Buttiamo giù il Bossi del Sud Bassolino
Appello ai militanti di base del PRC, PdCI e Verdi a entrare nel PMLI

Dal nostro corrispondente della Campania
Quanto ancora le masse popolari campane dovranno soffrire sotto il tallone del governatore Antonio Bassolino? Difficile a dirsi. Gli scricchiolii nel suo apparato di potere ci sono ma evidentemente non bastano a scrollarlo dal dorato scranno cui si è abbarbicato e dall'alto del quale tiene ancora saldamente in mano i gangli del potere politico e istituzionale. L'arroganza propria di ogni politicante borghese del regime neofascista è diventata in lui, "passo dopo passo", megalomania e tracotanza, tanto che neanche a seguito del rinvio a giudizio per "truffa ai danni dello Stato, abuso d'ufficio e frode in pubbliche forniture", emesso dalla Procura di Napoli nell'ambito dell'inchiesta sulle responsabilità della devastante emergenza rifiuti, ha pensato minimamente alle dimissioni, invocate peraltro non solo dal neoduce piduista Berlusconi nell'ultimo bagnetto di folla in piazza Plebiscito (il solito "gallo n'copp a monnezza"), ma anche da governatori e sindaci del suo stesso partito come Chiamparino, Bresso, Cacciari.
Di fronte a chi all'interno dell'establishment del Partito democratico, cavalcando le putride immagini della Campania che hanno fatto il giro del mondo, ha pensato di farlo fuori quale concorrente scomodo nella corsa alle poltrone e alla leadership, il "grande privatizzatore" non si è scomposto, ha atteso che "passasse" la bufera mediatica e si è presentato con al fianco i ministri diessini Nicolais e Bersani a ribadire che la Campania è ancora il suo feudo, ricevendo la reinvestitura da parte dei padroni della Confindustria regionale.
A parlare di "piena fiducia al governatore", a nome di tutta la più gretta e parassitaria borghesia napoletana e campana è stato il plurinquisito presidente dell'unione industriali di Napoli, Gianni Lettieri, il che significa che anche Montezemolo punta ancora sull'affidabilità del dittatore locale assieme ai vari Romiti, Punzo, De Vizia, Caltagirone, De Laurentiis, De Feo, Cola, Nerli, ovviamente per succhiare i nuovi lauti finanziamenti europei per il completamento del "ciclo industriale dei rifiuti" e dell'anello della metropolitana, del piano di privatizzazioni a tappeto, dall'immondizia all'acqua, dalla sanità ai trasporti, dai porti agli enti del turismo, per mettere le mani sulle magaspeculazioni urbanistiche come quelle di Bagnoli, Napoli est e Sorrento.
È così che S. Antonio da Afragola dopo la sparizione di oltre un miliardo di euro di denaro pubblico ha fatto un altro miracolo: per salvare la faccia dalle critiche dell'"opposizione" e degli agguerriti alleati-rivali, come Ciriaco De Mita, Raimondo Pasquino, Vincenzo De Luca e le sue sconfinate ambizioni ha sacrificato sulla graticola la fedele alleata democristiana Rosa Russo Iervolino. È lei che alle prese con i tagli governativi e una ben più limitata capacità di spesa rispetto al governatore, ha dovuto fare da parafulmine alle accuse degli imprenditori napoletani di avere "smarrito per strada lo spirito del Rinascimento bassoliniano".
