Costati almeno 8 milioni di euro
Studenti e insegnanti boicottano i quiz Invalsi
Sono una schedatura di studenti e insegnanti e uno strumento classista, meritocratico e discriminatorio per finanziare le scuole succubi della Gelmini o private. Esclusi i bambini disabili e penalizzati gli immigrati e gli studenti con difficoltà di apprendimento
Sospesi a Roma e in altre città gli studenti che hanno rifiutato i quiz

I famigerati quiz Invalsi, chiamati così dal nome dell'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione, che si sono svolti tra il 10 e il 14 maggio nelle scuole italiane, hanno suscitato larghe e forti proteste tra studenti, docenti e famiglie.
Diverse e tutte valide le motivazioni che hanno indotto il boicottaggio dei quiz. Anzitutto, la prova non è anonima, come inizialmente era stata spacciata. L'Invalsi, infatti, ha elaborato un codice per risalire ad ogni studente italiano che svolge la prova. Particolarmente odioso il test riguardante la vita privata degli studenti, nel quale sono state inserite domande riguardanti il lavoro dei genitori, le dotazioni domestiche, il numero di libri presenti in casa, le lingue parlate, ecc.. Per questi motivi molti genitori hanno scelto di boicottare gli Invalsi e spesso nelle primarie, come alla Daneo di Genova e alla Iqbal Masiq di Roma le classi sono rimaste deserte. Proteste e boicottaggi anche in molte medie inferiori.
Dirompente la protesta partita dagli studenti nelle scuole superiori romane che hanno boicottato in varie forme i quiz, cancellando i codici di identificazione, rispondendo a caso, rifiutandosi di accettare il fascicolo, assentandosi. In prima linea le scuole Orazio, Visconti, Albertelli, Virgilio, dove i ragazzi hanno diffuso il volantino "No all'Invalsi", Socrate, Giordano Bruno, Aristotele. Proteste anche in altre città italiane da Torino a Genova, Firenze, Palermo, Parma e Bologna.
Feroci le repressioni dei dirigenti scolastici filogelminiani, come all'Istituto d'Arte Roma II, dove il dirigente scolastico ha sospeso in massa per tre giorni tutti gli studenti che si erano rifiutati di compilare il test. Lo stesso è successo in altre città. Tutta la vicenda Invalsi dimostra che nella scuola di regime l'abuso verso gli studenti e i lavoratori è diventato la quotidianità, mentre le leggi che per anni hanno regolato la funzione docente, il rapporto tra scuola e alunno, le competenze dei Collegi e dei Consigli sono diventate carta straccia. E ne hanno fatto le spese anche i docenti di decine e decine di scuole in tutta Italia i quali, benché i rispettivi Collegi, che sono gli unici organi competenti in materia di decisioni didattiche, a larghissima maggioranza avessero dichiarato parere negativo sui test e la contestuale indisponibilità a somministrarli e correggerli, sono stati colpiti dalla repressione dei dirigenti: ad alcuni è stato impedito di prendere servizio, sono stati estromessi dalle loro classi, che sono state "sequestrate" e obbligate a svolgere la prova; altri hanno ricevuto ordini di servizio per somministrare e correggere i test, spesso a titolo di attività di volontariato non retribuita.
La disputa sulle leggi che regolamentano le competenze dei Collegi, sui diritti e i doveri di chi studia e lavora a scuola sono certamente stati una delle micce che ha acceso la protesta anti Invalsi, ma la natura dell'opposizione a questa mostruosità didattica è ben più ampia e investe ambiti che riguardano la concezione stessa del ruolo e delle funzioni della scuola pubblica.
Da un lato c'è la concezione della gerarca di Viale Trastevere e degli strapagati esperti in distruzione della scuola pubblica, portatori di un'idea classista, meritocratica e antipopolare della scuola, come l'ex-presidente dell'Invalsi, Piero Cipollone, l'economista proveniente dall'ufficio studi della Banca d'Italia, appena dimessosi per andare a occupare uno dei 24 posti di direttore esecutivo alla Banca Mondiale o la presidente della Commissione Cultura della Camera, Valentina Aprea (PDL), autrice della famigerata omonima legge contro gli studenti e i lavoratori dell'istruzione, per la quale il monitoraggio Invalsi "può orientare le politiche educative nazionali verso compensazioni o individuazione di eccellenze"
Dall'altro lato c'è l'idea di istruzione della stragrande maggioranza degli studenti, dei lavoratori del settore, delle famiglie.
