Calabria
La sanità nelle mani della 'ndrangheta
Arrestati 18 collusi tra politici e alti dirigenti della Sanità
Crea (nuova DC, ex Margherita) al centro del malaffare

Un criminale intreccio politico-mafioso per il controllo totale del settore della sanità in Calabria. È l'agghiacciante scenario descritto nelle oltre mille pagine dell'ordinanza di custodia cautelare emessa il 28 gennaio dal Gip di Reggio Calabria Roberto Lucisano su richiesta dei Pm Francesco Scuderi, Mario Andrigo e Marco Colamonici, della Dda reggina nei confronti di 18 persone fra cui diversi politici e dirigenti appartenenti sia alla destra che alla "sinistra" del regime neofascista tutti accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, abuso d'ufficio, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale, truffa, omissione di soccorso, soppressione e distruzione di atti veri.
L'inchiesta, denominata "Onorata Sanità", è strettamente legata alle indagini sull'omicidio di Francesco Fortugno, il vicepresidente del consiglio regionale della Calabria ucciso a Locri nell'ottobre del 2005. Gli indagati sono complessivamente quarantaquattro.

Gli arresti
In carcere sono finiti il consigliere regionale Domenico "Mimmo" Crea (ex assessore regionale, ex esponente del "centro-sinistra", oggi rappresentante in Consiglio regionale della "Dc per le autonomie"); il figlio Antonio, direttore sanitario della clinica di Melito Porto Salvo "Villa Anja" (che è poi la struttura sanitaria convenzionata già sottoposta a provvedimento di sequestro); Alessandro Marcianò; Giuseppe Marcianò (i due, padre e figlio, sono i cosiddetti "mandantini" del delitto Fortugno e hanno ricevuto in carcere la notifica dell'ordinanza); Antonino Iacopino; Leonardo Gangemi; Giuseppe Pansera (a sua volta raggiunto in cella dalla notifica, Pansera è ben noto alle cronache soprattutto come genero di Peppe Morabito "il Tiradritto"); Antonino Saverio Foti.
Agli arresti domiciliari: Peppino Biamonte (attualmente dirigente vicario del Dipartimento regionale Tutela della salute, già incaricato della reggenza di diverse Aziende sanitarie locali nel periodo in cui assessore regionale era Doris Lo Moro); Pietro Morabito (già direttore generale Asl 11, confermato solo pochissimi giorni fa come top manager al vertice dell'Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro precedentemente affidatagli come commissario straordinario; già candidato alla Camera col "centro-sinistra" nel 2001); Laura Autelitano (moglie di Antonio Crea); Francesco Cassano (ex direttore del Distretto sanitario 4 di Melito, attualmente dirigente medico all'ospedale melitese "Tiberio Evoli"); Salvatore Asaro (direttore del Pronto soccorso dell'ospedale "Evoli" di Melito Porto Salvo); Domenico Pangallo (dirigente all'ospedale "Tiberio Evoli" di Melito Porto Salvo, dov'è responsabile dell'Unità operativa ospedalità pubblica-privata); Santo Emilio Caridi (responsabile del Poliambulatorio di Gallico dell'Azienda sanitaria provinciale reggina, già direttore sanitario dell'Asl 11 di Reggio); Roberto Mitiga (componente della Commissione verifica requisiti minimi dell'Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria); Domenico Latella (già direttore amministrativo dell'Asl 11 di Reggio, già direttore generale dell'Asl 9 di Locri, oggi in quiescenza).

Il malaffare di Crea
Dalle indagini risulta che Crea era a capo del malaffare; il boss di una vera e propria cosca politico-mafiosa con la testa annidata nei gangli vitali delle istituzioni regionali e i tentacoli ben ramificati su tutto il territorio reggino. Capo di un'associazione a delinquere disposta a tutto, ivi compreso il ricorso all'omicidio politico, per accrescere i suoi loschi interessi in campo sanitario e non solo. Infatti l'ipotesi più agghiacciante avanzata dagli inquirenti è che Crea sia anche tra i mandanti dell'assassinio Fortugno. Anche perché, alle regionali della primavera del 2005, Crea era risultato il primo dei non eletti nelle liste della Margherita nella provincia reggina ed era stato scavalcato proprio da Fortugno.