Ma quale miracoloso scaricabarile potrà fare il Tony Blair nostrano per riconquistare la fiducia del proletariato e delle masse popolari napoletane e campane? Di fronte alla dura realtà, la tattica mediatica di Bassolino diventa sempre più ripugnante: il 23 luglio scorso è accorso ad incontrare Alberto di Monaco in visita al museo d'arte contemporanea Madre di Via settembrini, accanto ad un palazzo crollato con le famiglie che sono ancora negli alberghi. Una mostra allestita con il lavoro semi-volontario di un gruppo di giovani precari della cricca bassoliniana dell'arte Bonito Oliva-Edoardo Cicelyn, per affermare che "Napoli è all'avanguardia nel mondo" e l'immondizia solo "uno spiacevole inconveniente". Ha nostalgia dei tempi della piramide di sale in piazza Plebiscito, quando nessuno osava far notare gli "scugnizzi" che scendevano dai quartieri e si arrampicavano fino alla cima dell'"opera d'arte" per mettersi il sale nelle tasche. Ha nostalgia dei tempi in cui nessuno osa ricordare che a Napoli, anche nella Napoli di S. Antonio, non si va a scuola per portare qualche soldo a casa, come durante i tempi più duri della guerra.
Il potere bassoliniano si fonda, fin dalla prima ora, sulla copertura a sinistra dei falsi comunisti.
Non a caso in quindici anni, tra Comune, Regione e Provincia, non si registra un solo dimissionario nelle file del PRC. È utile allora ripercorrere brevemente la lunga storia d'inganni di questi traditori del proletariato napoletano e campano.

Il PRC e Bassolino sindaco
Quando nel 1992, con le prime "elezioni dirette", Bassolino è eletto neopodestà di Napoli, il PRC è già, appena nato, solida stampella di governo, in largo anticipo rispetto al quadro politico nazionale. Gennaro Migliore (oggi capogruppo alla Camera del PRC), Raffaele Tecce (ex assessore al commercio, oggi deputato), Corrado Gabriele (più volte assessore al lavoro nelle giunte Bassolino ed europarlamentare), Vito Nocera (ex-responsabile regionale del PRC), appoggiano senza colpo ferire tutte le sue decisioni scellerate e antipopolari. Dalla rapidissima deindustrializzazione della zona orientale e occidentale della città che ha portato all'immiserimento estremo della popolazione, all'abbandono d'interi quartieri al degrado, sotto il controllo sempre più asfissiante delle cosche camorriste.
L'ex-operaista dà il ben servito ai caschi blu dell'Italsider che in molti casi hanno già dato il sangue. Senza creare come alternativa un solo posto di lavoro stabile, a salario pieno e sindacalmente tutelato, stronca il contrabbando di sigarette che da 50 anni dava comunque modo di mettere insieme il pranzo con la cena ad un esercito di 50mila napoletani. Un esercito che in piccola parte sarà arruolato nel narcotraffico, con la periferia nord di Napoli che diviene il più grande centro di smistamento di droga d'Europa, in larga parte andrà ad ingrossare le file dei disoccupati, con una situazione potenzialmente esplosiva nei quartieri popolari e nelle spettrali periferie della megalopoli partenopea, lontane anni luce dai riflettori mediatici piazzati sul "salotto buono" della città.
Nonostante l'opera pubblicitaria e propagandistica messa in atto dallo staff del sindaco guidato dal dalemiano Velardi, con tanto d'annuale inchino e bacio all'ampolla di S. Gennaro, non tutti avranno dimenticato che gli anni d'oro del Rinascimento, della "Napoli della cultura e del turismo", sono gli anni delle grandi manifestazioni dei disoccupati represse inizialmente con brutali cariche delle "forze dell'ordine". Dove non riescono i manganelli ci pensa il PRC, che svolgerà un ruolo determinante e preziosissimo per scongiurare una grande rivolta per il lavoro, grazie ai suoi infiltrati trotzkisti nei comitati dei disoccupati che hanno il compito di deviare in vicoli ciechi, di impantanare, di dividere e sabotare la costituzione di un unico grande movimento di lotta per il lavoro. Per tornare, come avviene oggi con gli assessorati di Riccio e Gabriele (entrambi del PRC) ai metodi classici dei Lauro, dei Gava e dei Di Donato: sfruttare la disoccupazione e la precarietà estrema delle masse per alimentare nuove speranze, vedi l'infinita tarantella dei "corsi di formazione", come il progetto Isola, da utilizzare poi sfacciatamente come arma di ricatto nelle campagne elettorali per rastrellare voti, con il contributo della camorra, che non a caso Bassolino derubrica rapidamente dalle priorità d'intervento della sua agenda politica.
