larga e spesso non omogenea. Lavoriamo a questo fine. E lavoriamo sul serio per il bene del centro-sinistra". Alla faccia del comunista.

9 maggio 2007