Un'elezione che, secondo gli inquirenti, Crea ha cancellato a colpi di lupara ordinando prima l'assassinio di Fortugno per poi prendere il suo posto nel Consiglio regionale. Ipotesi supportata anche dal fatto che Alessandro e Giuseppe Marcianò, destinatari in questa inchiesta di altre due ordinanze di custodia in carcere, sono stati arrestati e sono tutt'ora sotto processo a Reggio proprio come presunti mandanti ed esecutori materiali dell'efferato delitto.

Le accuse
Gli elementi raccolti, scrive il Gip, "rendono palese la circostanza che una serie di organizzazioni criminali radicate sulla fascia ionica reggina (...) abbiano coalizzato le loro forze dando luogo, attraverso soggetti a essi legati da stretto rapporto fiduciario, a un'unitaria struttura di sostegno alla candidatura di Domenico Crea", considerato il più adatto "a garantire al meglio gli interessi delle cosche e assicurare loro i vantaggi disparati conseguenti all'uso distorto di un'importante funzione pubblica ai diversi livelli in cui ciò può verificarsi".
Su questo versante i Pm sperano anche di riuscire al più presto a svelare quello che nell'ordinanza viene definito il "'mistero' assoluto che ancora oggi avvolge l'origine dei capitali che sono serviti per dare materialmente inizio all'attività della clinica". Per aprire la clinica, infatti, Crea, nel 2001, utilizzò un miliardo e 100 milioni delle vecchie lire, depositati improvvisamente su un conto corrente intestato ai genitori e poi girati sul conto dello stesso Crea. "Sono soldi - spiegò Crea - che mio padre aveva conservato nel materasso". Giustificazioni, che i Pm hanno definito "semplicemente grottesche".
Quelle elezioni, come risulta dalle inchieste in corso, furono pesantemente condizionate dai "pacchi" di voti controllati e distribuiti dai boss mafiosi ai vari candidati al punto da indurre Luigi Meduri, futuro sottosegretario alle Infrastrutture per la Margherita nel governo Prodi, ad avvisare Crea che: "Dopo tutto questo bordello, se arriva prima Fortugno ti sdirrupa la clinica". E ciò sarebbe stato un vero smacco per Crea che, dopo tanti imbrogli e tanti nuovi sponsor politici reclutati fra Reggio e Catanzaro, era finalmente riuscito ad ottenere per Villa Anya l' "accreditamento" della Regione per succhiare soldi, farsi pagare posti letto, per stipulare contratti con il sistema sanitario regionale e nazionale grazie anche alla disponibilità dei funzionari del Dipartimento della Sanità della Regione e dell'Asl 11.
Significativa in tal senso è l'intercettazione di un colloquio fra Crea e Antonio Iacopino: "La Sanità è prima, l'Agricoltura e Forestazione seconda, le Attività produttive è terza", spiega Crea al suo braccio destro. "Dai Antonio... come budget 7 mila miliardi di vecchie lire, la Sanità ha 3 miliardi 360 milioni di euro ogni anno.. cioè uno fa una cosa uno fa un'altra, va nelle Asl e gestisce le Asl, tu hai bisogno almeno di quattro o cinque che siano con te, cinque o sei braccia in questo settore.. sempre sugli inidirizzi che do io". E ancora: "Mi segui Antò? Oppure parlo arabo io?". Antonio: "Ma che te ne fotte a te cretino dello stipendio di consigliere..10 mila euro al mese.. e che cazzo sono? Quando io a quello storto di B... gli ho detto vieni a farmi il direttore generale che gli volevo dire? Gli volevo dire che di miliardi ne abbiamo 3 mila, 4 mila, 7 mila.. con me, Pino, Bruno, Sandro sono diventati tutti miliardari... il più fesso di loro è miliardario".