Nel 1994 saranno proprio i falsi comunisti dirigenti del PRC, come Giuseppe De Cristofaro (attuale responsabile regionale) ad ostacolare in tutti modi la mobilitazione di massa del nascente movimento no-global contro il faraonico G8 presieduto dal neoduce Berlusconi per coprire agli occhi dell'opinione pubblica l'immenso opportunismo di Bassolino, che non esita un minuto a barattare la libertà dei popoli schiacciati dall'imperialismo dei gendarmi del mondo in cambio della pedonalizzazione di piazza del Plebiscito.
Non una parola questi paggetti dell'allora neopodestà spendono quando Bassolino comincia a svendere Napoli a pezzettini, quando, primo in Italia, privatizza l'aeroporto, cedendolo per quattro soldi alla multinazionale inglese Baa, non una parola quando cede l'ex-società del Risanamento, con gli inquilini dentro, alla multinazionale Pirelli, non una mobilitazione per fermare l'operazione con la quale il Banco di Napoli è divorato e saccheggiato dalla piovra finanziaria Intesa-S. Paolo. Anzi, li ricordiamo bene, tutti in prima fila, ad applaudire alla "finanza creativa" dei fidi Mauro Calice e Roberto Barbieri, quella dei famosi Boc, buoni ordinari del comune, piazzati sul mercato borsistico londinese al folle tasso d'interesse del 10% per l'acquisto di una decina d'autobus, un assaggino della ben più inquietante operazione Soresa spa per il ripiano del megadebito della sanità contratto dalla Regione con le fameliche strutture sanitarie convenzionate: 2,7 miliardi d'euro affidati ad un pool di banche (Lehman, Credit Suisse e Calyon). Un verminaio quello del rapporto con l'alta finanza che non è stato ancora scoperchiato e i cui miliardi di euro pubblici vengono girati nelle mani degli usurai della finanza filo-bassoliniana, la Ubs, unione delle banche svizzere e la banca mondiale Merryll Lynch. E, combinazione, negli uffici "debt capital markets" per il settore pubblico europeo di Ubs c'è proprio il figlio di Bassolino, Gaetano.
Un "conflitto (o meglio convergere) di interessi" di stampo berlusconiano che l'assessore Gabriele e soci conoscono bene ma che fingono di non vedere. Del resto li ricordiamo bene questi falsi comunisti, imperterriti, ad alimentare il mito di Bassolino anche quando questi diventa ministro del lavoro, proprio mentre D'Alema ordina di bombardare la Serbia e Bertinotti inventa i patti di desistenza.
I falsi comunisti possono spargere tutto l'oppio che vogliono, ma le masse popolari, e noi marxisti-leninisti con esse, non potranno mai dimenticare che l'"era di Bassolino" (sindaco di Napoli prima, governatore regionale poi) è segnata indelebilmente da tragedie che gridano ancora giustizia, come il crollo nel 1996 di un edificio nella periferia da Terzo mondo di Secondigliano, una voragine provocata dai lavori del comune alle condotte del gas che ingoiò 11 persone, di cui sei operai, lasciò senza tetto centinaia di persone, come l'alluvione di Sarno e Quindici del 1998, causata dal dissesto idrogeologico e che ha alimentato un ladrocinio di denaro pubblico da fare invidia agli sciacalli del dopo terremoto, come il rogo di S. Gregorio Magno dove morirono bruciati nei loro letti 19 disabili segregati in un prefabbricato in vetroresina per terremotati adibito a "centro di riabilitazione per invalidi", era il 16 dicembre 2001, come la tonnara di no-global scatenata dalle "forze dell'ordine" nel marzo del 2001 in piazza Municipio.

