Dopo aver ottenuto il federalismo fiscale (Breve storia delle gabbie salariali)
La Lega di Bossi mira alle "gabbie salariali"
Il ministro Sacconi: "Il salario differenziato è stato già introdotto con il nuovo modello contrattuale"

L'ultra xenofoba e ultra razzista nonché neofascista Lega Nord, dopo aver ottenuto in campo economico il federalismo fiscale, ora vuole il federalismo contrattuale, ovvero il rinnovo dei contratti di lavoro a livello regionale, che tra le altre cose comporta il ritorno alle vecchie e odiose "gabbie salariali". Questo obiettivo è stato rivelato direttamente da Bossi nel corso dell'ultima campagna elettorale per le europee e le amministrative. Non è la prima volta che la Lega Nord propone la contrattazione differenziata su base regionale. Ecco un precedente. Nel febbraio del 2004, al tempo del secondo governo Berlusconi, il ministro del Welfare, il leghista Maroni a questo proposito affermò: "Un contratto unico nazionale che preveda stipendi e salari uguali ovunque, che non tengono conto quindi del costo della vita che è localmente diverso, da Regione a Regione e da provincia a provincia è un contratto che non garantisce il valore reale degli stipendi e dei salari". Cosicché invitava le "parti sociali" a ridefinire il modello contrattuale "per ottenere una struttura del salario più articolata e più flessibile che non farebbe venir meno la necessita del contratto nazionale, ma è questa la tesi strumentale ripetuta fino alla noia, ndr) adatterebbe la retribuzione al costo della vita distribuendo ovunque salari reali e non fittizi".

I leghisti alzano il tiro
Rispetto ad allora la Lega fa un passo in più e rivendica i contratti di lavoro regionali da istituire non attraverso un accordo tra i sindacati e le controparti padronali, ma direttamente per legge. La proposta della Lega ha provocato delle contraddizioni all'interno della maggioranza di governo di "centro-destra" non tanto sull'obiettivo di ottenere un sistema contrattuale flessibile di salari differenziati, ma per come si vuole ottenerlo. E poi ci sono ragioni competitive elettorali e di potere. L'ex leader di AN e attuale presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha detto: "non credo che il ritorno al passato di una diversificazione territoriale dei salari produrrebbe alcunché di positivo perché si darebbe un messaggio disgregativo ai territori più deboli del Paese": la "via da percorrere - ha aggiunto - è quella di una maggiore libertà contrattuale sul piano territoriale e aziendale, che consenta alle parti sociali di legare le retribuzioni ai livelli effettivi di produttività ed alla disponibilità di manodopera, indipendentemente dalla collocazione territoriale delle imprese".
Ma Bossi, forse pensando anche alle prossime elezioni regionali e al modo per carpire il voto operaio, tira a diritto e dice con un tono populista: "rimane una proposta del popolo che vuole più soldi in busta paga e non vuole lasciarli allo Stato. Lasciamo il tempo per far maturare le cose". E' intervenuto anche il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi per tentare di disinnescare la mina sganciata dalla Lega ritenuta inopportuna e inutile in questo momento per il governo. "Le gabbie salariali - dice - sono un non problema e la Lega non le ha chieste". "La Lega ha sollecitato che ci sia una adeguata differenziazione territoriale dei salari. E questo è (viva la sincerità, ndr) il risultato del nuovo modello contrattuale, quindi è un non problema". Secondo l'interpretazione di Sacconi "neanche la Lega vuole riproporre meccanismi centralizzati e amministrativi sui salari. Quello che conta è che il nuovo modello contrattuale dà luogo a questo", anche "detassando le componenti variabili del salario".
Avevano ragione dunque coloro che sostenevano (noi del PMLI tra gli altri) che con il nuovo modello contrattuale, introdotto con l'accordo separato del 22 gennaio 2009 e sottoscritto da governo, Confindustria e da Cisl, Uil e Ugl, contro la volontà della Cgil, si sarebbe tornati a una sorta di "gabbie salariali" sia pure con modalità diverse dal passato.

Bugie e inganni
Detto questo, meritano attenzione le due principali tesi sostenute dalla Lega, insidiose e ingannatorie, per giustificare la richiesta della "gabbie salariali" regionali e forse anche provinciali. La prima si basa sul fatto che i lavoratori vogliono aumenti salariali e una riduzione del prelievo fiscale. Si tratta di una rivendicazione sacrosanta, urgente e improcrastinabile. I motivi sono arcinoti e indiscutibili: i salari negli ultimi 15 anni hanno perso costantemente terreno rispetto ai profitti, la loro incidenza sul Pil si è ridotta senza soluzione di continuità; i salari italiani hanno perso potere d'acquisto in modo molto consistente, anche a causa della esosa pressione fiscale che pesa su di essi, e scontano così una differenza in meno del 30% rispetto a quelli in vigore in paesi come la Germania, Francia e Inghilterra e di conseguenza figurano in fondo alla classifica dell'Ocse. Inoltre, c'è la crisi economica e produttiva in atto, c'è la cassa integrazione che riduce, di fatto, ulteriormente, i salari dei lavoratori che ne sono investiti.
Per cui non si può che essere d'accordo sulla richiesta di aumenti salariali consistenti e generalizzati: Ma la Lega, pur essendo al governo, fin qui non ha fatto nulla. Anzi, ha condiviso il nuovo modello contrattuale che invece, per come è congegnato, programma il taglio dei salari. Per non dire delle leggi finanziarie che hanno peggiorato il livello di vita delle masse popolari.
La seconda tesi si basa su aumenti differenziati a livello regionale in relazione ai differenti livelli di costo della vita, da ottenere principalmente, se non interamente, attraverso la leva fiscale. Altrimenti padroni e padroncini che votano Lega potrebbero "arrabbiarsi". Il che presuppone, nelle intenzioni dei leghisti aumenti salariali migliori per i lavoratori del Nord e peggiori per quelli del Sud. Che ipocrisia! E' vero che al Sud il costo della vita è in certi casi inferiore. Tuttavia ogni indagine economica e sociale, ogni rilevamento statistico minimamente serio e fondato non può che rilevare il divario crescente, non formale ma reale, tra le retribuzioni individuali dei lavoratori meridionali e quelle settentrionali e del Centro Italia. Lo stesso vale per il reddito familiare. Anche qui i motivi sono noti e non si può fare i finti tonti. Pochi aumenti salariali dalla contrattazione aziendale; meno incentivi e lavoro straordinario; diffuso il mancato rispetto dei contratti nazionali (in busta paga c'è una cifra che non corrisponde a quella data al lavoratore); tanto "lavoro nero". A ciò va aggiunto che spesso nelle famiglie meridionali entra un solo salario, quello del capofamiglia, e che nel Sud le infrastrutture e i servizi sociali (gli asili nido per dirne una) sono assai più scarsi e meno efficienti di quelli esistenti al Nord. Per non parlare dei differenti livelli di disoccupazione, come certificato dall'aumento della migrazione Sud-Nord rilevata dallo Svimez pochi giorni orsono. Queste diseguaglianze non interessano?
Ci vogliono eccome gli aumenti salariali, ma per tutti i lavoratori dipendenti! Ci vogliono eccome sgravi fiscali adeguati sulle buste paga, ma per tutti i lavoratori dipendenti, senza discriminazioni territoriali. Le "gabbie salariali" sono una jattura che vanno respinte in qualsiasi forma vengano riproposte!

22 luglio 2009