La clinica-lager dei Crea
C'è davvero da rabbrividire nel leggere le deposizioni di alcuni testimoni dell'inchiesta e le intercettazioni telefoniche sul turpe trattamento riservato ai poveri anziani malati ricoverati a Villa Anya: la clinica-lager fondata da Domenico Crea di cui risulta intestataria sua moglie Angela, con il figlio Antonio nominato direttore sanitario, la figlia Annunziata amministratore delegato e la nuora Laura direttrice amministrativa.
La Procura antimafia di Reggio Calabria parla di "spregiudicate prassi riguardanti soggetti per definizione deboli e sprovvisti di altre forme di tutela" che vengono in molti casi "accompagnate da una sorta di generale cinismo sulla sorte della povera gente ricoverata nella struttura in un contesto nel quale appare certamente arduo riconoscere i principi ispiratori della delicata professione medica, sacrificata a più concreti interessi terreni rappresentati dagli introiti da percepire per le degenze che si succedono rapidamente". Cinismo e negligenza che vedono protagonista sempre Antonio Crea ma anche il personale paramedico. Cinismo e negligenza che spesso avevano come conseguenza la morte del paziente a causa di terapie e diagnosi prescritte o effettuate a distanza in base ai resoconti approssimativi degli infermieri. E poi ancora: cartelle contraffate, timbri fasulli, data e ora dei decessi falsificate, trasporto illegale di cadaveri.
Le indagini hanno accertato finora almeno 11 episodi di omissione di soccorso in un anno e mezzo e almeno cinque casi in cui il paziente è morto perché lasciato solo e senza le necessarie cure mediche.
Tra i tanti orrori, il primo in ordine di tempo, scoperto dalla Dda di Reggio, riguarda la signora Domenica Nucera. L'anziana paziente sta male. Due dipendenti della clinica chiamano Crea per avvisarlo, ma lui, come al solito si rende irreperibile. Risponde la moglie Laura che, scocciata, ricorda all'infermiera qual è la prassi da seguire in questi casi. Sarcastica la risposta dell'infermiera: "Va bene, intanto la facciamo fuori noi, ciao". Segue risata. Le condizioni della paziente peggiorano, nessuno chiama il 118, tutti aspettano l'arrivo del dottor Crea, che giungerà in clinica quando la paziente è ormai morta. Senza battere ciglia, Crea dispone il trasporto del cadavere al pronto soccorso spacciando la morta per "malata", nasconde la cartella clinica e il giorno dopo falsifica la data e l'ora del decesso.
Scrivono i magistrati: "In detto lasso di tempo sia il dottor Crea sia il personale paramedico hanno solamente atteso il decesso avendo già dalle ore 19 e 38 del giorno precedente stabilito che la paziente stava morendo".
Stessa sorte tocca ad un'altra paziente, Anna Micheletta: si sente male, vomita, perde i sensi. Un'infermiera chiama Crea per spiegargli la situazione. Risponde ancora la moglie: "Se ti chiedono, perché potrebbero pure chiedere a te tipo, ah, ma non c'è Antonio a casa? Siccome io ho risposto al telefono e Antonio mi ha detto 'di' che non ci sono in questo momento' (...) perché devono imparare a sbrigarsela pure soli, che palle, per un vomito. Comunque, visto che è alimentare, ogni tanto sollevala un po' dopo che mangia, questa è una cosa mia, non sua, cioè, non c'era Antonio qua", conclude la moglie ridendo.
Pochi giorni dopo un'altra paziente ha una crisi respiratoria. La situazione è grave. La pressione è 250 su 120. "Crea non si muove - osservano gli inquirenti -. Dispone telefonicamente la terapia da somministrare basata solo su una diagnosi telefonica". La situazione non migliora, così un dipendente della clinica somministra farmaci senza parere medico: "Ci sparai nu Lasix già in bolo".