Il PRC e Bassolino governatore
Da governatore della Campania Bassolino spinge ancora di più sul tasto del presidenzialismo di stampo mussoliniano, vuole uno Statuto regionale che ne sancisca le prerogative, non si fa più alcuno scrupolo di neutralizzare gli esponenti dell'opposizione tramite la più sfacciata cogestione di prebende e poltrone, con l'ausilio degli intrighi trasversali delle lobby affaristiche a lui legate come "Diametro", controllata dal potente assessore ai trasporti Ennio Cascetta, e "Emily", controllata dalla moglie del Bossi del Sud, la deputata DS Annamaria Carloni; né si fa scrupolo di azzerare il ruolo costituzionale delle assemblee elettive.
L'orgia di omologazione nei suoi confronti è talmente vasta anche sui mass-media che nessuno dagli scranni del PRC, del PdCI e dei Verdi griderà allo scandalo quando per convincere il patron dell'America's cup di vela, Bertarelli, gli garantisce che di Coroglio e Bagnoli può farne quel che vuole, in barba al Piano regolatore del 2001. Nessuno lascerà la poltrona nemmeno quando privatizza in blocco il "ciclo dei rifiuti" e i servizi idrici dell'Ato3 sarnese-vesuviano, acquedotto e depuratori inclusi, per regalarli ai Romiti. Il partito dei falsi comunisti ha grandi responsabilità anche nello spacciare per "solidale" il federalismo quando attorniato da regioni governate dal "centro-sinistra" Bassolino, con il manifesto di Eboli, decide di autoproclamarsi leader dei governatori del Sud. Il suo obiettivo è speculare a quello di Bossi, spaccare l'Italia, abbandonare il Mezzogiorno alla deriva verso il Terzo mondo e consegnarlo ufficialmente nelle mani della mafia, comunque denominata.
È così che Bassolino è diventato sempre più forte anche grazie al legame sempre più stretto con le cooperative, con i presidenti degli Ordini professionali e con il baronato universitario guidato da Tessitore e Trombetti, grazie a un'infinità di strapagate, quanto inutili, consulenze e la moltiplicazione delle commissioni consiliari. E mentre falcidia gli ammalati con balzelli, ticket e il taglio dei servizi e dei posti letto pubblici (come è il caso dell'Istituto Pascale trasformato in Fondazione), mentre dirotta miliardi di euro verso i pescecani della sanità privata, usa in maniera spregiudicata il famigerato manuale Cencelli per spartire tra DS (industria e servizi), Margherita (sanità), SDI (turismo) e Udeur e PRC (quello che rimane), i posti manageriali nelle aziende partecipate, nelle Asl, negli ospedali, negli enti del parastato e del turismo. Le nomine avvengono in privato o addirittura, come nel caso delle Asl, tramite accordi telefonici tra i boss Bassolino-De Mita-Mastella. Il PRC ancora una volta tace, in cambio della dirigenza dell'ospedale Rummo di Benevento.
Alla presidenza del Consiglio regionale Bassolino intanto piazza la moglie del ministro della giustizia, l'allievo di Gava Clemente Mastella, mentre il figlio dell'assessore demitiano alla sanità, Angelo Montemarano, va disinvoltamente a occupare una poltrona nel Consiglio comunale di Napoli.
Del resto Antonio Bassolino non teme di perdere il potere neanche dopo le tante inchieste della magistratura rimaste in sospeso in questi anni. Egli ha ancora il controllo dei DS con la segreterie regionali e provinciali in mano ai fidi Enzo Amendola e Massimo Paolucci, può contare sulle garanzie di assoluta omertà non solo delle dirigenze della "sinistra radicale" al governo ma anche dei vertici sindacali, a partire dalla Cgil del crumirone Michele Gravano, che dal capo ha mutuato gli stessi metodi nepotistici, clientelari, autoritari e antidemocratici, fino ad arrivare nelle ultime settimane a bacchettare la timidissima segretaria regionale della Uil Anna Rea, che aveva osato indire uno sciopero generale contro il degrado e il sottosviluppo di Napoli e della Campania.