Di fatto, i test Invalsi spazzano via in un sol colpo tutta la ricerca pedagogica democratica degli ultimi decenni, propinando agli studenti prove altamente selettive. La selezione classista e meritocratica risiede in test lontani dalle programmazioni e orientati a testare in buona parte competenze non fornite dal sistema educativo, ma dal contesto socio-culturale delle famiglie d'origine. Se questo contesto è economicamente agiato e culturalmente "avanzato" lo studente ha più possibilità di svolgere bene la prova. Non basta, dunque, alla gerarca Gelmini aver penalizzato e discriminato i figli del popolo, impedendo loro di conseguire i più alti livelli di istruzione, l'averli relegati nell'apprendistato e nei gradi bassi della formazione, vuole anche dimostrare che essi meritano d'esser trattati così, in quanto nonostante i soldi spesi dallo Stato la loro "ignoranza" rimane alta. È un sistema perverso del quale fanno le spese gli studenti più deboli, quelli che avrebbero più bisogno di un intervento scolastico d'alto livello qualitativo e che, invece, si trovano bollati negativamente da un test insulso. Succede, in maniera vistosa, all'esame di Terza media, laddove l'Invalsi entra, ormai per disposizione ministeriale, nella valutazione complessiva, abbassando il voto e il rendimento dell'alunno con difficoltà e, quindi, concorrendo a determinarne anche le future scelte scolastiche. Non solo, questi test fanno anche piazza pulita della didattica speciale per i bambini disabili e dei bambini con difficoltà specifiche di appredimento (dislessici, discalculici ecc.), semplicemente escludendo i primi dalle prove, costringendo i secondi, nelle classi campione, ad effettuare i test nelle stesse condizioni degli altri studenti, senza gli strumenti tecnologici compensativi che la loro condizione prescrive per legge, infischiandosene dei percorsi personalizzati approntati dai Consigli di classe ed esponendoli ad un sicuro fallimento. C'è poi il capitolo degli studenti stranieri che devono svolgere la prova nelle stesse condizioni di uno studente italiano, anche se hanno un livello di lingua pari a zero e non sono in grado di comprendere le domande.
Viene il sospetto che i risultati di questi alunni deboli, come quelli degli studenti disagiati per condizioni sociali ed economiche delle scuole di frontiera più povere, quelle delle periferie urbane, quelle del Mezzogiorno, dove il livello di alfabetizzazione è minore, in cui i risultati testati sono necessariamente inferiori, vengano usati strumentalmente, da un lato per confermare l'esistenza di scuole di eccellenza da premiare e di scuole ghetto da tagliare e punire, e dall'altro per dimostrare la necessità di "riformare" il sistema educativo italiano, vittima dell'inefficienza di chi vi lavora e non dei feroci tagli previsti dalla Gelmini.
Certo è che da quando si è insediato il governo Berlusconi, la sua fedele gerarca di viale Trastevere, Mariastella Gelmini, è andata avanti come un panzer perseguendo un progetto che non è soltanto economico, tagli al personale e ai finanziamenti, ma è fondamentalmente politico, mirando all'irreggimentazione, alla fascistizzazione e militarizzazione della scuola. Il governo vuole il controllo diretto sulla scuola che è un punto nevralgico per il regime, insieme alla magistratura, anch'essa sotto attacco. Di fronte a questo progetto rincuorano le forti proteste degli studenti, che sono stati in grado di costruire la storica giornata del 14 dicembre, con l'assalto al parlamento e del personale scolastico. Ma per fermare adesso lo scempio della scuola urge un nuovo 25 Aprile per mandare a casa il nuovo Mussolini e tutti i suoi gerarchi.

18 maggio 2011