Stragi a ripetizione per mano delle forze occupanti
Bombe Nato e Usa su civili afghani
Venti morti in due giorni
Manifestazioni in tutto il paese contro l'occupazione e i militari dell'Isaf

L'Isaf, la missione di "pace" dell'Onu a guida Nato in Afghanistan, è responsabile di un nuovo massacro di civili, venti i caduti sotto le bombe e i colpi americani fra il 4 e il 5 marzo in due diverse località del paese.
Il 4 marzo sono sedici i civili uccisi dai marines, e oltre 30 i feriti, lungo l'autostrada tra Jalalabad e Tokhar; i soldati americani hanno sparato sulle auto di passaggio dopo che il loro convoglio era stato attaccato dalla resistenza. Per coprire l'eccidio i militari hanno sequestrato il materiale filmato dai reporter dell'Associated Press presenti sulla scena. Testimoni hanno riferito che i soldati americani "hanno sparato contro tutti, sia chi si trovava all'interno di veicoli, sia chi era a piedi".
Immediata la protesta della popolazione che è scesa in strada a lanciare sassi contro i soldati e a gridare "morte all'America", "morte a Karzai". Il governo fantoccio di Kabul ha chiesto un'indagine sulla strage ma per la popolazione i colpevoli sono chiari, sono i soldati imperialisti occupanti; il 6 marzo ancora migliaia di manifestanti erano in strada a Jalalabad a protestare contro il governo afghano e contro gli Usa, a chiedere "la partenza delle forze di occupazione".
Che il massacro del 4 marzo non sia un "errore" lo confermano la lunga sequenza dei morti civili sotto le bombe americane come la strage del 5 marzo nella provincia afgana di Kapisa, a Nord di Kabul, dove un raid aereo ha ucciso nove persone, tra le quali cinque donne e tre bambini. Nella notte del 4 marzo la resistenza aveva attaccato la locale base Nato; il contingente di occupazione aveva chiesto l'intervento dell'aviazione che aveva scaricato le sue bombe sulle case. L'attacco alla base di Kapisa e quello del giorno precedente nel distretto di Najirab confermano che gli attacchi della resistenza sono arrivati fin nella provincia di Kapisa, a pochi chilometri dalla capitale.
Il portavoce della Casa Bianca, Tony Snow, tentava una ipocrita difesa del contingente di occupazione affermando che "le forze americane detestano la morte di civili" e si giustificava ricordando che secondo i bollettini Nato e Usa gran parte dei morti in Afghanistan sarebbero miliziani talebani, pochissimi i civili. Nel corso delle operazioni nel sud del paese negli ultimi quattro mesi ci sarebbero stati oltre 1.650 combattenti talebani uccisi dai soldati americani, britannici e canadesi mentre numerose testimonianze e denunce di militari raccontano di molti civili morti, di file di cadaveri di civili uccisi e fotografati con mitra al fianco per farli passare da miliziani della resistenza.
Alle dichiarazioni di Washington fa finta di non credere il fantoccio Karzai che ha chiesto l'apertura di indagini sui massacri; una posizione condivisa dal ministro degli Esteri Massimo D'Alema che il 5 marzo, alla conclusione del consiglio dei ministri europei di Bruxelles si è detto preoccupato che "ci siano violenze contro i civili e che tra la popolazione afgana si diffonda un sentimento ostile nei confronti dei militari della Nato. Se questo dovesse accadere sarebbe la più disastrosa sconfitta". A dire il vero è tutto già accaduto ma D'Alema preferisce non vedere e esercitarsi in una tanto sottile quanto ipocrita polemica con gli Usa affermando che è necessario "evitare questi errori perché è chiaro che di questo si è trattato visto che nessun comando né Usa né Nato può aver dato un comando del genere". Tutto qui, per non scontentare l'alleato imperialista americano e contemporaneamente difendere il rifinanziamento della missione italiana a Kabul e la partecipazione del governo Prodi alla guerra di occupazione dell'Afghanistan.
Una occupazione segnata dalle stragi di civili a Jalalabad e Kapisa, dagli attacchi della resistenza che ha annunciato nuove offensive e dalle massicce operazioni lanciate dagli occupanti nel sud del paese.
Nel corso dell'ultimo mese la resistenza ha condotto con successo attacchi nel distretto di Musa Qala e di Washir, costringendo alla ritirata i soldati britannici che presidiavano le zone; il 19 febbraio le forze della resistenza hanno liberato e tenuto per due giorni il distretto di Bakwa, nella provincia di Farah, e la cittadina di Grishk nella provincia di Lashkargah. A fine febbraio un attentatore suicida si è fatto saltare in aria all'ingresso della base americana di Bagram, 30 miglia a nord della capitale afghana Kabul, proprio mentre era presente il vice presidente americano Dick Cheney; una ventina le vittime tra le quali un marine e un mercenario americani.
La Nato continua i bombardamenti sui distretti settentrionali e ha iniziato una nuova operazione, chiamata "Achille" nel sud, nella provincia meridionale di Helmand. Più di cinquemila uomini saranno impegnati a riprendere il controllo di una zona in gran parte desertica e controllata dai talebani. Il comando Isaf ha dipinto l'operazione come una missione di carattere civile: "il nostro obbiettivo è di consentire al governo afgano di dare inizio al progetto Kajaki", afferma il comunicato stampa del comando Isaf, vale a dire la costruzione di una diga per fornire elettricità a gran parte del nord della provincia. Una nuova offensiva militare contro la resistenza camuffata da operazione di "ricostruzione" delle infrastrutture afghane, aperta dai bombardieri B-1 che il 6 marzo hanno sganciato bombe di 900 chili nella zona di Kajaki.

7 marzo 2007