Il pacchetto prevede entro il 2020 -20% di emissioni di CO2, +20% di efficienza energetica e una quota di energie alternative pari al 20%
Braccio di ferro Ue-Italia sul pacchetto clima
Per il governo Berlusconi sarebbero penalizzati i profitti dei capitalisti. E la salute?
In prospettiva dell'appuntamento del vertice internazionale di Copenaghen sul clima del dicembre 2009 l'Unione europea sta mettendo a punto le proprie proposte per la riduzione dell'inquinamento del pianeta. Un dibattito proiettato sul futuro, senza ancora aver messo in pratica nemmeno i provvedimenti per realizzare i già insufficienti impegni previsti nel vertice di Kyoto; ma l'Ue ha l'obiettivo di fare da capofila imperialista in questo settore visto lo spazio che le lasciano le concorrenti Usa e Cina, fra i maggiori inquinatori del pianeta che non hanno ancora alcuna intenzione di impegnare risorse per abbattere le emissioni inquinanti, tantopiù nell'attuale momento di crisi economica. Nell'agenda originaria del vertice europeo di Bruxelles del 15 ottobre scorso il primo punto doveva essere la discussione e approvazione del cosiddetto pacchetto sul clima, ovvero la definizione dell'obiettivo vincolante che prevede entro il 2020 un taglio del 20% di emissioni, il 20% di risparmio energetico e il raggiungimento del 20% di energia dalle fonti rinnovabili. La necessità della Ue di decidere misure urgenti per salvare banche e società dallo tsunami della crisi finanziaria innescata oltreoceano lo ha fatto passare in secondo piano; nondimeno se ne è discusso e se ne è continuato a discutere nei giorni successivi per il braccio di ferro che ha opposto i principali paesi europei a un gruppo di una decina guidato dell'Italia.
"La sfida climatica è troppo importante per lasciarla cadere per colpa della crisi economica" sosteneva il presidente di turno, il francese Sarkozy, appoggiato dalla Merkel che prevedeva il raggiungimento dell'intesa sulla formula del 20-20-20 nel vertice europeo di dicembre, come era nei programmi. L'unica concessione della maggioranza dei 27 era l'impegno sottolineato da Sarkozy a "trovare delle soluzioni per i paesi che hanno manifestato dei problemi".
Fra questi l'Italia, con Berlusconi che voleva mettere i bastoni tra le ruote del carro Ue e affermava di non ritenere fosse questo "il momento per andare da soli a fare i Don Chisciotte quando gli Stati Uniti e la Cina, i maggiori inquinatori, sono contrari a tagliare le emissioni". Se non si muovono Usa e Cina non si dovrebbe fare nulla per la logica inoppugnabile del neoduce che annunciava di essere pronto a "interporre il potere di veto" qualora gli altri partner europei andassero avanti lo stesso. Dalla parte dell'Italia si schierava la Polonia mentre altri otto paesi dell'est europeo (Estonia, Lettonia, Lituania, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria, Bulgaria e Romania) sollevavano obiezioni.
Secondo Berlusconi il progetto in discussione alla Ue sul pacchetto-clima è solo una questione di costi e non di benefici sull'ambiente e si è preoccupato solo per le penalizzazioni dei profitti dei capitalisti; per questo a Bruxelles si è messo di traverso col plauso della Marcegaglia. Il governo e la Confindustria italiana stimavano che l'applicazione del pacchetto clima in discussione costerà 18 miliardi di euro in spese di "adattamento", una cifra contestata persino dalla Commissione europea che la riteneva sproporzionata; sono comunque soldi che i capitalisti italiani vorrebbero tenere nelle proprie tasche in barba alla salute dei lavoratori e delle masse popolari. La Commissione tirava gli orecchi all'Italia anche in merito agli impegni non rispettati del vertice di Kyoto: "l'Italia deve ricordare che ci sono anche gli impegni di Kyoto, con obiettivi che in questo momento non è in grado di raggiungere", obiettivi vincolanti, visto che rappresentano "un obbligo giuridico" ricordava il commissario europeo all'ambiente, il greco Stavros Dimas. Tra l'altro l'Italia, dal 1990 al 2005, invece che ridurre ha aumentato le sue emissioni del 6%.
I conti si faranno al vertice di dicembre e già nei giorni successivi al vertice di Bruxelles iniziavano i negoziati tecnici tra gli ambasciatori dei 27 col compito di tradurre in leggi, obiettivi e tempi gli impegni politici sottoscritti dai capi di Stato e di governo.
In vista della riunione del consiglio dei ministri dell'Ambiente del 20 ottobre a Lussemburgo il governo italiano avanzava la proposta di approvare il pacchetto-clima a dicembre ma subordinandolo a una clausola di "revisione" sul rapporto costi-efficacia da realizzare "nel corso del 2009". Nella pratica chiedeva uno stop di almeno un anno nell'adozione delle misure del pacchetto. Fra le altre modifiche richieste dall'Italia vi è quella che riguarda la sostituzione degli obiettivi annuali previsti per i settori agricolo, civile e dei trasporti con un solo obiettivo intermedio vincolante al 2017, che servirebbe per dilazionare nel tempo gli interventi previsti.
Le proposte portate dal ministro Prestigiacomo a Lussemburgo rimbalzavano a fronte dell'opposizione degli altri paesi.
Il 21 ottobre da Napoli il neoduce Berlusconi rilanciava: "non possiamo noi, il paese più manifatturiero d'Europa con la Germania caricarci di un costo che deprimerebbe la nostra economia in un momento di crisi come questo", il pacchetto "così come è stato presentato è irragionevole: noi non possiamo fare i Don Chisciotte". Immediata la risposta da Parigi: "abbandonare il pacchetto dell'Unione Europea è irresponsabile e drammatico", sosteneva Sarkozy, che contemporaneamente apriva alle contestazioni dei paesi dell'Est europeo sottolineando che "ci sono alcune economie che puntano al 95% sul carbone e non possiamo metterle in ginocchio". Il riferimento chiaro a situazioni come quelle di Polonia, Ungheria, Romania e Slovacchia per portarle dalla parte della maggioranza dei 27, isolare l'Italia e rendere impossibile anche il ricorso alla minoranza di blocco nel voto del consiglio. Sarkozy infatti spiegava che il pacchetto su clima e energia verrà approvato tramite il sistema di codecisione, ossia a maggioranza qualificata tra i 27 e con il consenso dell'europarlamento. Come dire che la minaccia di veto di Berlusconi è un'arma scarica.

29 ottobre 2008