Appello ai militanti di base del PRC, PdCI e Verdi
Il risultato del quindicennio di potere bassoliniano (1993-2007) è una regione che a fronte di una torchiatura fiscale incredibile per le condizioni in cui versano i servizi, dalla tassa dei rifiuti che a Napoli è tra le più alte d'Italia fino alle vere e proprie estorsioni camorristiche degli esattori della Gest-line-Equitalia spa, concessionaria del Comune e degli altri enti creditori, la quale per una multa non pagata pignora e mette all'asta gli appartamenti in combutta con le grandi agenzie immobiliari, conta un milione di disoccupati (23,3%). Una regione dove si perpetua l'ecatombe di posti di lavoro nell'industria, nell'agricoltura e anche nel tanto decantato "terziario", una regione dove dilagano la povertà, la miseria, l'emarginazione sociale, il lavoro nero con il suo corollario di schiavitù e stragi, l'evasione scolastica e l'analfabetismo. Una regione dove le scuole e gli ospedali cadono a pezzi, una regione dove è ripresa massiccia l'emigrazione, con tassi altissimi anche in confronto alle altre regioni meridionali, una regione che ha il più basso tasso di raccolta differenziata dei rifiuti e in progetto l'inceneritore più inquinante del mondo quando già non c'è più luogo che non sia asfissiato da una cappa di veleni tossici. Una regione dove l'onnipresenza dei trust camorristici è sempre più sfacciata anche nei settori della finanza, del commercio, del turismo, dell'edilizia, e nelle istituzioni, con una Asl e il record di comuni sciolti per infiltrazione camorristica, tra cui il "clamoroso" caso della cupola diessina che governava Orta di Otella, nel casertano.
Per questi motivi siamo certi che Bassolino e suoi lacché finiranno nella pattumiera della storia, il punto è accelerare questa "sentenza" con il passaggio in massa dei militanti di base del PRC, del PdCI e dei Verdi nelle file del PMLI a lottare per abbattere il capitalismo e conquistare il socialismo.
Essi debbono comprendere che la politica bassoliniana è solo la degna conclusione di una storia di tradimenti del gruppo dirigente revisionista del PCI, che è stato politicamente assente e inconcludente prima, durante e dopo le gloriose Quattro giornate di Napoli, come dimostra anche l'inesistente opposizione al neofascismo laurino, l'inesistente opposizione al gavismo doroteo che riportò a Napoli il colera. Senza dimenticare l'opera di attivo sabotaggio della Grandi Rivolte del '48, del '68, del '77, per non parlare dell'antipopolare governo cittadino dell'amico del presidente Napolitano, Maurizio Valenzi (1975-1983) sotto i cui occhi "bendati" si consumava la depredazione dei fondi per la ricostruzione dal terremoto dell'80, lo scempio del centro direzionale e le devastazioni della speculazione edilizia, lo scoppio della Q8, ecc.
Gli anni '80 vedono l'opposizione di cartone del PCI ai banditi-predoni filo mafiosi e filo camorristi della DC, del PSI, PSDI, PLI, seguiti, nei primi anni '90, dal breve e opportunistico intermezzo dell'appoggio del neonato mostriciattolo liberale dei DS alle inchieste di tangentopoli. Non è allora un caso se Bassolino, il "mito" della repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista, si ritrova al fianco dei capi-ladroni della prima repubblica come Mastella, De Mita, Conte, riciclatisi nel "centro-sinistra", così come hanno fatto Pomicino e Di Donato con la casa del fascio del neoduce Berlusconi.

5 settembre 2007