Una notte successiva un paziente disperato si lancia da una finestra di Villa Anya. Crea si industria per non far trapelare la notizia, a un infermiere che gli chiede se può contattare il 118, risponde di no: "Aspetta prima il mio arrivo". Sistemo tutto io.
Un'altra paziente non riesce a respirare a causa del catarro. Crea viene contattato da un infermiere: "Dottore, va subito aspirato il catarro". La risposta di Crea è sconsolante: "Lo so, ma l'aspiratore non l'abbiamo". Quindi aspettiamo che muoia.
Per Mario Boschetto, paziente in coma, Crea chiama da casa il 118 e avverte: "Abbiamo un paziente con un'insufficienza renale e dovremmo trasferirlo perché, diciamo, è quasi in blocco renale". "Chi ha fatto la diagnosi", chiedono dal 118. Risposta secca: "Io, il dottor Crea", senza però precisare che il dottor Crea sta comodamente seduto nel suo salotto e il paziente che è ricoverato a Villa Anya lui non l'ha né visto né visitato.
Mezzanotte del 14 febbraio 2007, in una delle trenta stanze della "casa di ricovero ospedaliero per anziani non autosufficienti" di Melito Porto Salvo è appena morta un'altra anziana donna. Si chiama Grazia T.. Da ventotto ore è in coma, nessuno le presta cure, nessuno la conforta. Muore sola ma a Villa Anya risulta ancora viva. "Scrivi che è in condizioni critiche", ordina a un infermiere Antonio Crea, il figlio del boss e direttore sanitario di Villa Anya. Non volevano "decessi" lì, a casa loro. L'hanno fatta morire ufficialmente in un altro ospedale la povera Grazia.
Pomeriggio di 18 febbraio 2006, muore anche Maria S.. Se n'è andata da tre ore, sull'ambulanza che la trasporta al pronto soccorso del Civico è però ancora "in gravi condizioni". La "recapitano" come un pacco i portantini di Villa Anya. Senza cartella clinica, senza un documento. Una "consegna" con carte false.
"È con un piede dentro", dice al telefono un dipendente della clinica ancora al figlio di Crea. È la sera del 6 agosto 2006 e Maria F. "ha la pressione 70 su 45 e respira male". In corsia non c'è un solo medico, nemmeno quello di guardia. La diagnosi la fa qualcuno al telefono: "Mettici choc cardiogeno". Maria F. fortunatamente non muore. La sua cartella i medici di Villa Anya la compilano il giorno dopo.
Sera del 18 giugno 2007, Aurelia M. muore all'alba ma alle 8,45, a Villa Anya, viene stilato un referto: "La paziente data l'instabilità clinica viene trasferita".
Il settore sanità succhia il 65% del bilancio regionale e costa 3 miliardi e 208 milioni di euro all'anno. Ci sono 42 ospedali pubblici e 38 case di cura private. Si contano 50 posti letto e 21,6 medici ogni 10 mila abitanti, contro una media nazionale di 43,36 posti letto e 18,8 medici ogni 10 mila abitanti.
Il problema è che tutto il settore è in mano alla 'ndrangheta e ai vari boss delle cosche parlamentari, prima fra tutte l'Udc, che ne decidono le sorti, la spartizione dei lauti finanziamenti pubblici e gli appalti come dimostra il fatto che su un totale di 50 consiglieri regionali eletti 2 anni fa ben 28, ivi compreso il governatore Loiero, sono finiti in carcere e/o sotto inchiesta per fatti di mafia, corruzione, voto di scambio, omicidio.
Ecco perché nei nosocomi calabresi nel 2008 si muore ancora per un'appendicite, una tonsillite, una broncopolmonite o un piccolo ematoma perché non ci sono sale operatorie attrezzate, mancano le sale di rianimazione mentre i direttori sanitari e i baroni della medicina che dirigono i reparti pensano solo ad arricchirsi e a servire gli interessi delle cosche mafiose e politiche che li hanno nominati.

6 febbraio 2008