Gli Usa sono responsabili della morte di Calipari
Omicidio e non "tragico incidente"
L'Italia ritiri subito le truppe dall'Iraq
I militari americani che hanno ucciso Nicola Calipari e ferito Giuliana Sgrena hanno agito nel rispetto delle regole di ingaggio e pertanto non saranno puniti. L'auto del dirigente del Sismi procedeva a velocità elevata e il comando Usa non era stato preventivamente avvertito. Dunque la responsabilità è degli italiani. Punto e basta. Questa era la versione degli Usa al momento dell'incidente e questa è la conclusione a cui sono giunti i rappresentanti americani della commissione "mista" dopo 45 giorni di "indagini congiunte" che a detta del neoduce Berlusconi avrebbe dovuto "rispondere alle esigenze di fare piena luce sulle dinamiche dell'incidente" (sic!) e che invece si è risolta in un'opera sistematica di manipolazione e occultamento delle prove. Naturalmente i due rappresentanti italiani della commissione "mista", il diplomatico Cesare Maria Ragaglini e il generale Pierluigi Campregher si sono rifiutati di controfirmare questa versione precostituita attraverso la quale il Dipartimento di Stato americano nega l'omicidio e lo riduce a un semplice incidente, ammette implicitamente che l'Italia è in Iraq completamente subalterna agli Usa e di fatto censura la condotta italiana per liberare Giuliana Sgrena, e prima ancora i quattro vigilantes-mercenari e poi le due Simone.
La ricostruzione americana è palesemente falsa e contrastante con i pochi elementi messi a disposizione dei due delegati italiani, e non chiarisce uno, neanche uno solo, degli interrogativi sull'episodio che sempre più si prefigura come un vero e proprio agguato. A partire dalla dinamica dell'accaduto e dall'ubicazione di quel posto di blocco dietro una curva e privo di segnalazione. Gli Usa si garantiscono il totale controllo delle comunicazioni in Iraq e in particolare dell'importante area attorno all'aeroporto di Baghdad grazie all'uso congiunto delle immagini satellitari, degli aerei senza pilota con le telecamere a infrarossi e del dirigibile da ricognizione installato a poca distanza dall'aeroporto. Come è possibile credere che non sapessero nulla dell'operazione che stava conducendo Calipari, nonché della liberazione di Giuliana Sgrena, che peraltro era già stata annunciata dal Al Jazeera?
Risulta inoltre noto che attraverso il Centro per la gestione dei sequestri occidentali rispondente direttamente all'ambasciata americana gli Usa avevano categoricamente vietato ogni trattativa anche all'"alleato" italiano, altrimenti si finisce per "finanziare il terrorismo con il pagamento dei riscatti". Un messaggio questo rivolto ai francesi, agli italiani e a tutti coloro che si muovevano in questa direzione.
Cosicché il governo italiano, che sperava con l'indagine "mista" di chiudere il caso con una verità di comodo ma "onorevole", ha sbattuto il muso sull'aut-aut americano.
A questo punto, per salvare la faccia, il governo del neoduce Berlusconi e il ministro degli esteri Fini si sono visti costretti a non capitolare all'amicone Bush perché, come ha sostenuto il ministro degli esteri Fini "sarebbe stato lesivo della dignità nazionale" e hanno reso pubblica una stringata dichiarazione bilaterale il 29 aprile in cui la Farnesina e il Dipartimento di Stato Usa definivano insuperabile il conflitto tra i due governi sull'uccisione di Calipari. Non si sono raggiunte "conclusioni finali condivise", ammette il documento, anche se poi cerca di gettare acqua sul fuoco riaffermando che l'alleanza tra Italia e Stati Uniti "è salda" che c'è "una forte e solidale amicizia" e che soprattutto c'è l'impegno a rimanere in Iraq.
Quelli che potevano essere i presupposti per rivendicare verità e giustizia per la morte dell'agente italiano, si sono ridotti a una squallida tragicomica.
A scongiurare un nuovo "caso Sigonella" è bastata una telefonata tra Fini e la Rice, e poi quella "cordiale" di Bush a Berlusconi per spingere quest'ultimo a mettere una pietra sopra all'"incidente" e a far pace con l'Hitler della Casa Bianca. Infatti giovedì 5 presentandosi prima davanti alla Camera e poi davanti al Senato, ha finito per inchinarsi davanti all'alleato americano, dichiarando "il caso chiuso". Infatti pur ammettendo che tra le versioni italiana e americana esistono "discrepanze inconciliabili", ha aggiunto che l'"imparzialità e buona fede degli inquirenti non possono essere messe in discussione". E poi in fondo, secondo il neoduce "nessuno pretende di avere la verità in tasca". Insomma la verità americana vale quanto quella italiana. E quel che è più importante è che l'esito disastroso dell'inchiesta congiuta non pregiudica in alcun modo "la qualità dei rapporti tra Italia e Usa" e la permanenza delle truppe italiane in Iraq. Amicizia e lealtà reciproche "sono fuori discussione", guai a parlare di "schiaffo o strappo". Soprattutto non si deve "stabilire alcun nesso" tra la morte di Calipari e "il ruolo del nostro paese in Iraq". Rispetto al pur demagogico annuncio del graduale ritiro dei mesi scorsi, il neoduce ha riaffermato che l'Italia resterà in Iraq a tempo indeterminato e tornerà a casa solo in base a una decisione presa di comune accordo con gli alleati: con gli americani e il governo iracheno.
E' dunque ipocrita e ambigua la debole posizione dell'Unione espressa da Fassino e benedetta da Prodi che invece di chiedere l'immediato ritiro delle truppe dall'Iraq si limita a chiedere le scuse ufficiali della Casa Bianca e lascia al governo del neoduce la responsabilità "di valutare la fase che si è aperta in Iraq" e di predisporre i tempi del ritiro. Davanti a un Fassino, e a un Prodi che assicurano di non mettere n gioco l'alleanza con gli Usa, a un Berlusconi non è rimasto che ringraziare "per la responsabilità dell'opposizione".

11 maggio 2005